Lost Orpheus Ensemble- Rock’n’Road Musical

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Lost Orpheus Ensemble

Rock’n’Road Musical

(Copione dello spettacolo)

Antonio De Lisa- Rock’n’road Musical


Notazione per la messa in scena

Questo testo è pensato per un attore solo, che interpreta tre diversi personaggi: Personaggio principale, Rapper, Narratore di Parco Lambro. L’attore può ispirarsi al modo in cui è impaginato il testo per movimenti di scena di vario tipo.


Scena I

E’ un problema quando non senti il motore caldo della Guzzi “Nevada” rombare con tranquilla, sottomessa potenza.

Ti preoccupi, fai strani pensieri. Cos’avrà, cosa non avrà.

Il segno più inquietante è la perdita di colpi del motore. Sei costretto ad accelerare a vite, su e giù, tirando la frizione.

Ti stanchi. Ti secchi.

Questo succede di solito quando il motore è freddo.

Ma quando senti che il motore non è freddo, non fosse altro per il bruciore che avverti alle gambe a contatto con il motore stesso, che è fin troppo caldo,

allora,

ecco,

ti preoccupi.

Cominci con un’interminabile serie di domande diagnostiche. Questa versione della Nevada è a iniezione elettronica, non dovrebbe avere problemi al carburatore. Forse c’è una goccia d’acqua nella benzina.

Qualcuno ha manomesso qualcosa nella notte.

Quando questo ti succede davanti a un albergo sul lungomare di Messina, con la prospettiva di intraprendere un viaggio che avrebbe dovuto essere molto bello verso Siracusa,

giù a sud,

e sei solo,

ecco,

quando questo succede si scatenano sentimenti non proprio benevoli nei confronti del tuo potente mezzo di locomozione, ma anche contro l’incapricciato umore avverso delle divinità.

Cominci a pensare: ci sarà un meccanico nelle vicinanze, qualcuno in grado di mettere mano a un motore Guzzi? Ovviamente c’è, ci potrebbe essere, ma il problema è che tu non hai la minima idea di dove sia. Ma prova a chiedere al portiere dell’albergo, no?

Già, il portiere dell’albergo. Strano tipo.

Quando sono sbarcato dal traghetto, verso mezzanotte, non è stato difficile trovare la strada dell’albergo, non è stato nemmeno tanto difficile trovare l’albergo.

E’ invece stato molto difficile convincere il portiere di notte a farmi parcheggiare sul marciapiede davanti all’ingresso.

Strana pretesa, direte voi.

E no, quando ti assicurano per telefono che l’albergo è dotato di garage e quando ti accorgi che il “garage” consiste in due o tre posti macchina dall’altra parte della strada.

Che fai,

urli?

No,

ragioni.

Con calma, con la calma dei pensatori navigati. Non si può abbandonare così una moto per strada.

Bene, e allora io parcheggio sul marciapiede davanti all’ingresso, fissando con una robusta catena la moto al palo della luce che sporge dal marciapiede. Da qui non mi muovo.

Facile a pensarlo e a tentare di metterlo in pratica. Il difficile è realizzare la complicatissima operazione di fronte alle rimostranze del portiere di notte, che è convinto di poter dettare legge. Guardi che il marciapiede è largo, non do nessun fastidio. Ma la logica stringente e un tantino accademica del summenzionato portiere è di scuola sofistica.

Prima accampa un motivo, poi l’altro, senza minimamente prendere in considerazione il fatto che ti avevano promesso un garage che non c’è.

Ma poi, da freddo ragionatore di scuola peripatetica, mi accorgo di aver avuto l’intuizione giusta quando vedo brillare gli occhi del portiere di fronte a un pezzo da cinquanta.

Cinquanta euro,

voglio dire.

E la moto resta lì.

Anzi promette addirittura di fare la guardia. Poi, con fare disinvolto e cameratesco, rivela in un impeto d’orgoglio che anche lui è un motociclista. Anzi, era, perché la moglie gliel’ha proibito.

La moglie? Ma che specie di moglie ha costui?

Meglio non approfondire, capace di rivelarti arcani segreti inopportuni mentre tu sogni già la doccia calda che ti aspetta, la lettura di quelle cinque-sei pagine di Nietzsche (Gli idilli di Messina e La Gaia scienza: potevano mancare gli Idilli di Messina a Messina?), un letto che si spera passabile, il dolce conforto di Morfeo.

Poi ti ricordi che non hai mangiato e che hai una discreta fame e allora pietisci una qualche indicazione gastronomica con la trionfale risposta che

lì vicino

c’è un posto aperto fino a tardi

(per giovani, ammicca

maliziosamente il portiere) dove fanno panini col kebab. Oddio, pensi, gli dei avversi insistono nelle avversità.

Ma il panino col kebab risulterà essere non proprio disprezzabile, anzi decisamente buono. E’ la birra che lo guasta.

La notte scorre tranquilla e piovosa.

Ma tu pensi, da pitagorico convinto, ma siamo in Sicilia, domani ci sarà il sole. Ora, bisogna sapere che una cosa sono le teorie pitagoriche, un’altra la realtà.

Infatti, piove a dirotto. E mica smette. Poi scoprirò che a Messina quando piove in quel modo vengono giù le frane, ma io mica lo sapevo allora. Breve riassunto della situazione.

Piove, il motore singhiozza, il portiere di giorno mi ha assicurato a colazione che il tratto autostradale Messina-Catania è “micidiale”.

A una timida domanda

di approfondimento

mi ha sciorinato una mezza dozzina di cause di possibili catastrofi.

