Victor Pelevin- Il mignolo di Budda (scheda)

Victor Pelevin- Il mignolo di Budda (1996)

 

Quattro pazienti sono rinchiusi in un istituto psichiatrico in cui uno specialista pionieristico applica la sua tecnica “esperimento di allucinazione congiunta” per curare i pazienti che, di conseguenza, acquisiscono un’esistenza parallela che va dalle trincee della Guerra civile russa a un campo di battaglia tra clan giapponesi rivali . Il romanzo rischia di far entrare in uno stato di delirio i suoi lettori.

Nel 1919 in una Russia già conquistata dalla Rivoluzione, ma ancora in pieno conflitto tra bianchi e rossi, un poeta di Pietroburgo Pëtr Pustotà si trova al centro delle vicende politico-militari come assistente del comandante _apàev, personaggio storico realmente esistito (e qui descritto con sarcasmo). Nella Mosca anni ’90 lo stesso Pëtr si risveglia in un ospedale psichiatrico affetto da “sindrome da sdoppiamento della personalità”.
Mentre _apàev si dedica a riti esoterici e pare un adepto new age ante litteram e la giovane affascinante Anna è presa completamente dalla sua mitragliatrice, un improbabile Schwarzenegger agisce secondo le sue regole cinematografiche e violente e Sol_enicyn si trasforma in un tassista abusivo… Una storia “istintiva”, che lavora sui passaggi da un’epoca all’altra, da uno stato all’altro della coscienza, sradicando alla base l’idea di un’identità predefinita, ma cosciente del problema che comporta il cercarne un’altra, nuova e possibilmente originale. Più che concentrarsi sui riferimenti all’ambiente socio-politico circostante Pelevin cerca di descrivere la sfera intima dei suoi personaggi, ciò che provano in una situazione di crisi o di trasformazione, tema ricorrente di tutti i suoi romanzi. Ma Il mignolo di Buddha anche un’analisi spietata della borghesia russa, fatta di vuoti burocrati (pustota in russo significa vuoto), falsi poeti e militari incapaci. “Il mio libro è un simulacro perché la classe media in Russia, come tutto il fenomeno chiamato capitalismo, è stata assolutamente virtuale, inesistente. Credo che la scomparsa di questa classe media, essendo virtuale, sia stata una scomparsa virtuale. Solo adesso ci sono le basi perché tra un decina di anni possa nascere una vera classe media in Russia. Durante l’epoca Eltsin tutto doveva sembrare identico all’Occidente e si è creato questo mito, ma è solo un simulacro, una non-realtà”.
Una breve introduzione firmata Urgan Jambon Tulku VII, presidente del Fronte di Liberazione (buddhista) Totale e Definitiva ci avverte che tutta la storia è la riproduzione di un manoscritto degli anni Venti. Un inizio promettente e intrigante; una trovata non nuova ma sempre divertente.

Il romanzo Il mignolo di Buddha è diviso in dieci capitoli, ognuno dei quali è dedicato a una parte diversa di quello che per ora chiameremo “sogno”. In ogni sezione di questa esperienza onirica il protagonista vive delle vicende diverse l’una dall’altra per ambientazione, compagni di avventura e periodo storico; a volte “rientra” nel sogno dei capitoli precedenti, a volte no. L’attenzione del lettore è persistentemente sollecitata da tali mutamenti. […]

Il primo capitolo si apre nel viale Tverskoj di Pietroburgo, poco dopo il primo anniversario della Rivoluzione, dove il protagonista del libro, Petr Pustota, incontra il suo amico Von Ernen. Insieme si spostano a casa del primo, dove Von Ernen gli spiega che la sua recente promozione (grazie a una telefonata a Gor’kij) gli ha fruttato la macchina di servizio e la Mauser. É però reticente a dire per quale organo esattamente lavora, ma Petr capisce che deve avere a che fare con il settore culturale. Subito dopo i fatti evolvono: Von Ernen minaccia l’amico con la pistola, ma quest’ultimo con abile mossa riesce a portare la situazione a suo favore e a uccidere l’avversario. […]

Nel secondo capitolo il protagonista si risveglia in un manicomio con una camicia di forza. I due marinai sono ora diventati infermieri e lo trascinano dal dottor Timur Timurovič, con cui Petr comincia un discorso delirante sulla diagnosi e sui letterati arrivando a parlare della Cina e della Crimea. Per placarlo il dottore gli fa un’iniezione, ma sotto l’effetto di questa Pustota sente il racconto altrettanto vaneggiante di Marija su una passeggiata finita con un volo in aeroplano con Schwarzenegger.

Nel terzo capitolo si risveglia a casa sua, dove qualcuno sta suonando un brano di Mozart al pianoforte: è Čapaev, che amichevolmente sporge la valigetta, che era di Von Ernen, a Petr, dopodiché gli chiede di accompagnarlo al fronte orientale offrendogli un impiego politico come commissario nelle unità militari. […]

Nel quarto capitolo viene risvegliato da Vladimir Volodin: si trova di nuovo nella clinica insieme con altri pazienti. Sono tutti nudi immersi in delle vasche. La scena si sposta poi in un’altra stanza, dove il dottor Timurovič spiega ai suoi pazienti il metodo “Jung”, un esperimento consistente di sedute di idro-psico-terapia e sedute di estetica curativa. […]

