Uno sguardo d’insieme
La paleontologia è arrivata alla sua attuale moderna concezione attraverso un continuo sviluppo sia dei metodi che delle idee. La sua affermazione come scienza è avvenuta soltanto agli inizi del XIX secolo.
Osservando conchiglie di origine manifestamente marina in rocce lontane dal mare filosofi e naturalisti antichi, come Pitagora e Senofane ( VI sec. a.C.), Erodoto ed Empedocle (V sec. a.C.), Aristotele e Teofrasto ( IV sec. a.C.), avevano intuito l’origine dei fossili. A Roma Lucrezio, Ovidio, Plinio il Vecchio manifestarono idee simili. Nel medioevo furono formulate curiose teorie, come quella di Avicenna (X sec.) che ammetteva l’esistenza di una vis plastica che avrebbe modellato la materia inerte formando dei lusus naturae, e quella secondo cui un’aura seminalis, cioè un vapore carico di semi proveniente dal mare, penetrando negli strati terrestri avrebbe dato origine ai fossili. Solo più tardi, con Leonardo da Vinci e Bernard Palissy, si fece strada una giusta interpretazione dei fossili, considerati come resti di organismi marini conservati nel luogo stesso in cui erano vissuti, un tempo coperto dal mare. Verso la fine del XVIII sec. fu riconosciuta l’esistenza di una successione di esseri organizzati nel corso dei tempi geologici i cui vari stadi erano rappresentati da faune sempre più differenti dalle attuali, quanto più erano antichi gli strati che le contenevano (paleontologia stratigrafica). Questo principio fu adottato nel XIX sec. da W. Smith in Inghilterra, G. B. Brocchi in Italia, Alexandre Brongniart in Francia. Buffon (1707-1788) aveva già precedentemente enunciato il principio dell’evoluzione degli esseri viventi, spiegando anche le loro differenze e la loro continuità nel tempo geologico. Cuvier (1769-1832) fu ritenuto il fondatore dell’anatomia comparata e della paleontologia come scienza, benchè negasse l’evoluzione delle specie e spiegasse il rinnovarsi delle faune per mezzo di cataclismi, rivoluzioni del globo, che avrebbero interessato ampie aree geografiche, ripopolate poi in seguito a migrazioni.
La scuola evoluzionista si andò tuttavia affermando, nonostante l’opposizione di Cuvier. Essa iniziò con l’opera di Lamarck (1744-1829) e di E. Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844), ma non raggiunse il successo che dopo la pubblicazione da parte di Darwin (1809-1882) della sua celebre opera L’origine delle specie (1859). Da allora la paleontologia divenne sempre più una scienza biologica, avendo come oggetto non solo la sistematica dei fossili, ma anche la loro ecologia (paleoecologia), la loro patologia, la loro fisiologia e la loro distribuzione nel tempo e nello spazio (paleontologia stratigrafica).
La paleontologia comprende essenzialmente due grandi divisioni: la paleontologia vegetale (paleobotanica) e la paleontologia animale (paleozoologia), comunemente indicata come paleontologia in senso stretto. Per l’importanza assunta dall’uomo in quest’ultima si distingue una particolare branca detta paleontologia umana o paleoantropologia. I resti fossili microscopici costituiscono l’oggetto della micropaleontologia.
Storia delle due interpretazioni
La genesi inorganica
La storia della paleontologia, dalle origini fino all’inizio del Settecento, è caratterizzata da due interpretazioni contraddittorie e ricorrenti nel tempo, che postulano rispettivamente la genesi inorganica e organica dei fossili. L’interpretazione dell’origine inorganica risale ad Aristotele (384-322 a.C.) ed al suo allievo Teofrasto (368-284 a.C.), cui si deve il primo trattato sui fossili.
Sin dai tempi più remoti abbiamo testimonianze che gli uomini consideravano i fossili oggetti strani a tal punto da raccoglierli e impiegarli come ornamenti. Durante l’età del bronzo i ricci di mare fossili, provenienti da sedimenti gessosi, venivano utilizzati per ornare le tombe, mentre alcune popolazioni dell’America cento-meridionale utilizzavano i denti di squalo fossili come punte per le proprie frecce.