E’ pieno di buche, tutto rattoppato, viscido per l’olio che perdono i pesanti Tir in circolazione, battuto dal vento con raffiche tumultuose, non c’è la corsia di emergenza, le piazzole di sosta scarseggiano e gli automobilisti sono molto cattivi. Non ha voluto precisare in che cosa consista questa cattiveria e io, per la verità, non ho manifestato nessuna curiosità di saperlo. L’abbiamo assunta come una semplice verità apodittica.

Gli automobilisti della Messina-Catania sono molto cattivi. Punto e basta.

Con queste lusinghiere premesse ho staccato la moto dal palo, e sotto una pioggia battente ho cominciato a perlustrare la zona. Il motore dopo un po’ ha ripreso a cantare la sua solita canzone con la voce di un basso profondo tendente al nostalgico, come se volesse annunciarti: ma dove mi hai portato.

Che fai in questi casi?

Ti fermi, butti la robaccia fradicia che avevi addosso in una delle borse e ti zavorri come un marziano.

Equipaggiamento da pioggia,

aumentando di un buon venti per cento

l’insieme

del tuo peso corporeo

e di quello della moto.

E pensi, così bardato: andiamola a provare questa strada assassina. Ovviamente, non azzardi un sorpasso, ti tieni sul margine della strada e quando passa un Tir che ti fagocita letteralmente nelle sue onde tu fai finta di niente e ridi divertito. Il tratto autostradale è veramente infame. Magari col sole sarà anche suggestivo, per il panorama, ma così è un disastro.

E tu, che non è la prima volta che metti piede in Sicilia pensi, ma perché sono qui, in una versione più dimessa della famosa frase

“Che ci faccio io qui?”

di Bruce Chatwin, che tutti i viaggiatori hanno incollato al petto.

Se è per questo, anche se vai a comprare le sigarette in una zona periferica della tua città potresti chiederti: “Che ci faccio io qui?”, ma di fatto non te lo chiedi. E allora perché te lo chiedi sulla Messina-Catania?


Scena II

Cos’è un Contest?

E’ un concorso.

Poi dipende dall’etichetta, quello di cui parleremo è un Contest di musica rock.

Certo, musica rock è un’etichetta un po’ generica, infatti c’è di tutto, ma procediamo con ordine.

Abbiamo partecipato come gruppo a un Contest, non è la prima volta, né sarà l’ultima.

A me personalmente queste cose piacciono tantissimo, anche se c’è un gran casino e la musica è l’ultima cosa che viene presa in considerazione. Ma a me piace, piace questo gran casino birroso, di gente che va e che viene, di service non irreprensibili, di atmosfere che sono a metà strada tra Woodstock e una festa di quartiere, di canzoni sparate a volume altissimo, anche se scritte con i piedi. Mi piace tutto….

Mi piace tutto dei Contest,

tranne l’atteggiamento schizzinoso di uno sbarbatello qualsiasi che a malapena conosce qualche scala modale sulla chitarra e pretende che gli forniscano un’amplificazione alla Bruce Springsteen …

ma accontentati, no?,

e che cazzo!

Io, anche se un microfono è praticamente una cineseria di seconda mano, lo prendo per quello che è, ci penso io a suonare in un modo tale da renderlo innocuo.

Non si può stare lì due ore a fare un check sound e per una canzoncina da scuola materna!

Ma a parte questo, a me piace tutto.

Certo, se ne vedono di cose strane …

Le cose più strane le fanno vedere i gruppi metal,

a partire dal modo in cui vestono e come portano barba e capelli.

Sembrano usciti da un corso accelerato di metallo pesante gestito da un un ex prete in crisi di identità.

La bottiglia di birra in mano è di stretta ordinanza,

l’occhio torvo alla Hells Angels di rigore.

L’altro giorno entrando al cesso ne ho incontrato uno, il batterista di un gruppo, che mi ha chiesto:

“Ehi, amico, hai una cicca?” .

Io mi sono sentito disperatamente umiliato dal fatto di non fumare più, come se fossi stato scoperto in flagrante a partecipare a una festa senza essere invitato.

Certo, di cose strane se ne vedono.

Per esempio,

l’altro giorno un gruppo di metal iper-pesante e per di più di Taranto, si è presentato esibendo una bassista da schianto.

L’ovazione è stata unanime

e c’è mancato poco che gli astanti buttassero i cappelli per aria come i marinai dell’esercito americano, come si vede nei film.

Sapete,

è per l’entusiasmo.

Il gruppo ha messo di buon umore un po’ tutti,

per lo più indaffarati a scolarsi la generosa sangria messa a disposizione dall’organizzazione.

Un po’ pioveva

e un po’ c’era il sole.

Insomma, un casino …

Come dicevo,

a me piace tutto di questi raduni rock.

Li frequento da una vita, suonando in tutte le condizioni possibili e immaginabili.

Fotte niente,

saprei suonare anche senza lo strumento.

In fondo, è divertente e non ha importanza chi vince e chi perde.

Aleggia uno spirito alla De Coubertin, l’importante è partecipare.

Certo, poi si vede l’AMBIZIOSONE di turno,

che ha appena fatto la terza media e già si crede Eric Clapton nella sua forma migliore:

se ne sta in un angolo maneggiando la sua chitarrina che è il regalo della promozione,

regalo della nonna,

magari,

e rimugina la gloria.

Antipatico.

Ma fatti una birra, che è meglio!

Bisogna fare attenzione a non far bere troppa birra all’addetto al mixer,

lui sì che è importante.

Bisogna sempre starlo a sentire:

per esempio, durante il check sound, se dice che deve suonare la batteria, non può suonare il bassista, anche se ne ha una gran voglia,

ci vuole calma.

La batteria è difficilissimo da registrarla,

ci vuole una certa esperienza, anzi, molta esperienza.

Poi il batterista è quello che non sta nella pelle, spara come l’artiglieria di Sua Maestà Britannica e fa un gran casino.

