
“L’arte polimaterica non è una tecnica
ma – come la pittura e la scultura – un mezzo
di espressione artistica…”
( Enrico Prampolini, “Arte Polimaterica” , Roma 1944).
La pittura polimaterica non è una vera e propria tecnica artistica, in quanto non esistono regole o metodi di operare, ma è un mezzo di espressione artistica, con la quale l’artista opera in assoluta libertà usando anche materiali che normalmente sono inusuali con la tecnica pittorica tradizionale.
Il termine pittura forse è riduttivo applicato a questo tipo di lavori, mentre polimaterica (diversi materiali) è abbastanza esplicativo è dà già un’idea precisa sul tipo di pittura. Questi materiali vengono composti ed assemblati sul supporto assieme alla pittura.
Il colore si mischia con la materia per amplificare le possibilità espressive della semplice pittura con l’apporto di caratteristiche, che normalmente sono incompatibili con essa.
L’introduzione di materiali anomali nell’opera pittorica, in grado di amplificarne le possibilità espressive con l’apporto di caratteristiche normalmente incompatibili con la pittura (effetti tridimensionali, tattili, volumetrici ecc.), è infatti indicativa di un nuovo modo di intendere l’opera pittorica, che diviene una costruzione oggettuale autonoma, slegata da ogni esigenza di rappresentazione non solo figurativa ma anche materica.
Il quadro non cerca più di riprodurre lo spazio della rappresentazione, lo costruisce in termini reali e concreti, ne fa il luogo deputato ad accogliere interazioni eterogenee tra materiali non omogenei, vetro, pietre, oggetti d’uso comune, legno, sabbia, gli elementi più disparati ed incongrui, strumentali a suggerire l’idea di una spazialità intrinseca all’opera, di uno spazio nel quadro e non di un quadro nello spazio.
E proprio in virtù delle sue potenzialità innovative e della sua duttilità espressiva, l’arte polimaterica è diventata uno dei filoni privilegiati della moderna arte visiva, soprattutto nella versione astratta ed informale (ricordiamo Burri, Tapiés, Fautrier, Duchamp, Arman, Manzoni con i suoi achrome ecc.).
La pittura classica è un’espressione bidimensionale, mentre nella pittura polimaterica, l’artista tende ad uscire da questa dimensione, per proiettarsi nello spazio, quindi con effetti tridimensionali, tattili e volumetrici.
In quest’ arte, lo spazio del quadro diventa il luogo dove si fondono sinergie tra diversi tipi di materiali come sabbia, cemento, vetro, pietre, cartone, oggetti d’uso comune e così via.
Ovviamente in questo contesto, parlare di tipi di colore non ha importanza. Possono indifferentemente venire usati colori diversi, anche i più inusuali per la pittura, come per esempio gli smalti.
Si tratta di un nuovo modo di guardare la materia e le sue possibilità di espressione, anche componendola e mescolandola con la pittura tradizionale, anche se in genere nella pittura polimaterica, la rappresentazione artistica è quasi sempre slegata da qualsiasi esigenza di rappresentazione figurativa, così come è slegata dalla materia che la compone.
La pittura polimaterica si è affacciata alla ribalta nel corso del XX secolo, in coincidenza con le prime affermazioni delle avanguardie storiche.
Esempi di pittura polimaterica, si possono trovare anche in alcuni murales.
Mentre il quadro assume una solidità tridimensionale e la trama ed il colore della materia, svincolati dall’immagine rappresentata, diventano mezzi di una ricerca esistenziale della vera essenza del reale, decade la rigida differenziazione tra pittura e scultura, in una ricerca di sintesi che, con largo anticipo sui tempi, Prampolini identifica anche come totale integrazione tra arte polimaterica ed architettura, della quale la prima è “una continuità organica“.
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