CANTO DELLA SCHIERA DI IGOR’
DI IGOR’ FIGLIO DI SVJATOSLAV, NIPOTE DI OLEG
Esordio nel ricordo di Bojan
- Non sarebbe forse meglio, o fratelli, intonare in stile antico il racconto della schiera di Igor’, di Igor’ figlio di Svjatoslav?
- Che invece questo canto esordisca secondo i fatti del nostro tempo, e non secondo la fantasia di Bojan. Ché il vate Bojan, se per qualcuno voleva cantare un canto, si arrampicava come uno scoiattolo sugli alberi, correva per la terra come un lupo grigio, volava sotto le nubi come un’aquila azzurra.
- Rievocava, diceva, le battaglie dei tempi andati. Lanciava allora dieci falchi contro uno stormo di cigni, e quale che arrivava a segno intonava per primo un canto in onore dell’antico Jaroslav, per l’ardito Mstislav che trafisse Rededja davanti alle schiere circasse, al bel Roman figlio di Svjatoslav.
- Ma Bojan, o fratelli, non dieci falchi lanciava contro lo stormo di cigni: ma posava le sue dita stregate sopra le corde viventi e quelle da sole cantavano ai principi gloria.
Il presagio dell’eclisse
- Cominciamo dunque, o fratelli, questo racconto dall’antico Vladimir all’odierno Igor’, il quale temprò la mente con la volontà, infiammò il cuore con il coraggio, e ricolmo di spirito guerriero condusse le sue valorose schiere oltre la terra russa, in terra polovesiana.
- Alzò Igor’ lo sguardo al sole lucente e vide che da esso veniva un’ombra che copriva le schiere.
- E disse Igor’ alla sua družina: – Fratelli e družina, è meglio morire che essere fatti prigionieri. Montiamo perciò, o fratelli, sui nostri veloci destrieri per guardare l’acqua dell’azzurro Don!
- S’infiammò al principe il cuore per il desiderio di guerra e la brama di bere l’acqua dell’azzurro Don gli rese oscuro il presagio.
- Disse: – Con voi o Russi, voglio spezzare la mia lancia sul confine del campo cumano; voglio sacrificare la mia testa o bere con l’elmo l’acqua del Don!
La schiera di Igor’ marcia verso la battaglia
- O Bojan, usignolo del tempo antico! Se fossi stato tu a celebrare queste imprese, saltando come un usignolo sugli alberi, volando con la mente sotto le nubi, congiungendo le due ali della gloria dei nostri tempi, percorrendo il sentiero di Trojan, attraverso i campi e verso le montagne, così, intoneresti questo canto per suo nipote Igor’:
- «Non la tempesta ha portato i falchi attraverso le ampie distese: stormi di cornacchie fuggono verso il grande Don.»
- Invece così avresti dovuto cantare, o profetico Bojan, nipote di Veles:
- «I cavalli nitriscono oltre la Sulà, risuonano inni di gloria a Kiev, squillano le trombe a Novgorod, si alzano gli stendardi a Putivl’.»
L’incontro di Igor’ e Vsevolod
- Igor’ aspetta Vsevolod, il caro fratello.
- E gli disse Vsevolod, Toro Impetuoso:
- «Unico fratello, unica mia luce, o tu, Igor’! Siamo entrambi figli di Svjatoslav!
- «Sella, fratello, i tuoi veloci destrieri, ché i miei son già pronti, sellati per te nei pressi di Kursk. E ti saranno compagni i miei esperti guerrieri kuriani, al suono delle trombe fasciati, sotto gli elmi cullati, sulla punta della spada allattati. A loro sono note le strade, conosciuti i sentieri. Hanno gli archi ben tesi, aperte le faretre, le sciabole affilate. Corrono nel campo come lupi grigi, per sé onore cercano e per il principe gloria!
Incursione delle schiere russe nel campo polovesiano
- Allora montò il principe Igor’ sulla staffa d’oro e galoppò nel campo aperto.
- Il sole gli sbarrò il cammino di tenebra. La notte gemette tempesta, risvegliando gli uccelli. Si levò l’ululato ferino delle belve. Gridò Div dall’alto di un albero, affinché lo udisse la terra straniera: la Vol’ga e il litorale di Crimea, e Surož, e l’Oltresulà, e il Chersoneso, e te, grande idolo di Tmutorokan’!
- I Polovesiani fuggono per ignoti sentieri verso il grande Don. Stridono i carri nella notte, come cigni atterriti. Igor’ conduce la schiera verso il Don.