Ma in fondo anche questo fa parte del gioco.

Noi ci siamo presentati senza batteria (il batterista nel giorno della registrazione del pezzo era malato) e se ne sono accorti tutti.

La musica segue le evoluzioni della vita, i percorsi segreti, le insenature.

Ma come si fa a non divertirsi in una festa di musica? bà …

Ho uno strano rapporto con i chitarristi.

Da sassofonista, sembra che ci troviamo su due pianeti diversi.

Ma la musica rock è la chitarra elettrica.

Devi conviverci.

E quando lo si fa volentieri,

va molto bene,

specie se il chitarrista è bravo.

Se è bravo, non pesa sul gruppo, lo arricchisce, in caso contrario è un vero disastro per tutti. I metallari non hanno questo problema, per loro esiste “solo” la chitarra elettrica, tre alla volta, più il basso, un’orgia di distorsioni. Si fa a gara a chi ha il pedale più fuzzy. E quando parte il fuzzy parte anche lo shampo del pubblico, quel roteare la testa come quando emergi dalle acque. Tutto ciò è intensamente metal, baby!

A un certo punto della serata non si capisce più niente.

Stai lì dalle tre di pomeriggio a bere e scivoli progressivamente su una china sempre più inclinata.

Il concerto è come un rito,

celbri il rivolgimento del giorno e della notte.

Il contest è come un concerto prolungato,

fino allo sfinimento.

Poi arriva il momento in cui tocca a te e allora ti fai largo a fatica tra band metallicamente imponenti e visi crucciati di giovani grunge dall’aria depressa.

Di solito c’è un certo fair play,

ma non mancano i sorrisetti ironici di chi guarda dall’alto l’universo mondo dei suoni. ‘Sti cazzi, tu imbracci il mitra (il sax) e parti, non hai mai avuto paura di nessuno tu, hai sempre e solo venerato la Dea bendata della musica …

Quando si accendono le luci in un Contest di musica rock,

un concorso in cui c’è di tutto,

è come quando si accendono a un concerto cominciato all’imbrunire,

si respira un’altra atmosfera.

Forse è per la dopamina che ti scorre nelle arterie (gli esperti dicono che questo è l’effetto lisergico della musica), sta di fatto che stai su di giri di brutto.

Gli sguardi sono al neon,

i contatti, elettrici.

E poi c’hai anche fame.

Incontri e sguardi si combinano e ricombinano,

incontri gente,

scambi saluti.

Non fai quasi più attenzione a quella colata lavica di suoni che scorre a valanga dal palco, interrotta dalla pallida esibizione di un cantautore che ci sta raccontando di aver perso un treno e che tu trovi persino interessante,

la faccenda del treno,

voglio dire.

Non fai più distinzione tra l’essere e il nulla…

Ci deve essere una legge non scritta o qualcosa del genere:

a un Contest a cui partecipano i gruppi metal, latitano i rapper.

Infatti, non si vedeva neanche un rapper. I rapper fanno gruppo a parte, contenti di condividere le loro inquietudini esistenziali tra di loro, chiusi in una loro dimensione da setta. Qualche volta capita perché in effetti i rapper non sanno suonare;

parlare sì, suonare no.

Senti, senti questo che fa!:

L’attore si dispone a interpretare il personaggio del Rapper

Grazie, fra’, te lo voglio dire sei un vero amico
se non era per te ieri sera in quel vico
io ci restavo secco e me ne andavo al creatore
‘mbriaco da fare schifo e senza un minimo di pudore
quella cazzo di figliola mi ha mandato in pappa il cervello
diceva che mi amava, fra’, ma erano solo parole, ero il suo zimbello
e l’ho scoperta che pomiciava con un truzzo che faceva schifo a guardarlo
tatuato sul collo peloso palestrato ‘mbrillantinato con la musica a palla
che usciva dalla sua miserabile biposto abartizzata
con una doppia fila di luci di posizione e la marmitta truccata
che schifo, fra’, mi è venuto da vomitare
la mia ragazza con quel truzzo, fra’, uno schifo, puah,
ho pensato mo’ lo incasino di pugni e lo mando al creatore
gli faccio vedere chi sono io che ho fatto rugby e lotta grecoromana
ma poi ho pensato se lo merita quella puttana?
No, fra’, non se lo meritava, noi a menarci e lei a sghignazzare
faceva la pupattola e io che credevo ai suoi sentimenti
ero distrutto, ‘fra, te lo posso dire a te che mi capisci
non ci ho mai saputo fare in queste cose
volevo sbattere la testa a qualche spigolo
ma non per niente, solo perché ero stato tanto stupido
ero io che mi facevo pena, fra’, un pugno nello stomaco
che stronzo che sono, fra’, e ora non so più che fare
tira fuori la moto fra’ che ce ne andiamo da questa città di merda
lontani da questa merda …

Raga’, io lo odio il sabato sera,
a farsi pe’ strada come stronzi in galera
raga’ io lo odio il sabato sera
stravaccato in quel lounge bar luccicoso
a fare il filo come ‘no stupido alla cassiera
che a tutto pensa tranne che a dare retta a un perditempo
ma è la noia, raga’, i soliti discorsi, le cazzate
le vomitate nei vicoli e poi ricominciare
tre drinchi e ancora a ciondolare nello struscio
per incontrare magari qualcuna che ci sta bene o male
ma quelle manco per niente, tutte imbrillantate
ma è solo per farsi vedere eleganti e seduttive
poi vanno a casa dal paparino arrogante
e non pensano agli sfigati arrapati
e noi a sbattere la testa e a parlare di calcio e scommesse
raga’, che squallore il sabato sera
poi magari qualcuno ha voglia di fare a mazzate
e allora ti sfoghi dai qualche cazzotto e sai come fare
e più sei sfigato e più ci dai dentro contro questo mondo di merda
con la faccia di quel tamarro che t’ha dato un calcio nelle palle
e fortunato se riporta a casa qualche osso intatto
e poi ricominci come niente a bere e a fumare
e come ultimo sfregio sbatti la bottiglia sul muro della chiesa
tanto sono tutti stronzi e non me ne frega niente.