Anche nell’antichità classica abbiamo testimonianze che possiamo ricollegare alla scienza paleontologica. Senofane di Colofone (VI,V secolo a.C.) considerava i fossili da lui ritrovati come antichi organismi vissuti quando il mare ricopriva quelle regioni e la stessa opinione aveva Erodoto(500-425 a.C.).
Altri studiosi che si sono interessati di fossili sono Pitagora e la sua scuola, come riportato da Ovidio nelle sue Metamorfosi.
Aristotele (384-322 a.C.) si occupò dei resti fossili tentando di fornire una spiegazione della loro esistenza. Così assieme al suo allievo Teofrasto (368-284), ipotizzò una sorta di generazione spontanea che immaginava i fossili come prodotti da “esalazioni secche” che nascevano dalla terra stessa. Le idee aristoteliche trovarono numerosi seguaci fino a tutto il Medioevo.
L’interpretazione della scuola aristotelica ebbe un’influenza determinante sulla maggior parte dei naturalisti del Medioevo da ritrovarla, perfino all’inizio del Settecento, postulata ancora con convinzione. Ma prima di Aristotele già alcuni autori avevano ammesso esplicitamente l’origine organica dei fossili, osservando in prevalenza conchiglie, interpretandoli come resti di organismi marini abbandonati dal mare.
Nel Rinascimento permangono ancora interpretazioni sull’origine inorganica dei fossili, talora legate ad effetti astrali, talora a forze interne come la vis plastica o il succus lapidescens; in seguito fiorirono numerose altre teorie, figlie delle concezioni aristoteliche, quali: lusus naturae, materia pinguis, aura seminalis, spiritus lapidificus. Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), nella Naturalis Historia ci fornisce un critico ed accurato quadro delle congetture, anche le più fantasiose, che nel mondo antico si avevano sui fossili. Non mancarono però nel corso dei secoli studiosi che si opposero, almeno in parte, a queste concezioni “fantastiche”.
Nel Medioevo spicca Restoro D’Arezzo (XIII sec.) che nell’opera La Composizione del Mondo(1282) riconosce i fossili per resti di organismi trasportati insieme con i sedimenti a formare rilievi ad opera di acque di un diluvio.
Leonardo da Vinci dimostra una profonda conoscenza dei processi di fossilizzazione gi intorno al 1508 e per questo illustre scienziato il riconoscimento della natura organica dei fossili era pressoch indiscussa almeno per quei molluschi cenozoici, che avevano corrispondenti viventi. Con il diffondersi di nuove filosofie meccanicistiche nel XVII sec. si ripropone l’origine organica dei fossili.
Studi più sistematici sull’origine organica dei fossili, che fondarono la moderna paleontologia e fecero abbandonare la vecchia idea della “vis plastica “, furono compiuti nel XVII secolo da Agostino Scilla e da Stenone.
Teoria della genesi inorganica
Enunciata dalla scuola aristotelica, nel Medioevo e nel Rinascimento, era la spiegazione più in voga per i fossili e traeva fondamento dalla teoria della generazione spontanea della vita. Si credeva, cioè, nell’esistenza di una forza particolare (vis plastica) capace di plasmare esseri viventi: gli oggetti estratti dalle rocce, a forma di animale o di pianta, rappresentavano i tentativi non riusciti di tale forza. L’esistenza di strutture simili agli organismi viventi era del resto ammissibile anche nella filosofia neoplatonica. In tale corrente di pensiero non esiste una netta distinzione tra viventi e non viventi; tutte le entità presenterebbero in misura diversa i caratteri della vita. Così, anche i cristalli ed il loro accrescimento, in tale pensiero, rappresentavano un carattere analogo alla vita.
In quest’ottica vanno quindi considerate le opere dei sostenitori della teoria inorganica ed in particolare le opere di Georg Bauer (1495-1555), conosciuto con il nome di Agricola, e di Conrad Gesner (1516-1565), che classificarono un’ampia gamma di fossili senza tentare di risolvere il problema dell’origine di quegli oggetti che presentavano una grande affinità con gli animali o le piante viventi. Se prescindiamo dalle basi teoriche di queste opere, che risentivano di una concezione statica del mondo, occorre ammettere che la documentazione presentata da questi autori contribuì in modo notevole alla scoperta dei fossili come resti organogeni e quindi allo stesso superamento della teoria dell’origine inorganica. La teoria dell’origine inorganica fu completamente e coperta di ridicolo nei primi decenni del 1700 quando il prof. Johann Beringer di Wurzburg portò alla luce e iconografò nella sua opera Lithographiae wirceburgensis (1726) alcuni “fossili” scolpiti e sepolti dai suoi studenti, o più probabilmente, come suggerisce la letteratura, da alcuni suoi colleghi universitari.