- Ma per sua sciagura dall’alto delle querce lo guata Div in forma di uccello. Nei dirupi ululano i lupi alla tempesta, le aquile stridono chiamando le belve al banchetto, ganniscono le volpi contro gli scudi scarlatti.
- Sei già oltremonte, terra di Rus’!
- A lungo s’abbuia la notte. L’alba si accende di l La nebbia ricopre i campi. Si è assopito il trillo degli usignoli, il gracchiare delle cornacchie si è destato.
- Con gli scudi scarlatti i Russi ricoprono campi immensi, cercando per sé onore e per il principe gloria.
- All’alba di venerdì, travolsero le orde pagane dei Polovesiani e, spargendosi come frecce per il campo, rapirono le belle fanciulle cumane, e presero oro, e sete e preziosi broccati. E con mantelli, gualdrappe e pellicce, con ogni gemmato tessuto cumano si misero a gettar ponti su paludi e fangosi pantani.
- Rosso stendardo, bianco gonfalone, vessillo scarlatto, argentea insegna per il prode figlio di Svjatoslav!
Riscossa dei Polovesiani
- Dorme nel campo l’ardito nido di Oleg, si è involato lontano! Ma non era nato per subire l’offesa del falco, né quella dello sparviero, né la tua, nero corvo cumano!
- Corre Gzak, come lupo grigio, Končak gli traccia il cammino verso il grande Don.
- L’indomani un’aurora di sangue annuncia la luce. Nere nubi avanzano dal mare, vogliono oscurare i quattro soli, dentro vi fremono fosche saette. Dovrà scoppiare una possente tempesta, dovrà scrosciare una pioggia di frecce dal grande Don! Qui le lance si spezzeranno, andranno in pezzi le spade contro gli elmi cumani, sul fiume Kajala, presso il grande Don!
- Sei già oltremonte, terra di Rus’!
- Ecco i venti, nipoti di Stribog, soffiano le frecce dal mare contro la schiera valorosa di Igor’. Rintrona la terra, scorrono torbidi i fiumi, la polvere copre i campi, gridano gli stendardi:
- «Avanzano i Polovesiani dal Don, dal mare e da ogni dove, le schiere russe sono circondate. I figli di Bes riempiono di grida la steppa, i valorosi Russi gli sbarrano il passo con gli scudi scarlatti!»
Vsevolod, Toro Impetuoso
- O Vsevolod, Toro Impetuoso! Piantato in difesa, tu rovesci le frecce contro i nemici, fai rintronare sugli elmi le spade di acciaio brunito.
- Dovunque tu balzi, col tuo splendido elmo d’oro, là cadono le teste pagane dei Polovesiani, dalla tua sciabola son frantumati gli elmi àv Per opera tua, Vsevolod, Toro Impetuoso!
- Che importano le ferite, fratelli, a colui che sprezzò onori e ricchezze, l’aureo trono del padre nella rocca di Černigov, e l’amore e le carezze della sposa diletta, la bella figlia di Gleb?
Oleg, il seminatore di discordie
- Sono lontani i tempi di Trojan, lontani gli anni di Jaroslav: ci furono le imprese di Oleg, Oleg figlio di Svjatoslav. Ché Oleg invero con la spada temprò la discordia, di frecce seminò la terra.
- Saliva Oleg sulla staffa d’oro, nella città di Tmutorokan’, e ne udiva il suono il grande, vecchio Vsevolod, nipote di Jaroslav, mentre Vladimir a Černigov si turava le orecchie.
- La brama di gloria trasse Boris figlio di Vjačeslav al giudizio e sul Kanin gli fu steso un verde sudario per l’offesa arrecata ad Oleg, valente e giovane principe.
- Così dal fiume Kajala ordinò Svjatopolk che il padre suo fra destrieri ungheresi fosse portato a Santa Sofia in Kiev.
- Al tempo di Oleg figlio di Amara Gloria, si seminavano e crescevano le discordie, periva la potenza dei nipoti di Daž’bog e nelle contese dei principi si accorciava la vita alla gente.
- Di rado il contadino cantava nell’arare la terra: più spesso i corvi gracchiavano contendendosi tra loro i cadaveri e nella loro lingua le cornacchie si chiamavano per invitarsi al banchetto.
- Questo accadeva in quelle guerre e in quelle campagne, ma di una simile impresa mai s’era udito parlare!
La sconfitta di Igor’
- Dall’alba alla sera, dalla sera all’alba, volano frecce temprate, scrosciano sciabole contro elmi, crepitano lance di acciaio brunito, nel campo straniero, nella terra cumana.