L’attore torna nelle vesti del Personaggio principale

E con tutti i loro difetti, i metallici suonano e talvolta anche bene, con bruschi cambiamenti di tempo e urlacci del cantante.

E poi sono così macho …

I veri rivali dei metallici sono i gruppi hardcore.

Potrebbero suonare anche un manico di scopa,

purché a livello da ictus cerebrale.

In effetti, quello hardcore è più un atteggiamento che uno stile musicale: non si deve capire niente. Il cantante si dimena come un tarantolato che abbia preso un’insolazione, spazzolando pavimenti di localacci e ingurgitando ettolitri di birra scadente.

A un’esibizione

hardcore

bisognerebbe

portare

le cuffie

che usano i carpentieri

che fanno lavori pesanti con la scavatrice.

Sono pericolosamente incazzati e hanno la pessima abitudine di rivolgersi a singoli spettatori coinvolgendoli in diatribe dall’incerto significato, mentre gli altri del pubblico fanno avanti e dietro con la testa …

In effetti, a me piacciono i Rock Contest, mi mettono di buon umore.

Vai lì per suonare,

ma è come una gita nel profondo delle inquietudini del mondo moderno.

E’ stato sempre così.

Il mondo si esprime nei festival di musica rock, anche se ultimamente sono diventati un po’ noiosi, con tutti quei cantanti da X Factor, bellini e anche passabilmente intonati, ma fasulli.

Il vero festival rock è merda sociale riciclata, disagio urlato, sballo alla Baudelaire.

Ma io mi diverto anche così,

nei Rock Contest odierni,

in mezzo al casino …

notavo però che una volta c’erano più ragazze …

dove sono finite le ragazze? …

Lo riconosci subito il LEADER.

Arriva col suo codazzo di adepti adoranti e c’è perfino chi gli arrotola uno spinello.

Ha l’aspetto di un guru,

ascetico e brutale.

In questo momento sta parlando dei Bring Me The Horizon e in particolare del loro “Suicide Season”.

E’ il band leader di un gruppo che sembra essere tra i favoriti.

Perfino gli organizzatori del Contest gli si fanno incontro con l’aria di chi stia perdendo un treno, tremebondi e trafelati. Il rock produce LEADER.

Lo riconosci subito,

da come è vestito,

da come porta la barba,

da come parla.

Poi magari scopri che è iscritto in un’università prestigiosa e studia economia. Ma datte ‘na chiodata …

Notavo che oltre ai rapper, quelli che mancano ai Rock Contest sono quei gruppi che hanno fatto dello pseudo-folk una specie di bandiera.

Sono coccolatissimi dagli assessori alla cultura

e dagli organizzatori delle feste di paese,

non hanno nessun bisogno di mischiarsi al popolaccio dei Rock Contest.

Stanno alla larga,

scambiando il folk con il pop,

tanto è la stessa cosa.

E poi non bevono e non fumano e si alzano presto la mattina …

Qualche volta convinco qualche mio amico a venire a un Rock Contest,

amico non musicista voglio dire,

ma sufficientemente curioso

o anche musicista,

ma musicista classico,

da conservatorio,

insomma un tipo noioso.

E’ divertente vedere la sua reazione …

ma dove mi hai portato? …

o se ne va subito o si lascia un po’ coinvolgere ma con moderazione, soprattutto se cominciamo a bere e poi vuole vedere fino

a che punto di depravazione arrivo con la musica…

la musica per me non ha mai avuto segreti e poi mi piace tutto,

anche la canzoncina per bambini dello Zecchino d’oro …

ma la gente fa un sacco di differenze,

questo sì, quello no …

sono convinto che possa toccare le corde dell’anima anche un motivetto

da lap dance …

I giovani, prima del ’68 non esistevano.

Si era adulti provvisoriamente giovani.

Dopo sono diventati una categoria storica e quei giovani hanno creato un loro mondo, con al centro la musica,

il vero collante e l’unico linguaggio universale di questo mondo.


Scena III

Prendi per esempio Parco Lambro

Io a Parco Lambro c’ero e mi sono pure divertito, mi ha detto un amico, il mio maestro di sassofono e da da allora mi è rimasto impresso, come se ci fossi stato …

L’attore cambia posizione sul palco, per interpretare il nuovo personaggio del Narratore di Parco Lambro.

“Io a Parco Lambro c’ero e mi sono pure divertito

un sacco, davvero.

Ora i giornali parlano del quarantesimo anniversario din un Festival incasinato, dell’inizio della sconfitta.

Ma quale inizio!

Eravamo già sconfitti in partenza.

Quelli che erano là insieme a me, in quel giugno lontano, erano già perdenti. Eravamo già perdenti. Solo i ragazzi e le ragazze della buona borghesia milanese e in parte nordica sono venuti là immaginando un mondo alternativo.

Ah, le ragazze!

Disponibilissime, io ne ho saggiato un paio …

Gli altri, noi, i zozzosi, i meridionali, eravamo già bruciati in partenza, altro che utopia.

Noi a Parco Lambro siamo arrivati senza un soldo,

facendo l’autostop sull’autostrada del sole,

dormendo dove capitava,

mangiando quello che capitava.

