Un gruppo rock palestinse, Khalas, si sta unendo a un gruppo israeliano, Orphaned Land, per una tournée in Europa. La musica rock come terreno di intesa fuori dai rispettivi integralismi e fondamentalismi? A Oktober l’arabo piace per il suono. Ma anche certe forme espressive sono molto belle. E poi c’è l’universo musulmano in gioco. E qui entrano in gioco le intuizioni dello storico. La storia, specie quella futura, passa da lì. Ma il vero intrigo è la filosofia arabo-musulmana. Un mondo a parte. Migliaia di scritti in cui nessuno ci capisce niente. Ma di cosa parlano? Di Dio, o dell’essere? O della liberazione in vita? Avete presente gli scritti di San Tommaso? Ebbene, mischiatelo con Meister Eckart e avrete un’idea di uno scritto di filosofia araba.
In un paese del Cilento, dove Oktober passava le vacanze da piccolo, c’era un posto ai margini del paese: lo chiamavano “quartiere arabo”. Sua madre le prime volte gli proibiva di andarci, cosa che fece di quel quartiere la meta dei suoi pellegrinaggi proibiti. Che ci sarà mai nel quartiere arabo? Ci sono gli arabi? Qualcuno, forse sì. Chissà da quanto tempo era lì, lui e la sua famiglia, dalle invasioni saracene? Probabile. Era uno strano contrasto. Le rovine di Elea da un lato, il quartiere arabo dall’altro. E’ cresciuto al suono di queste sirene. E in realtà non ha mai studiato altro, se non di passaggio: mondo greco e mondo arabo. Si torna sempre da dove si era partiti.
Nel corridoio dei docenti di arabo e islamistica campeggia la pubblicità di una mostra: “She who tells a story” raccoglie il lavoro delle più significative fotografe provenienti dal Medio Oriente. Provenienti da società conservatrici e dominate dagli uomini, queste artiste si concentrano sull’utilizzo dell’immagine per diffondere riflessioni sull’identità e sul genere. Sono immagini provocatorie, che spaziano dal fine art al reportage. Ma che suggeriscono sempre uno sguardo nuovo su temi sociali e politici. La mostra è organizzata dal Museum of fine arts di Boston.
L’aula in cui Franz ha fatto l’esame stamattina aveva qualcosa di surreale. L’aula, o per meglio dire: lo sgabuzzino, al terzo piano di Palazzo Mediterraneo, ha 48 posti a sedere. Il gruppo ha accompagnato Franz a fare l’esame all’Orientale. Quando sono entrati tutti sembrava di essere stati rinchiusi in un sepolcro. A un certo punto qualcuno ha chiesto di aprire la finestra, proprio di fronte a loro. A finestra aperta, è risultato che non c’era nemmeno un metro di distanza dalla finestra del palazzo di fronte. Affacciavano direttamente nel tinello di una anziana signora che si aggirava per le faccende domestiche. Alcuni baldi giovani, barbutissimi e in bermuda, l’hanno salutata con cenni di mano e qualcuno le ha chiesto come stava. La signora con squisita premura ha risposto che stava benissimo e poi ha chiesto se i giovani volessero una tazza di caffè. Oktober e gli altri si sono goduti la scena da lontano, mentre proponevo difficili quesiti di storia araba.
Il Dipartimento di “Studi orientali e africani” dell’Orientale si trova nel Palazzo Corigliano. E’ un palazzo cinquecentesco, con dei resti greci nelle fondamenta, in quella che adesso è l’aula magna. I ragazzi nel cortile stamattina non avevano l’aria di apprezzare l’architettura, piuttosto rimuginavano sull’ennesima bocciatura all’esame di giapponese o cinese.
La zona intorno a San Domenico Maggiore ha qualcosa di speciale. Più avanti si trova il palazzo dove Gesualdo da Venosa, il grande madrigalista cinquecentesco, ha ammazzato la moglie. E’ anche il luogo della misteriosa cappella Sansevero. Quella zona appartiene agli arcani della Napoli alchimista ed esoterica. Da piazza San Domenico Maggiore Napoli appare quello che è: una capitale europea, una porta sull’oriente. Spaccanapoli ora è zona pedonale, non c’è rischio che qualcuno in motorino ti scippi la borsa. Ed è piacevole addentrarsi. Lì viveva Benedetto Croce, che usciva sempre alla stessa ora a fare la sua passeggiata. Per un lungo tratto di secolo la filosofia in Italia ha parlato napoletano. Se si sale più su, si può trovare anche la casa di Giambattista Vico. Questo sì un filosofo di cui non posso fare a meno nemmeno adesso. In fondo, dalla “Scienza nuova” all’ermeneutica dell’Oriente il passo non è lungo. Ma più in generale è una certa concezione della filosofia che è il lascito più prezioso di Vico.