- Sotto gli zoccoli la nera terra è seminata di ossa, irrigata di sangue. Con dolore nel campo sono periti in nome della terra di Rus’.
- Qual strepito io sento, che cosa risuona lontano, prima dell’alba?
- IGOR’ volge indietro le schiere, ha pietà di Vsevolod, il caro fratello! Combatterono un giorno, combatterono il secondo, il terzo giorno al meriggio caddero le insegne di Igor’.
- Qui si separarono i fratelli, sulla riva del rapido Kajala. Qui più non bastava il vino di sangue e misero fine al banchetto i bravi guerrieri: diedero da bere ai compagni e caddero per la terra di Rus’.
- Si piega l’erba per il dolore, a terra per il dolore si chinano gli alberi!
La discordia e il dolore opprimono la terra russa
- Perché ormai, o fratelli, è sorto il tempo del dolore e la steppa ha sopraffatto le schiere! Perché la sconfitta si è levata sulle le schiere del nipote di Daž’bog; come una fanciulla è sorta sulla terra di Trojan e ha agitato ali di cigno sul mare nemico, presso il Don; battendo le ali ha disperso i tempi dell’abbondanza.
- È venuta meno la lotta dei principi contro i pagani, ché disse il fratello al fratello: «Questo è mio ed anche questo è mio!» Di ogni piccola cosa i principi dicevano «è grande!», forgiando tra loro la discordia. Intanto i pagani giungevano da ogni dove, vittoriosi in terra russa.
- Oh, lontano s’involò il falco, sterminando gli uccelli fino al mare!
- Più non risorgerà l’ardita schiera di Igor’!
- Dietro di lei gridò il dolore, e il pianto corse per la terra russa, agitando il fuoco nel funebre corno!
- Proruppero in lacrime le donne russe nel dire: «A noi ormai i cari sposi più non è dato né in pensiero pensare, né in idea ideare, né con gli occhi guardare, né oro e argento con la mano sfiorare.»
- E gemette, fratelli, Kiev nel dolore, e Černigov nell’avversità. L’afflizione corse sulla terra di Rus’, una grande mestizia si sparse nella terra di Rus’. E mentre i principi forgiavano tra loro le discordie, i pagani irrompevano vittoriosi nella terra russa, esigendo un tributo ad ogni focolare.
Elogio di Svjatoslav
- Questi due prodi, i figli di Svjatoslav, Igor’ e Vsevolod, ridestarono l’ostilità: quell’ostilità che il terribile gran principe di Kiev, il loro signore Svjatoslav, aveva a suo tempo assopito con la forza. Quale tempesta, aveva fatto tremare i pagani con le sue possenti schiere; con spade di acciaio brunito si era inoltrato in terra cumana, aveva calpestato colline e dirupi, resi torbidi torrenti e paludi, strappato come un turbine il pagano Kobjak dall’arco del mare, dalle ferree orde cumane. Ed era stato trascinato Kobjak nella città di Kiev, fin nella vasta sala di Svjatoslav.
- E ora i Tedeschi e i Veneziani, i Greci e i Moravi cantano gloria a Svjatoslav ma compiangono il principe Igor’, che ogni ricchezza ha sprofondato nel Kajala, nel fiume cumano l’oro russo ha disperso.
- Qui il principe Igor’ è smontato dalla sella d’oro ed è salito su quella del prigioniero. Triste fu la gente. Sui bastioni delle città venne meno la gioia.
Il sogno di Svjatoslav
- Intanto Svjatoslav ebbe un sogno confuso:
- «Nella rocca di Kiev, questa notte, mi rivestivano sul far della sera di un nero sudario sopra un letto di tasso, mi mescevano vino fosco mescolato a dolore, dalle vuote faretre dei traduttori pagani una bella perla lasciavano sul mio petto cadere.
- «E cantano il lamento per me. Già hanno tolto la trave centrale nel mio terem dalla cupola d’oro!
- «Sin dalla sera, per tutta la notte, hanno gracchiato i corvi demoniaci nelle paludi di Plesensk: venivano da Kisan’ e verso il fosco mare volavano.»
- E dissero i boiari al principe: «Già il dolore, o principe, ha serrato la tua mente, ché i due falchi sono volati lontano dal trono d’oro del padre, a conquistare la città di Tmutorokan’ o per bere con l’elmo l’acqua del Don. Già le ali ai due falchi tarparono le sciabole cumane ed essi con catene di ferro furono avvinti.