Dicevano che al nord, a Milano, ci sarebbe stata la Woodstock d’Italia e allora noi siamo andati, magri e con i capelli lunghi. Per sentire musica, per fare un po’ di casino insieme agli altri, “Re nudo” nemmeno la conoscevamo come rivista. Borghesi settentrionali, quelli, con la fissa del mondo alternativo. Noi volevamo solo un po’ di droga gratis, una ragazza, un viaggetto, cose così, altro che utopia.

Qualcuno di noi parlava della musica che c’era stata l’anno precedente, nel “Festival del proletariato giovanile”, gente tosta: Area, Stormy Six, Claudio Rocchi, Pino Masi, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Franco Battiato, Antonello Venditti, Giorgio Gaber, Yu kung.

Grandi!

Noi suonavamo la chitarra in una band

e volevamo sentire pure noi,

pure noi volevamo partecipare al grande banchetto della musica italiana.

E devo dire che alla partenza eravamo parecchio su di giri, ma proprio su.

Noi,

il branco,

sei persone in tutto.

Se non era per loro ci sarei rimasto secco al Parco Lambro, mi hanno salvato all’ultimo momento da un aggressione col coltello.

Ci avrei lasciato le penne.

A Parco Lambro c’era davvero tanta gente, centinaia di migliaia di persone e non scherzo. Appena siamo arrivati abbiamo partecipato a una danza in girotondo, cantando melodie tibetane (penso fossero tibetane, ma non saprei di preciso, così mi aveva detto una ragazza vicina).

Eravamo tutti nudi.

Io un po’ mi sono vergognato all’inizio,

ma come,

devo esibire il pisello davanti a tutti?

Poi ci ho preso confidenza, era bello essere tutti nudi, senza orpelli borghesi, tutti uguali.

Ma già quella sera successero cose strane, per esempio l’assalto a un supermercato dei paraggi, con intervento della polizia. Noi non eravamo abituati a queste cose, ma i ragazzi che venivano da Roma e da Torino erano dei veri duri, lo chiamavano “esproprio proletario” … alla festa del proletariato giovanile si fa l’esproprio proletario, il ragionamento non faceva una grinza … ma la polizia menava da far male sul serio.

Era bello il “Festival del proletariato giovanile”?

Non lo so.

Mi ricordo che girava un sacco di roba.

Nel “prato due” c’erano tende dove si faceva yoga e automassaggio. Non sapevo cosa fosse lo yoga, era la prima volta che ne sentivo parlare.

Di roba comunque ce n’era veramente tanta, ma non solo leggera, tanta eroina, che poi mieterà negli anni seguenti decine di vittime.

Un supermercato dell’eroina.

Il sessantotto che si sputtavana nell’eroina e nella merda.

Il proletariato giovanile stava diventando cattivo, duro, lisergico, punk, non voleva più sentire le cazzate dei figli dei fiori.

La musica era ribelle solo a parole

(E` la musica, la musica ribelle, che ti vibra nelle ossa, che ti entra nella pelle, che ti dice di uscire, che ti urla di cambiare, di mollare le menate, e di metterti a lottare), le menate le dicevano loro, gli organizzatori.

Tutto intorno, la merda.

La vera foto musicale di Parco Lambro 1976 era “Caos” degli Area, un casino sonoro che sembrava la versione punk di un pezzo di John Cage.

Facevano girare tra il pubblico dei cavi elettrici che provenivano da un sintetizzatore, quando si toccavano si chiudeva il circuito e usciva un suono.

Nel sudore di corpi nudi,

questi cavi producevano la musica della follia,

dello sballo metropolitano,

dell’immersione nelle tenebre che sorgono dagli incubi di una vita vissuta perbene.

Tutti nudi, ma la nudità è ambigua, può essere liberazione ma anche la sembianza dei cadaveri. Ho conosciuto tante persone interesanti, però, non mi va di pensarne o dirne male, gente che era stata in Afghanistan con una Renault, in India, in Nepal.

Scoprivo un nuovo mondo,

anche se mi stava morendo sotto gli occhi,

la speranza di costruire un mondo diverso.

I milanesi presenti al festival di Parco Lambro tornavano a casa la sera per farsi una doccia o prendere un paio di jeans puliti.

Noi no,

e per di più facevamo i nostri bisogni dove capitava.

C’era molta puzza e la disorganizzazione era totale.

Mangiavamo scatolette di carne Simmenthal razziata in qualche supermercato, senza pane, alla crudele.

Certe volte non mangiavamo proprio,

ci bastava l’erba che scorreva generosa sui prati e che annebbiava la vista.

Caldo, sporcizia, fumo.

Ma ora, se ci penso, se penso agli occhi di quella ragazza che ho conosciuto lì, mi pare di Venezia, se penso alla bellezza del suo viso e del suo cuore, un sentimento di tenerezza pervade queste mie giornate attuali tutte uguali l’una all’altra,

senza speranza,

senza sogni,

senza amore.

In quel casino serpeggiava comunque qualcosa, con un verso forse sbagliato, in maniera un po’ incosciente, ma era

“qualcosa”.

Cosa ho ora?

Cosa abbiamo ora?

C’è “qualcosa” che possa riempire le nostre vite?

Non lo so.

Era duro Parco Lambro, ma con la dolcezza dei sogni, intravisti solo a tratti, ma quella gente aveva ancora qualcosa dentro, forse.

La sinistra extra-parlamentare aveva avuto un rapporto difficile con la musica, sembrava che riuscisse a produrre solo una canzone come “Contessa”.

“Re Nudo” voleva agganciare il pubblico del rock, che era una galassia che ruotava su se stessa, organizzando appunto un festival musicale.

“Re Nudo”,

però,

sembrava più sensibile al linguaggio dei figli dei fiori che a quello dei giovani proletari comunisti, sottovalutando la loro portata nichilistica.