Forse i ragazzi dell’Orientale incontrati stamattina nel Palazzo Corigliano non erano molto interessati, né alla filosofia, né al madrigale cinquecentesco. Ma almeno non esibivano l’ultimo modello di Iphone, sembravano vestire come studenti di filosofia (semplici, con un tocco personale quasi invisibile) e in un certo senso consapevoli che essere studenti di lingue orientali comporta una certa dose di spirito avventuroso. Magari alcuni di loro lo fanno per entrare in una Ong o qualcosa del genere. Ilaria Alpi, la giornalista uccisa in Somalia, studiava arabo (non qui, a Roma). E’ come una grande confraternita di clerices vagantes, aperti al mondo, intellettualmente curiosi, con lo zaino, sulla strada.
Gli studenti dell’Orientale esibiscono capigliature esageratamente stravaganti e per i ragazzi varie forme di barba sono quasi d’obbligo, in certi casi somigliano a dei pasdaran iraniani… no, non proprio, ma sono avvolti dalla kefiah anche col caldo. Ma che cos’hanno, di diverso? Sono tutti “contro”, contro il pensiero unico, contro un occidente sciovinista e rituale. Almeno così sembra. Parlano di cose serie, e qualche volta nemmeno le capiscono: i grandi destini, gli incontri e scontri di civiltà, l’afflato di un’umanità senza più bussole. C’è qualcosa, nelle loro intenzioni, che è sano. E a Napoli ci stanno benissimo. Napoli è una grande città, l’ultima forse con un’anima.
Il palazzo confinante, Palazzo San Severo, fu abitato dal grande musicista cinquecentesco Carlo Gesualo. Nelle segrete stanze di quel palazzo il principe napoletano, rappresentante di una delle più nobili famiglie della città, compì Il duplice omicidio della moglie Maria d’Avalos e dell’amante, Fabrizio Carafa, considerato il più bel cavaliere del Regno, che si consumò nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590.
Tutto il mondo in una piazza. E’ a Napoli e si chiama San Domenico Maggiore. Nel convento domenicano annesso alla chiesa hanno abitato San Tommaso e Giordano Bruno. Nel palazzo San Severo hanno avuto dimora prima Carlo Gesualdo e poi il principe San Severo, principe alchimista.
Nel cortile del Dipartimento di Orientalistica a Napoli a un certo punto nel chiacchiericcio studentesco spunta un ragazzo con sullo zaino uno stemma dei Tinariwen, in mano ha un Ipod che emette una canzone che si intitola “Ere Tasfata Adounia”. C’è anche una scritta in arabo sullo zaino: من جد والله فنان عجيب Porge la guancia alle varie ragazze che gli si fanno incontro e si arrotola una sigaretta.
Foglietto appeso su un muro dell’Orientale: “Se questo palazzo è una fogna, sicuramente la colpa è di chi, al posto di studiare, beve birre e si fuma canne nel cortile e getta mozziconi, cartine, lattine, bottiglie, incarti di kebab e tappi di bottiglia per terra e poi fa le campagne per la sensibilizzazione all’ambiente, perché si deve sentire “studente rivoluzionario” e portavoce di ideologie che ormai sono solo un ricordo; non guardiamo solo i ragazzini che giocano a pallone, l’inciviltà negli atenei parte proprio da noi studenti”.
Sono un po’ di malumore, in caso contrario andrei a dare un’occhiata alla nuova fermata della metropolitana nei quartieri spagnoli. Dicono che e’ bellissima, con le foto di Oliviero Toscani… ma non mi va di fare l’esploratore.
Se Wittgenstein avesse conosciuto la lingua araba, sono sicuro che se ne sarebbe innamorato. Le parole esprimono cose concrete, atomi logici, ma insieme in esse risuonano sfumature vertiginose sull’asse paradigmatico. Detto in altri termini: una parola non vive mai in isolamento lessicale, tutte le parole si basano su una radice, per lo più trilittera, di tre consonanti, variano solo con la diversa vocalizzazione. Dalla radice ktb, derivano tutte le parole che hanno a che fare con l’idea di libro, da libro a scrittoio, a scrittore, e così via, in una catena (appunto: paradigmatica). Pensate alla risonanza che hanno le parole del Corano, una sinfonia, che le traduzioni in altre lingue non rende minimamente. In molti casi, non lo “capiamo” perché non riusciamo a “sentirlo”..

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