- «Il terzo giorno vinse la tenebra, i due soli si oscurarono, si spensero le due colonne di porpora; e con loro le due giovani lune Oleg e Svjatoslav si avvolsero di tenebre, scomparvero nel mare e dettero gran tripudio alla gente nemica.
- «Sul fiume Kajala l’ombra ha coperto la luce e si sparsero i Polovesiani come una cucciolata di ghepardi.
- «Già il disonore ha sommerso la gloria, la schiavitù ha schiacciato la libertà, già Div è piombato sulla terra di Rus’ e le belle fanciulle dei Goti cantano sulle rive del mare: cantano i tempi di Bus, celebrano la vendetta di Šarokan. Ma noi, o družina, siamo privi di gloria.»
L’aureo discorso del gran principe
- Allora il grande Svjatoslav proruppe in un aureo discorso mescolato col pianto:
- «O nipoti miei, Igor’ e Vsevolod! Troppo presto cominciaste a offendere con la spada la terra cumana, in cerca di gloria: ma nel disonore vi siete battuti, nel disonore avete versato il sangue pagano.
- «I vostri cuori arditi sono forgiati in acciaio crudele e nel furore tempr Perché avete fatto questo alla mia canizie d’argento?
- «Più non vedo il forte potere, le ricchezze e le schiere del fratello mio Jaroslav, con i nobili di Černigov, i Moguti, i Tatrani, gli Šelbiri, i Topčaki, i Revughi e gli Olberi. Costoro senza scudi, coi soli pugnali, gridando sbaragliano le schiere, facendo risuonare la gloria degli avi.
- «Ma voi diceste: combattiamo da soli, da soli dividiamo la gloria futura e la passata supereremo! Ma non è forse strano, o fratelli, che il vecchio ringiovanisca? Quando un falco muta le penne, in alto caccia gli uccelli, né lascia che saccheggino il suo nido. Ma ecco il male: i principi non mi vengono in aiuto e il tempo si è volto in sciagura.
- «Ecco che a Rimov gridano sotto le spade cumane, e Vladimir piange per le ferite: dolore e angoscia al figlio di Gleb!»
Appello ai principi
- Gran principe Vsevolod! Non dovresti accorrere da lontano solo col pensiero a difendere il trono d’oro del padre! Tu solo puoi battere coi remi la Vol’ga e attingere con l’elmo l’acqua del Don! Se tu fossi stato qui, o principe, a un soldo si venderebbero le schiave e uno schiavo un centesimo! Perché tu puoi lanciare vive lance di fuoco, con gli arditi figli di Gleb!
- O tu, impetuoso Rjurik, e tu, Davyd! Non sono stati i vostri ardenti guerrieri a nuotare nel sangue fino agli elmi d’oro? Non sono stati i vostri valorosi eserciti a ruggire come tori selvaggi, straziati da sciabole temprate, in terra straniera? Salite, o signori, sulla staffa dorata, per vendicare l’offesa di questo tempo, per la terra di Rus’, per le ferite di Igor’, valoroso figlio di Svjatoslav!
- Jaroslav dall’ottuplice pensiero, principe di Galizia! Alto siedi sul tuo trono dorato e reggi i monti ungheresi con le tue schiere ferrigne, e al re magiaro sbarri la strada, chiudendo le porte al Dunaj, scagliando macigni oltre le nubi, amministrando la giustizia fino al Dunaj. Scorrono le tue minacce per le terre, tu apri le porte di Kiev; dall’aureo trono paterno tu frecci i sultani oltre le terre; folgora dunque, o signore, anche il pagano Končak! Per la terra di Rus’, per le ferite di Igor’, valoroso figlio di Svjatoslav!
- E tu impetuoso Roman, e tu Mstislav! Ardimento e passione conducano la vostra mente all’impresa!
- In alto levato nell’intrepida impresa, come falco che si libra sui venti, quando nel suo furore attacca gli altri uccelli. Avete corazze di ferro sotto gli elmi latini. Per esse tremò la terra e molti popoli: Unni e Lituani, Jatvinghi e Deremeli, Finni e Polovesiani: gettarono i loro giavellotti e chinarono il capo sotto queste spade d’acciaio.
- Ma ormai, o principe, per Igor’ si è spenta la luce del sole mentre all’albero tristi son cadute le foglie: lungo la Ros’ e la Sulà i nemici si son spartiti le città, ma più non risorgerà l’ardita schiera di Igor’!