Parco Lambro voleva unire i due universi,

ma non aveva fatto i conti con la rabbia di questi ultimi,

ma soprattutto con la loro decisione di passare dagli slogan ai fatti,

cioè alle armi,

nelle forme più varie, percorrendo tutte le sfumature della violenza urbana.

A Parco Lambro scoppiò tutto,

l’anno dopo emergeranno gli antagonisti dell’autonomia,

due anni dopo le Brigate Rosse.

Anni folli.

A Parco Lambro si parlava ancora una lingua che sembrava potesse contenere tutte le contraddizioni, ma era un’illusione. Violenza e oltranzismo si respiravano nell’aria. Anche se io stavo con la ragazza di Venezia e ‘ste cose le capivo a malapena.

La ragazza di Venezia, Virginia, mi faceva passare anche il malumore,

in quei giorni di giugno al Parco Lambro.

Non uscivamo praticamente mai dal Parco, non sapevamo dove andare e non avevamo una lira.

Ascoltavamo musica dal vivo e dai registratori a nastro che avevano alcuni, prendevamo il sole, ci facevamo una dormitina, pulivamo il sacco a pelo.

Virginia era coltissima, perlomeno così mi sembrava all’epoca, parlava di un sacco di libri, che non avevo letto, era un’adepta della controcultura americana, della letteratura beat tipo Allen Ginsberg, una fanatica del Prog rock, non c’era cosa che non sapesse.

La adoravo, mi piaceva tantissimo sentirla parlare,

anche se non capivo quello che diceva,

noi eravamo i terroni,

i zozzosi venuti dal sud,

ignoranti come capre,

pelosi

e puzzolenti,

ma a Virginia non importava.

Penso che mi desse anche il suo indirizzo, in qualche calle di Venezia, dove non sono mai andato.

Chissà che farà ora Virginia, che cosa è diventata, un medico, un’architetta? Si sarà sposata, averà avuto dei figli? Nel caldo di questo giugno, da lontano, l’ultimo pensiero del giorno è ancora per lei. Virginia. La mia giovinezza.

Chi è fuori dalla musica,

sembra essere fuori dal mondo dei giovani,

anche se si sente coinvolto in altra maniera,

ma non è così.

Certo, ci sono da fare delle precisazioni,

ma il teorema regge.

C’è chi sta dentro la musica e chi dentro la morale. Non si può stare dentro due cose contemporaneamente … “


Scena III

L’attore torna nelle vesti del Personaggio principale

Il Rock Contest sta per volgere al termine.

Bottiglie vuote,

volti stanchi.

I membri dei gruppi raccolgono gli strumenti.

Il perfettino di turno ha perso l’accordatore che aveva appena comprato e sembra che gli sia capitato un grave lutto.

La gente a quest’ora della notte assume caratteri da zombie,

maschere che si aggirano tra posacenere pieni e puzza di birra.

E’ andata come è andata,

non si ha più nemmeno voglia di chiedersi il perché di un eventuale insucesso.

E’ andata come è andata.

Ma certe volte tu non sai nemmeno come è andata.

Gli stati d’animo sono così fluttuanti che non ti rendi conto di quasi niente, solo del casino, del sudore, dello stordimento.

Ma è divertente.

Accidenti, se è divertente!

Antonio De Lisa


Canzoni e Musiche

Testi di Antonio De Lisa


01) TONIGHT
Strumentale


02) KATIA

Katia lascia scorrere il giorno
senza un verso
senza un rigo.

Katia non è riuscita
a fare il salto dialettico
dalla qualità alla quantità.

Si chiude in frigo.

Katia vive solo di notte,
ogni tanto qualcuno si intromette:
gente strana, vagabondi,
predatori, divorziati e anche sognatori.

Katia ogni tanto alza il gomito
ma non molto, solo per andare
un po’ su di giri, ne ha passate tante
ultimamente con la storia dei suoi amori.

Katia si sposta sulla poltrona
per chiudere un po’ gli occhi stanchi
e non pensare più a niente
ma si alza, è ancora troppa l’adrenalina.

Katia vive solo di notte.
Non c’è più nessuno che si intromette.
Musica a palla.
Movida Blog.
Chattaggio selvaggio.
E occhio gonfio la mattina.


03) ORIZZONTE SOTTERRANEO

Lui è qui, ma non c’è più.
Più che la situazione
fa male l’inutilità
di parole spese male.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

Sì, vecchie abitudini,
nuove lontananze.
Toccare l’irrealtà sfiorandosi,
riconoscersi estranei vivendosi.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

Lui era qui, ma non mi sente più.
Questa é la situazione.
Resta solo l’amarezza
di un prevedibile finale.

Chorus

C’è qualcosa che ha senso
ormai, in questo deserto irrequieto?

No. Quieto, il mio respiro
cerca il suo sotterraneo orizzonte.
Ma lui emerge altrove,
luce di un altro mare.


04) STRADE

Strade ah-ah
ti portano anche al buio
nel freddo e nella nebbia
lontano dal mio Io

Strade ah-ah
libere e aperte
prendi ispirazione
dopo ne parliamo

Su una strada che porta lontano

Lampi nella notte
colorano il cielo
di un viola strano

Lampi della mente
danno ai tuoi occhi
un colore arcano

Lampi della strada
nella direzione
di un nuovo altrove

Lampi e strani suoni
ti portano anche
se non sai più dove

E la pace che ora sento
sei tu che me l’hai data
un po’ colorata

Come una sonnambula
stai per colpirmi
con la mano alzata

Il guizzo di un gatto
rompe l’equilibrio
della notte inoltrata

Poi torna la pace
con te accanto
splendida e immeritata


05) VIAGGIO NOTTURNO

Sugli scogli che affiorano pigri
tenero è il sussurro del vento
per onde che fremono cantilenanti
nella scia della barca che solca
la notte.
Nel mare una distesa di silenzio
complice delle ombre sulla costa
in un manto che nasconde le anse
come una coperta di affanni.
Il viaggio notturno cerca
l’orizzonte
e la sua concava malinconia
nella brezza ondivaga e mutevole
delle sue diecimila direzioni.


