Zachar Prilepin- Il monastero (scheda)

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Zachar Prilepin- Il monastero (2014)

 

Questo romanzo cupo, ambientato in un campo di prigionia sovietico degli anni Venti vi farà rabbrividire sotto le coperte. È una bruciante satira politica estremamente critica nei confronti delle prospettive del Paese.

Un «capolavoro», un «romanzo epocale», un «classico istantaneo» secondo Lev Danilkin, uno dei più accreditati critici russi, paragonato a Tolstoj e Omero, a Dostoevskij e ovviamente Solzenicyn, vincitore dei maggiori premi nazionali: Il monastero di Zachar Prilepin è stato concepito, presentato e vissuto come evento, destinato a entrare subito nelle classifiche, e a consacrare lo scrittore più discusso della Russia come l’erede di una grande tradizione. Operazione riuscita, almeno a giudicare dagli applausi arrivati da ogni parte a questo romanzo di dimensioni poco tascabili, complesso e duro, che ora la Voland propone in italiano (pp. 704, € 25), in una traduzione che ne rende bene le sfumature e il ritmo.

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Era da tanto tempo che gli intellettuali moscoviti non spendevano una parola buona per Zachar Prilepin, classe 1975, famoso per le sue battaglie politiche quanto per le attività letterarie. Ha suscitato un terremoto con una lettera aperta in cui si dichiarava stalinista, e il suo personaggio è in sintonia con l’attualità: nazionalista, macho, un po’ nostalgico dell’Urss e tanto della Russia tradizionale, reduce dalla Cecenia e militante con i ribelli filorussi nel Donbass, alfiere dei new media che però dichiara di avere sempre dietro il libro di preghiere. Con Il monastero irrompe in un territorio sacro per la prosa russa: il romanzo è ambientato nel 1929 a Solovki, il primo Lager costruito dai bolschevichi nell’ex monastero degli zar. È probabilmente la prima «prosa del Gulag» scritta da qualcuno che non ci ha mai messo piede, anche se Prilepin si è minuziosamente documentato e molti personaggi hanno prototipi reali.

 

Metafora di un Paese

Chi si aspetta gli orrori del Gulag non verrà deluso. La trama conduce il protagonista Artiom, giovane moscovita-bene condannato per l’omicidio del padre, tra fucilazioni sommarie, percosse, torture e umiliazioni. Il suo compito è sopravvivere, e la costruzione del romanzo ha il respiro della tradizione classica e il ritmo di una serie tv, o un gioco «quest», dove si sale da un livello all’altro, tra colpi di scena e cambiamenti di ambienti, personaggi e situazioni. Artiom è giovane, forte, ottimista e animato da una voglia di vivere che lo porta dalle segrete di tortura ai vertici del campo, dall’evasione nel mare ghiacciato ai «salotti» dei detenuti intellettuali, in un universo multidimensionale, illuminato anche da una appassionata e torbida storia d’amore. Il Lager – che nel famoso dibattito tra Aleksandr Solzenicyn e Varlam Shalamov rappresentava per il primo l’opportunità di migliorarsi, e per il secondo un’aberrazione senza possibilità di redenzione – per Prilepin è qualcosa di quasi normale e tutti, a turno, si trasformano da vittime in carnefici, e viceversa.

 

La novità, e la sfida, è un Gulag che non è più l’inferno degli innocenti. Nel suo «quest» Artiom – non una vittima del regime, ma colpevole di un delitto terribile – incontra decine di personaggi, dagli ufficiali della Ceka agli ex monaci, dai criminali comuni agli intellettuali rinchiusi per il loro dissenso. I lavori forzati si alternano a lunghe e dotte discussioni su storia, letteratura, politica e religione. L’isola di Solovki diventa una metafora della Russia intera. Il comandante di questo universo parallelo, Fiodor Eikhsmanis – ispirato al reale fondatore del Gulag – racconta il passato del monastero, prigione e luogo di tortura da quattro secoli, e teorizza una continuità della sanguinaria storia russa.

 

Prilepin non è un «negazionista» del Gulag, anzi, lo descrive in uno stile quasi pulp, ma ne cambia radicalmente la prospettiva. Eikhsmanis – il vero eroe positivo del romanzo – è un genio dell’organizzazione, un uomo colto di molteplici interessi e passioni, una sorta di «manager efficiente» (come Putin definì Stalin) che trasforma una prigione in un’impresa modello, con biblioteche, teatri, laboratori scientifici e officine.

 

Assassini e traditori

Non ci sono innocenti, ed è da una massa di assassini, traditori e peccatori che Eikhsmanis deve «forgiare l’uomo nuovo», come esclamò di ritorno da Solovki nel 1930 Maksim Gorkij. Ma Prilepin va ben oltre il padre del realismo socialista: invece di spacciare Solovki per un paradiso, lo racconta come un inferno avvincente.

 

Costruito abilmente come un romanzo-verità, Il monastero è una prateria di allusioni e citazioni, a cominciare dall’incipit, con un dialogo in francese che rimanda inevitabilmente a Guerra e pace. Prilepin ha ambiziosamente confessato di aver voluto unire nel suo testo «tutti e tre i fratelli Karamazov più Smerdjakov». Non è una storia di risveglio iniziatico: Artiom esce dalle sue avventure, dalle discussioni con i vari personaggi ai quali vengono affidati brandelli di messaggi programmatici, dalle prove fisiche e morali, esattamente uguale a come vi era entrato. Lo stesso autore si chiede se, vista con gli occhi degli altri personaggi, sarebbe stata una storia diversa, «o sempre la stessa». Il Gulag è la metafora e il destino della Russia, e in quanto tale va accettato.

 

Fonte: ANNA ZAFESOVA

https://www.lastampa.it/2017/06/13/cultura/nel-monastero-con-zachar-prilepin-il-gulag-il-destino-della-russia-8zdvFd1n3G9lz3qIOLm0HL/pagina.html



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