Nel quinto capitolo Petr si risveglia accanto ad Anna, la donna gli riferisce che ormai è estate, che è rimasto a lungo in coma in seguito alla battaglia in cui si è valorosamente distinto. Ripresosi completamente, Petr invita Anna a bere un caffè: inizialmente parlano della rivoluzione ma il vero intento del protagonista è quello di rivelare ad Anna i sentimenti che prova per lei. […]

Nel sesto capitolo il protagonista della vicenda diventa proprio Serdjuk. Suo compagno d’avventura è il giapponese Kowabata. I loro discorsi vertono soprattutto sulla tradizione e sulla poesia. Il rituale del Seppuku in particolare richiede il suicidio da parte di Serdjiuk, che quindi si pugnala allo stomaco con un coltello.
L’avvenimento più importante del settimo capitolo è l’incontro tra Petr e il Barone Nero, cioè Jungern von Stenberg, difensore della Mongolia interna. Il protagonista pensa che sia l’inventore dell’esperimento psichico attuato dal dottor Timurovič. Con questo strano personaggio Petr fa una sorta di viaggio nell’aldilà. Inoltre a causa del suo accompagnatore s’insinua il dubbio nella sua mente che questa sia la vera realtà e tutte le altre un sogno.

L’ottavo capitolo è imperniato su un dialogo delirante tra Volodin, compagno di Petr nella clinica psichiatrica, con due mafiosi, Koljan e Šurik. I passaggi da un discorso all’altro, come dalle droghe agli spacciatori, o dai film alla religione, sono del tutto privi di senso e con una visione del tutto distorta.

Nel nono capitolo scopriamo che quello precedente è stato scritto da Petr, che cerca di appuntare i propri sogni come suggeritogli da Čapaev. Successivamente il primo incontra Anna e le chiede ancora un appuntamento, ma lei rifiuta. […]

Il decimo capitolo presenta un’animata discussione del protagonista con i suoi compagni di clinica sui propri sogni. Il dottor Timurovič ritiene ormai opportuno dimetterlo per aver raggiunto la catarsi completa. Uscito dal manicomio, si dirige verso il viale Tverskoj, lo stesso dell’inizio del romanzo. Ora però sono spariti il monumento di Puškin e il monastero della Passione e poco più in là ne hanno preso il posto insegne con scritto Samsung e oca-co a. Si dirige poi alla Tabacchiera musicale, dove si ubriaca e fa uso di ecstasy. Mentre si esibisce sul palco, spara al lampadario con una penna, provocando il caos. Esce dal locale e sale a bordo dell’autoblindo su cui lo aspetta Čapaev.

Un romanzo può essere letto sotto molti punti di vista, analizzato con varie chiavi di lettura: alcuni affermano che Pelevin sia un autore mistico, altri che abbia una forte vena satirica o polemica. Il Times lo ha definito il “Nabokov psichedelico per l’epoca del cyber” e molti critici russi lo hanno stroncato. Difficile assegnargli un posto preciso nel panorama letterario internazionale. Ha scritto quattro romanzi fino ad oggi e ognuno di questi è nato in una situazione completamente diversa, in una Russia in perenne cambiamento. Il primo, Omon Ra, è stato ideato proprio nell’ultimissimo periodo di esistenza dell’Unione Sovietica, e in esso si testimonia in qualche modo la fine di questo paese, con il tentato colpo di stato del ’91. “Ho fatto appena in tempo a scrivere questo romanzo – ha dichiarato Pelevin in un’intervista che presto apparirà nelle nostre pagine – ho messo il punto alla fine dell’ultima pagina e il giorno dopo l’Unione Sovietica si è sgretolata. Penso sia stato letteralmente l’ultimo romanzo sovietico”. Il secondo La vita degli insetti è collocabile nel primo periodo dell’epoca Eltsin, un’epoca di trasformazioni continue “di giorno in giorno cambiava tutto, un periodo di contraddizioni in cui non si capiva più se eravamo una società capitalista o altro”. Per questo il romanzo ha assunto caratteristiche strane: la gente non era più quella di prima ma non sapeva più com’era o come sarebbe diventata. Il mignolo di Buddha, fa invece riferimento a una “avanzata” epoca Eltsin, anni che oggi vengono definiti “periodo romantico”, in cui la Russia ha vissuto in un clima molto simile a quello statunitense degli anni ’30: la Chicago dei gangster in cui aleggiava una certa atmosfera sentimentale e malinconica, ma anche in pieno fermento. “Poi in Russia è subentrata un’epoca di maggior democratizzazione, se vogliamo, e in questo periodo ho scritto Babylon, l’ultimo romanzo”.

 


Il mignolo di Buddha
Titolo originale: apàev i Pustotà
Traduzione di: Katia Renna e Tatiana Olear
371 pag., Lit. 29.000 – Edizioni Mondadori (Strade blu)


Bibliografia

Pelevin Viktor, Babylon, tr. di Renna K. e Olear T., 2000, 293 p., “Strade blu” n. 20, Mondadori.

Pelevin Viktor, Il mignolo di Buddha, tr. di Renna K. e Olear T., 2001, 371 p., “Strade blu” n. 36, Mondadori.

Pelevin Viktor, Omon Ra, 1999, 170 p., “Strade blu” n. 10, Mondadori.

Pelevin Viktor, Un problema di lupi mannari nella Russia centrale, 2000, 247 p., “Oscar piccoli saggi” n. 235, Mondadori.

Pelevin Viktor, La vita degli insetti, tr. di Piccolo V., 2000, 206 p., “Sotterranei” n. 30, Minimum Fax.


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