06- NIGHT TRIP
Strumentale



07) LA DANZA IL BUIO L’INFINITO

A vederti ballare
col tuo passo lieve e disinibito
che scivola in un modo indefinito

vorrei dirti tre e tre volte amore,
ma mi basta uno sguardo
perché so che i tuoi passi dorati
a me son dedicati e a nessun altro.
Mi faccio spettatore,
in una folla di umori appagati,
come il muto bersaglio della freccia.
E’ scoccata verso un nuovo invito,
come la danza, il buio, l’infinito.


08) BOCCONIANA

Sei bella, tosta e tutta in nero ora.
Al pensiero del tuo amore alla deriva
ti batte quel maledetto cuore ancora
e per ripicca ti vesti come una diva.

Metti insieme a caso happy hour
e ormoni col sapore dei soldoni
ma sembri molto giù in questo tour,
anche tutta “discoteche e Bocconi”.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.

T’ho visto a lezione piegata e mesta
sullo smart del tuo amore andato a male,
una selfie strappata in una patetica festa
fatta durante le vacanze di Natale.

Hai troncato la tua adolescenza
e ora che da lontano guardi i messaggi
a novecento chilometri di distanza
capisci cos’è la visione dei miraggi.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.

Ora sei sola nei tuoi vestiti a tiro,
studi in una città molto molto su
-anche se c’è qualcuno che ti prende in giro –
ma ormai non ci credi nemmeno tu.

Chorus
Mentre citi l’economia di mercato
e ti chiedi “l’amore che cos’è?”
versi lacrime di dolore insensato
ma è quell’amore che ora non c’è.


09) OIL TRIP SS 598

E’ verde questa valle,
più verde delle mie speranze,
ma non me la conta giusta
questa esse esse cinque nove otto.

Non si vede quello che c’è sotto,
tra i prati e le colline
e speriamo che presto
non diventi rosso.

Rosso come i tumori in seno,
rosso come queste fiamme,
vampate che spengono il cielo
nei pressi del Centro Olio.

Esse esse cinque nove otto,
qualcosa si muove qua sotto.
Sta per piovere a dirotto
Esse esse cinque nove otto,

Si erge come una centrale
nucleare nel deserto,
questa cattedrale
alle soglie dell’inferno.

Se si inquinano le falde
qui saranno dolori per tutti,
ammalano l’acqua,
inquinano il domani.

Quanto ci vuole per far diventare
nero tutto ciò, come il petrolio?
Nero come il senso di colpa,
di un consiglio di amministrazione?

Esse esse cinque nove otto,
qualcosa si muove qua sotto.
Sta per piovere a dirotto
e va tutto a quarantotto.


10) DUE DERIVE

Siamo come due derive
che fendono il vento che arriva
dal mare nell’ora sonora
del silenzio e del tramonto.

Vi affondiamo incuranti dell’ora;
ma io non vorrei
essere in nessun altro posto
con nessun’altra persona.

In nessuna altra memoria.
Con nessun’altra fermare il tempo,
dire addio alla storia.


11) SIMIL RAVE

Mi sono innamorato di te
in una nottata simil-rave
e ora sono pieno di perché.

La musica urlava nel sudore
come il sangue nelle orecchie
al tonfo pulsante del cuore.

Chorus

Mondo Di Merda, Amami,
come t’ho amato io
in quella notte in cui
mi sono sentito dio.

Mi sentivo libero e senza peso
luminoso come una meteora,
senza l’ansia maledetta, disteso.

Non so se succederà ancora
ora che ci sei tu qui con me,
ora qui con me, come allora.

Chorus

Mondo Di Merda, Amami,
come t’ho amato io,
solo in quella notte,
poco prima dell’addio.


12) CALANCHI
Strumentale


13) PETROLIO

E’ l’alba di un nuovo giorno
in Val d’Agri, ma sembra la fine,
tra nebbia, interruzioni, copertoni,
gallerie interminabili senza luce,
e fiumi di fumo di catrame bruciato.

I pesanti Tir vanno a prelevare petrolio,
una grande ricchezza che scorre in mani
di società multinazionali lontane,
lasciando sull’asfalto e sui campi scie
di chiazze inquinanti oleose e malsane.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.

Siamo nella Chernobyl lucana.
A nessuno importa che qui c’è gente
sull’orlo di un disastro ambientale.
Farà la fine dei propri nonni
in una nuova migrazione meridionale.

I paesi giacciono in fin di vita
e sul paesaggio tanto decantato
ma che è ormai solo un malato
neanche il cielo è più sincero,
chiazzato di offese e maltrattato.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.

Intorno al “Centro Oli” di Viggiano
non cresce più neanche una mela.
Era un terreno fertilissimo,
ci hanno buttato tanto veleno
da farlo diventare una discarica.

I contadini vendono i terreni,
non servono più a niente,
la storia delle generazioni svanita,
qui niente ha ormai più senso,
nemmeno forse la vita.

Chorus
A noi tocca la fine per cancro.
le famiglie distrutte e i torti.
Ma tranquilli, egregi signori,
non daremo più fastidio,
fra poco saremo tutti morti.


14) THE SOUNDS OF THE NIGHT

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

They mark the space,
mark the time,
are like an echo
of the day.

The colors have an appearance
flaky and insincere
in the border area
between day and evening.

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

Friends that keep us
from going too deep
in ourselves.
It is the slow scan
of the zero-time.

