Distopie

Distopie

Per distopia (o antiutopia, pseudo-utopia, utopia negativa o cacotopia) s’intende una immaginaria società o comunità altamente indesiderabile o spaventosa. Il termine, da pronunciarsi “distopìa”, è stato coniato in contrapposizione a utopia ed è utilizzato soprattutto per descrivere un’ipotetica società (spesso collocata nel futuro) nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche percepite come negative o pericolose sono portate al loro limite estremo.

Secondo l’Oxford English Dictionary, il termine fu coniato nel 1868 dal filosofo John Stuart Mill, che si serviva anche di un sinonimo coniato da Jeremy Bentham nel 1818, cacotopìa. Entrambe le parole si basano sul termine utopìa, inteso come il luogo dove tutto è come dovrebbe essere. Distopia è quindi l’esatto opposto, cioè un luogo del tutto spiacevole e indesiderabile. Spesso la differenza fra utopìa e distopìa dipende dal punto di vista dell’autore dell’opera. I testi distopici appaiono come opere di avvertimento, o satire, che mostrano le tendenze negative attuali svilupparsi sino a raggiungere dimensioni apocalittiche. Dunque la distopia descrive pericoli percepiti nella società attuale ma collocati in un contesto distante nel tempo e nello spazio, come nelle opere fantascientifiche di H. G. Wells.

Tra le opere di rilievo del filone distopico vi sono le narrazioni fantapolitiche antitotalitarie della prima metà del Novecento, tra cui Il padrone del mondo (Lord of the World, 1907) di Robert Hugh Benson, Il tallone di ferro (The Iron Heel, 1908) di Jack London, Noi (Мы, 1921) di Evgenij Ivanovič Zamjatin, che presenta già tutti i tratti delle distopie moderne, Il mondo nuovo (Brave new world, 1932) di Aldous Huxley, Qui non è possibile (It Can’t Happen Here, 1935) di Sinclair Lewis, Antifona (Anthem, 1938) di Ayn Rand e 1984 (Nineteen Eighty-Four, 1949) di George Orwell e Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale, 1985) di Margaret Atwood (dal quale nel 2017 è stata tratta l’omonima pluripremiata serie televisiva).

Nella narrativa un numero considerevole di storie di fantascienza, ambientate in un futuro prossimo e appartenenti al genere cyberpunk, usa le regole della distopia per delineare mondi dominati dalle corporazioni high-tech in cui i governi nazionali stanno diventando sempre più irrilevanti. È dunque il genere della fantascienza post apocalittica quello che più caratterizza la narrativa distopica tra XX secolo e XXI secolo, diffondendosi al punto di diventare il più diffuso nelle serie destinate a un pubblico di giovani adulti (YA).

 

Alcune caratteristiche sono comuni alla maggior parte dei romanzi distopici del Novecento e del XXI secolo. Più precisamente, possono essere individuati due principali filoni narrativi: il primo di essi rappresenta soprattutto eventuali società future (rispetto al tempo in cui è scritto il romanzo) in cui il potere dell’autorità (politica, religiosa, tecnologica, ecc.) pretende di controllare ogni aspetto della vita umana; il secondo invece rappresenta o la distruzione del vivere civile o una sua massima degradazione dovuta a catastrofi globali, per lo più causate dall’uomo. Un terzo filone, che in un certo senso si pone a metà tra i primi due, predilige la rappresentazione di determinate società umane sull’orlo del disastro: in questo caso la fine della civiltà, che nella narrazione esiste ancora, viene avvertita come imminente.

Per quanto riguarda il primo filone (dei “totalitarismi”):

  • è presente una società gerarchica, in cui le divisioni fra le classi sociali (o caste) sono rigide e insormontabili;
  • la propaganda del regime e i sistemi educativi costringono la popolazione al culto dello Stato e del suo governo, convincendola che il proprio stile di vita è l’unico (o il migliore) possibile;
  • il dissenso e l’individualità sono visti come valori negativi, in opposizione al conformismo dominante. Si assiste a una depersonalizzazione dell’individuo.
  • lo Stato, oppure le corporazioni hi-tech, o una congregazione religiosa, sono spesso rappresentati da un leader carismatico adorato dalla gente e oggetto di culto della personalità;
  • il mondo al di fuori dello Stato è visto con paura e ribrezzo;
  • il sistema penale comprende spesso la tortura fisica o psicologica;
  • agenzie governative o paramilitari (come una polizia segreta) sono impegnate nella sorveglianza continua dei cittadini. La sorveglianza può essere sostituita anche da potenti e avanzate reti tecnologiche;
  • il legame con il mondo naturale non appartiene più alla vita quotidiana.

Per quanto riguarda il secondo filone (post apocalittico):

  • la popolazione umana è ridotta ai minimi termini. Pochissime persone sono riuscite a salvarsi dal cataclisma;
  • la società così concepita dall’uomo attuale non esiste più. Le relazioni umane sono dettate esclusivamente dal dogma della sopravvivenza individuale in un mondo scarsissimo di risorse;
  • i raggruppamenti umani esistono, ma soltanto in forme primitive e degradate. Esistono organizzazioni di persone che fanno uso della forza fisica o per accaparrarsi le risorse di altre comunità o per cercare di restaurare un ordine morale e legale;
  • il livello tecnologico è primitivo, spesso precedente alla rivoluzione industriale. Ovunque vi sono tracce della tecnologia e della scienza umana di prima della catastrofe;
  • la vegetazione è ridotta ai minimi termini. Perfino l’acqua può essere non potabile, perché contaminata o radioattiva. Gli animali, eccettuate pochissime specie adattate, si sono massimamente estinti;
  • tra gli esseri umani e alcuni tipi di animali, possono esserci individui mutati geneticamente, sfigurati dalle sofferenze e ostili alla vita. Le mutazioni hanno un’accezione negativa perché causate dall’intervento dell’uomo sulla natura, tramite esperimenti scientifici o l’uso di armi chimiche, biologiche o nucleari.


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