- Il Don ti invoca, o principe, e chiama i principi alla riscossa. Ma la valorosa schiatta di Oleg non è più sul piede di guerra…
- Ingvar e Vsevolod, e tutti e tre voi, figli di Mstislav! Serafini dalle sei ali di non ignobile nido! Non per vittorie fratricide diventaste signori dei vostri domini! Dove sono i vostri elmi dorati e le spade polacche e gli scudi? Sbarrate le porte alla steppa con le frecce puntute, per la terra di Rus’, per le ferite di Igor’, valoroso figlio di Svjatoslav!
- Più non scorre la Sulà coi suoi flutti d’argento per la città di Perejaslavl’, né la Dvinà paludosa per la città di Polock, ma sotto il grido di guerra pagano! Solo Izjaslav figlio di Vasil’ko fece risuonare le spade affilate contro gli elmi lituani superando la gloria dell’avo Vseslav!
- E cadde egli stesso sotto gli scudi scarlatti, falciato sull’erba insanguinata dalle spade lituane. E disse, come con la sposa sul letto nuziale: «La tua družina, o principe, coprirono gli uccelli con le ali e le fiere ne leccarono il sangue.»
- Né c’era colà il fratello Brjačislav, né l’altro fratello Vsevolod. Da solo, l’anima di perla esalò dal fiero corpo, attraverso l’aurea collana. Divennero meste le voci, venne meno la gi Piangono le trombe a Gorodec.
- O figli di Jaroslav e voi tutti nipoti di Vseslav! Tempo è di abbassare le insegne e di riporre nel fodero le logore spade. Già vi siete allontanati dalla gloria degli avi! Voi, con le vostre contese, cominciaste a far venire i pagani nella terra di Rus’, sui possedimenti di Vseslav. Per le lotte intestine si scatenò la violenza dalla terra cumana!
Vseslav, il principe stregone
- Nella settima età di Trojan, gettò Vseslav le sorti per la fanciulla che tanto desiderav E promettendo astutamente i cavalli, volò fino alla città di Kiev e con la lancia sfiorò il trono d’oro di Kiev.
- Subito balzò lontano da Kiev, come belva feroce correndo a mezzanotte da Belgorod, ammantato di azzurra bruma. Il mattino conficcò le asce, aprì le porte di Novgorod e distrusse la gloria di Jaroslav.
- Balzò qual lupo da Dudutki fino al fiume Nemiga. E là sulla Nemiga fanno covoni di teste, trebbiano con catene di ferro, gettano le vite sull’aia, vagliano le anime dai corpi.
- In tristo modo furono seminate le sponde insanguinate della Nemiga, furono seminate con le ossa dei figli di Rus’.
- Il principe Vseslav amministrava la giustizia, e governava i principi delle città, nella notte però galoppava come lupo, prima del canto del gallo correva da Kiev fino a Tmutorokan’ e tagliava la strada al grande Chors.
- Per lui suonavano a mattutino le campane di Santa Sofia a Polock ed egli a Kiev ne udiva i rintocchi.
- Benché avesse un cuore di stregone in quel doppio corpo, nondimeno patì sventure.
- Per lui il vate Bojan per primo proferì queste parole: «Né all’astuto, né al sapiente, né all’esperto stregone è dato sfuggire il giudizio di Dio».
Il pianto della terra di Rus’
- Oh, pianga la terra di Rus’ ricordando gli anni passati e i principi di una volta!
- Quell’antico e saggio Vladimir, impossibile inchiodarlo nel suo palazzo tra i colli di Kiev. I suoi stendardi sono oggi quelli di Rjurik e quelli di Davyd: ma disgiunti sventolano i drappi, le une contro le altre cantano le lance!
Il lamento di Jaroslavna
- Si ode sul Dunaj la voce di Jaroslavna, piange al mattino qual gabbiano solitario: «Volerò come un gabbiano lungo il Dunaj, nel Kajala bagnerò la mia manica di seta e al principe tergerò le sanguinose ferite sul suo corpo possente.»
- Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O vento, venticello! Perché, signore, soffi nemico? Perché porti le frecce unne sulla tua ala leggera contro i guerrieri del mio sposo? Non ti bastava in alto, sotto le nubi soffiare, cullando le navi sull’azzurro mare? Perché, signore, sull’erba della steppa hai dissipato la mia gioia?»
- Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O Dnepr, figlio di Slovuta! Hai attraversato i monti di pietra passando per la terra cumana. Hai portato su di te le navi di Svjatoslav fino al campo di Kobjak. Porta, signore, fino a me il mio sposo, perché io non gli mandi le mie lacrime sul far del mattino.»