The quiet of the balance,
the closed circuit of oblivion,
the limited field of farewell.

The sounds of the night
have something of the music
and something of the randomness
of the noise.

I enjoy the suspension
of an hour without minutes
in no-time
of a parallel world.

The sounds look
after like faithful dogs.
Silence does not exist.


15) L’ULTIMO SGUARDO


16) THOUSAND WAVES

My roots are in the sea
Lulled and transported
By the current of the waves.

It is the wave that moves me
Like a cork
In the vortex flow.

It is the wave that pushes me
Away from this
To another time.

It is the wave of the time
That makes me cherish
Another sea breezes.

It is the wave that whispers to me
To go among the people,
Away from the tomb

Of false appearances.
It is the wave that whispers to me
As in an echo of sirens

The need to go
Even if the goal is less
Important than the journey.

The wave sings
With sweet words
The path of pilgrimage.

The wave shows
Perhaps the place
For reunification.

Maybe it’s just an illusion, the call
Of another era, but it is the wave
That leads me to the shipwreck.


Testi
© 2017 Antonio De Lisa


Onde: Materiali per lo spettacolo


LETTERATURA


Gian Battista Marino, Donna che si pettina

Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.

Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,
poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!


Giovanni Pascoli, Mare

M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare;
un guizzo chiama, un palpito risponde.

Ecco, sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.

Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?


Antonio De Lisa, Mille Onde

Le mie radici sono nel mare,
trasportate
dalla corrente.
E’ l’onda che mi muove
come un tappo di sughero
nel vortice dei flussi.
E’ l’onda che mi spinge
lontano dal presente,
verso un altro tempo.
E’ l’onda del tempo
che mi fa accarezzare
le brezze di un altro mare.
E’ l’onda che mi sussurra
di tornare tra la gente,
lontano dal sepolcro
delle false apparenze.
E’ l’onda che mi sussurra,
come in un’eco di sirene,
la necessità di andare,
anche se la mèta
conta meno del viaggio.
L’onda canta
con dolcissime parole
la strada del pellegrinaggio.
L’onda indica
forse il luogo
del ricongiungimento.
Forse è solo una chimera, il richiamo
di un’altra èra, ma è l’onda
che mi spinge verso il naufragio.


A.Del.- Sulla spiaggia di El Kantaoui

Sulla spiaggia di El Kantaoui
al tramonto il vento
trasporta la malinconia
come un’onda felice.

C’è una sirena in mare,
che attraversa le onde
leggera e flessuosa
nella più assoluta solitudine della sera.

Cerco in lontananza,
ma non si vede,
il paese che non
vorrei vedere.

Mentre una radio trasmette
una lenta litania araba,
una coppia attraversa la spiaggia,
lieve e sensuosa come un passo di danza.

Le luci cominciano a punteggiare
il tramonto e si spegne in un ravvicinato esotismo
il cullante furore di altre onde,
che si insinuano in un’inquietudine austera.

Sono pieghe che si intrecciano
in un labirinto tracciato a caratteri
esoterici nell’oscurità dell’inconscio,
come quelle di un velo.


A.Del:- Il malumore del mare

Lo riconosci il malumore del mare
quando cambia la frequenza
delle sue onde sugli scogli e a riva,
ma in modo particolare;

non sempre questo può voler dire
che è in procinto di agitarsi.
Qualche volta è solo un tributo che paga
a onde sorelle che si sono mosse lontano.

E lui le accontenta, ma ammicca
in direzione uguale e contraria.
Ma stasera il mare è di malumore.
Lo sento. Comunica. Avanza.

Sbatte con violenza.
Come il vento che lo percorre.
Quando il mare è di malumore,
meglio lasciarlo stare, come dicono

vecchi pescatori che non misurano
il vento in nodi, ma in sbavature
di sensazioni. Lascialo stare il mare.
E guarda il cielo, in una certa direzione.

Sembra somigliare
a una mia sensazione.
Quando la sento pulsare,
meglio lasciarmi solo, come il mare.


A.DeL.- Ecoscandaglio

Basta un minimo di moto ondoso
a piegare e sballottare la barchetta su cui siamo.
Ma a piace quello che c’è sotto, sul fondale.

Il gozzo ha un ecoscandaglio provvidenziale:
quando un branco attraversa lo scafo
appaiono sul display i disegnini dei pesci

con la relativa profondità e direzione.
La maggior parte del tempo la passo lì,
a osservare attratto e incantato,

con le mani piegate sotto il viso.
Chi mi guarda dice che ho un sorriso.
I disegnini mutano col variare dei branchi

fino a una profondità di cento ottanta metri,
poi si perde la traccia. E spesso si perde.
E’ il disegno e il profilo del fondale

che è irregolare. Ci sono fosse, anfratti, gradoni.
Si stagliano in questo modo i regni astratti
di quel mondo inferiore e dei suoi abitanti.

Questa animazione semovente e abissale
somiglia stranamente al mio mondo interiore,
con pensieri e sensazioni che si muovono  in branchi

e che sfiorano  la coscienza  a vari livelli
di consapevolezza. Anch’io perdo il contatto
dopo i cento ottanta metri. Ci vorrebbe

un ecoscandaglio più potente,
ma forse questo basta a raggiungere i pensieri.
L’unica differenza è che non si possono pescare.


Virginia Woolf, Le onde
“L’onda è prima di tutto il moto di un elemento fluido – aria, acqua, sangue, respiro – che si intona coi ritmi in battere e levare di agenti impersonali quali il sole, il cielo, il mare […]”.


Italo Calvino, Palomar
«Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui. Infine non sono le onde che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso.»

 


VIDEOPOEMI

Antonio De Lisa- Mille onde


Antonio De Lisa- Il malumore del mare


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