La genesi organica
Si deve a Fabio Colonna (1567-1640) un piccolo saggio sulle glossopetrae in cui se ne dimostra l’origine organica e che vengono correttamente riferiti a denti di squalo. Il concetto fu ripreso da Niels Stensen (1638-1686), noto anche come Stenone, che ha il merito di aver dimostrato in maniera convincente che i fossili sono autentici resti di organismi vissuti nel passato ma anche che la stratificazione delle rocce conseguenza della deposizione e solidificazione di materiale sospeso in acqua. Ciò aprì le porte al concetto, nuovo per allora, che la terra era in continuo divenire. In generale, in quel secolo, non vi era ancora coscienza dei tempi geologici come li intendiamo noi oggi. I fossili erano pertanto inquadrati all’interno della cronologia umana e attribuiti a organismi vittime del Diluvio Universale. Poiché la nozione di estinzione era allora inaccettabile in quanto contrastava con l’opinione corrente che ogni oggetto naturale doveva mostrare la saggezza di Dio, molti fossili marcatamente diversi da quelli attuali (in genere quelli paleozoici e mesozoici) erano difficilmente considerati come di provenienza organica. Alla fine del XVII sec. e nel XVIII sec. si svilupparono teorie cosmologiche che per si inquadrano tutte nella storia umana dalla Creazione alla fine del Mondo.
In questo periodo spicca la figura del naturalista francese Georges Buffon (1707-1788) che mostra già con l’Histoire Naturelle un’impostazione della ricerca naturalistica basata sul principio dell’attualismo. Il principio dell’attualismo verrà poi sviluppato esaurientemente da James Hutton(1726-1797) nel The theory of the Earth (1788).
Nel suo complesso il sec. XVIII può essere anche ricordato per lo sforzo dei naturalisti tendente ad ottenere una classificazione ragionata dei fossili che, accompagnata da accurate illustrazioni, permise di porre la basi per approfondimenti successivi. I naturalisti di questo secolo erano inoltre abbastanza consapevoli del legame fossile-litologia e che i fossili potessero fornire indicazioni sulla storia della vita sulla terra cos come le monete testimoniano la storia dell’umanità.
Fu per con l’inizio del sec. XIX che queste nozioni si svilupparono appieno, con studiosi come George Cuvier (1769-1832), che può essere considerato il fondatore della paleontologia dei vertebrati. Nella seconda met del XIX secolo con l’affermarsi delle idee evoluzioniste ( Lamarck, Darwin) i fossili furono definitivamente considerati e studiati come resti di antiche popolazioni soggetti alle stesse leggi della biologia che regolano gli attuali organismi. I fossili diventano in questo modo la testimonianza delle trasformazioni degli esseri viventi nel corso del tempo e della continua diversificazione ed evoluzione degli organismi. Gli studi paleontologici e geologici hanno fatto conoscere quindi la storia dei cambiamenti biologici del passato e sono stati determinanti a modificare la concezione umana di un mondo naturale, sempre uguale ed immutabile.
Durante il XIX secolo i fossili sono stati studiati per la classificazione e in seguito impiegati nella ricerca della risoluzione di alcuni problemi come quello relativo alla determinazione dell’età delle rocce. In particolare, agli inizi del 1800, un medico inglese, Gideon Mantell, trovò un grosso osso in un mucchio di pietre: studiandolo, capì che non poteva essere una mandibola di mammifero, perché le rocce che lo circondavano erano troppo antiche. Però, notando la somiglianza di quei denti con i denti dell’odierna iguana, Mantell stabilì che l’animale era un enorme rettile erbivoro. Lo chiamò Iguanodon, dal greco “dente d’iguana”. Qualche anno dopo, il geologo William Bucklandtrovò un’altra mascella di rettile, stavolta carnivoro, e lo chiamò Megalosaurus, “grande lucertola”. La caccia ai fossili era definitivamente iniziata.
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