- Sul far dell’alba piange Jaroslavna sul bastione di Putivl’ dicendo: «O sole lucente, tre volte lucente. Sei per tutti così caldo e bello! Perché, signore, hai disteso il tuo raggio ardente contro i guerrieri del mio sposo, perché nell’arido campo i loro archi hai allentato, i loro turcassi serrato?»
La fuga del principe Igor’
- S’increspa il mare di mezzanotte, avanzano turbinando le nuvole, al principe Igor’ Dio indica la strada dalla terra cumana alla terra russa, dov’è il trono d’oro degli avi. I bagliori del tramonto si sono spenti.
- Igor’ Igor’ veglia. Igor’ misura col pensiero la terra dal grande Don al piccolo Donec.
- A mezzanotte Ovlur fischia chiamando i cavalli oltre il fiume. Intima al principe di prepararsi.
- Il principe Igor’ non c’è più!
- Grida, rintrona la terra, fruscia l’erba! C’è agitazione tra i carri polovesiani.
- Fugge intanto il principe Igor’, ermellino tra i canneti, bianca anatra sull’acqua, balza sul veloce destriero e da esso salta giù come lupo grigio, corre fino alla valle del Donec, volando come un falco sotto le nubi, strage di oche e cigni facendo per colazione, pranzo e cena.
- Se Igor’ volava come falco, trottava Vlur come lupo, scuotendo di dosso la gelida rugiada. E sfiancarono i veloci destrieri.
Dialogo del principe Igor’ col fiume Donec
- Disse il Donec: «O principe Igor’! Non piccola è la tua gloria, mentre a Končak vergogna e gioia alla terra di Rus’!»
- IGOR’ disse: «O Donec, non piccola è la tua gloria, per aver cullato il principe sulle tue onde, avergli steso erba verde sulle tue sponde d’argento, averlo avvolto di calde brume sotto un albero verde, per averlo vegliato come un’anatra sull’acqua, come un gabbiano sull’onda, come una folaga nel vento!
- «Non così,» disse, «il fiume Stugna che con scarsa corrente, dopo aver superato gli altri ruscelli e torrenti, si apre verso la foce. Il principe Rostislav inghiottì nel suo fondo. Presso la buia riva, piange la madre di Rostislav, piange la madre del giovane principe Rostislav, intristiti appassiscono i fiori, per l’angoscia si piegano gli alberi a terra.»
Gzak e Končak inseguono il principe Igor’
- Non sono state le gazze a gracchiare, ma Gzak e Končak che inseguono il principe Igor’.
- Non gracchiano i corvi, tacciono le cornacchie, non strillano le gazze. Solo strisciano i serpi. E i picchi coi colpi del becco indicano la direzione del fiume. Con canti gioiosi gli usignoli annunciano l’alba.
- Dice Gzak a Končak: «Se il falco vola al nido, il giovane falco frecceremo con le nostre frecce d’oro.»
- Dice Končak a Gzak: «Se il falco vola al nido, il falchetto incateneremo con una bella fanciulla.»
- E dice Gzak a Končak: «Se lo incateneremo con una bella fanciulla, a noi poi non rimarrà né il falchetto né la bella fanciulla, allora cominceranno ad abbattere i nostri uccelli nella distesa cumana.»
Ancora una volta, la parola a Bojan
- Così disse Bojan nel cantare le imprese dei figli di Svjatoslav, Bojan il cantore dei tempi passati, di Jaroslav e di Oleg e della sposa del kagan’:
- «È doloroso per te, o testa, senza il corpo, ed è pesante per te, o corpo, senza la testa.»
- Così per la terra di Rus’ senza Igor’.
Il ritorno del principe Igor’
- Il sole splende in cielo, il principe Igor’ è in terra di Rus’.
- Cantano le fanciulle sul Dunaj, intrecciano le voci dal mare fino a Kiev.
- Igor’ scende per la via di Boričev fino a Nostra Signora della Torre. Le province sono felici, le città liet
Fine del poema
- Abbiamo intonato un cantico ai vecchi principi, ora ai giovani si deve cantare: «Gloria a Igor’ figlio di Svjatoslav, e a Vsevolod Toro Impetuoso, e a Vladimir figlio di Igor’!»
- Salute ai principi e alla družina, che si battano per i Cristiani contro le schiere pagane.
- Gloria ai principi e alla družina!
- Amen
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