
Lo “shutdown” negli Stati Uniti è la procedura blocca tutte le attività governative non essenziali nel momento in cui il Congresso non riesce ad approvare la finanziaria.
L’ultima volta è accaduto l’anno scorso, quando repubblicani e democratici, non riuscirono a trovare un accordo sui cosiddetti “dreamer”, gli immigrati illegali entrati negli USA da minori. Questa volta a provocare lo “shutdown” è stato il presidente Trump, che voleva inserire nel bilancio i 5 miliardi necessari per la costruzione del muro lungo il confine con il Messico.
Con lo “shutdown” la pubblica amministrazione viene ridotta ai servizi essenziali e 800mila dipendenti federali rimangono a casa senza retribuzione perché le agenzie governative per le quali lavorano dichiarano la sospensione delle attività.
Quali sono gli effetti dello “shutdown“? Ecco alcuni esempi:
- gli Istituti Nazionali di Sanità non possono curare nuovi pazienti o effettuare test clinici;
- musei e parchi nazionali vengono chiusi (Statua della Libertà compresa);
- alla NASA la maggior parte dei 18mila dipendenti rimane a casa, senza stipendio. Proseguono le operazioni che riguardano la Stazione Spaziale Internazionale;
- l’Agenzia di Protezione Ambientale si ferma: stop al monitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua
- Casa Bianca e Congresso restano aperte, ma con personale ridotto;
- il personale militare del Pentagono rimane in servizio, ma il versamento degli stipendi può subire ritardi.
Da quando è stato varato il nuovo sistema di approvazione delle legge finanziaria al Congresso, nel 1976, gli Stati Uniti hanno avuto diversi ‘shutdown’. In particolare vanno ricordati gli “abortion shutdown” che sono stati 3, tra il settembre e il dicembre del 1977, quando, sotto la presidenza di Jimmy Carter, il Congresso, che era controllato dai democratici, non voleva abolire il divieto di usare i soldi del Medicaid, l’assistenza sanitaria per i ceti più poveri, per pagare gli aborti a meno che la vita della madre fosse a rischio.
Se Carter ha dovuto fronteggiare altri due shutdown, anche Ronald Reagan ha avuto diversi braccio di ferro con il Congresso per l’approvazione della legge finanziaria durante i suoi due mandati, che hanno portato a dei giorni di stop dell’attività del governo. La più curiosa risale al dicembre del 1987, quando si arrivò ad uno shutdown di un giorno per il mancato accordo sui fondi destinati ai “Contras” in Nicaragua e perché i democratici volevano reintrodurre la “Fairness Doctrine”, vale a dire una sorta di par condicio che vigeva nei talk show politici Usa.
Negli anni di George Bush sr vi è stato un solo shutdown, e nessuno nei due mandati poi del figlio, ma i veri shutdown passati alla storia, il primo con 5 giorni di serrata nel novembre 1995 e il secondo con ben 22 a dicembre dello stesso anno, sono quelli della presidenza di Bill Clinton che si trovava a fare i conti con il Congresso controllato dai repubblicani.
Anche Barack Obama ha dovuto affrontare nell’ottobre del 2013 uno shutdown che ha semiparalizzato l’America senza però riuscire a bloccare l’entrata in vigore dell’Obamacare, vero obiettivo dell’offensiva repubblicana. In era Trump quello di oggi non è il primo stop. Lo scorso gennaio il braccio di ferro tra repubblicani e democratici sul destino dei ‘dreamers’ aveva infatti portato a uno shutdown delle attività del governo durato tre giorni.“
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