L’idea di questa Azione drammatica si svolge nell’ideale contesto storico della Guerra dei trent’anni. La guerra dei trent’anni fu una serie di conflitti armati che dilaniarono l’Europa dal 1618 al 1648. I combattimenti si svolsero inizialmente e soprattutto nei territori dell’Europa centrale appartenenti al Sacro Romano Impero Germanico, ma coinvolsero successivamente la maggior parte delle potenze europee, con le eccezioni di Inghilterra e Russia. Nella seconda parte del periodo di guerra, i combattimenti si estesero anche alla Francia, ai Paesi Bassi, all’Italia settentrionale e alla Catalogna. Durante questi trent’anni, la guerra cambiò gradualmente natura e oggetto: iniziata come conflitto religioso fra cattolici e protestanti, si concluse in lotta politica per l’egemonia tra la Francia e gli Asburgo.
L’azione prevede tre piani scenici.
I.
Subito dopo il 1619
Sul piano di mezzo si immagina Cartesio seduto al bancone di un locale che si chiama “Philosophers Club”, che discetta sul tema “Non c’è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri”. Interrogato dagli astanti, il filosofo francese racconta l’ esperienza dei suoi tre sogni avuti nel novembre del 1619. Cartesio, nel registro regalatogli dal Beeckman, in una sezione che egli stesso intitolò Olympica, scrisse che il 10 novembre, «pieno di entusiasmo», stava scoprendo i «fondamenti di una scienza mirabile» e narra di sogni e di visioni che resero agitata la notte, ma non sappiamo con precisione a quale scienza qui alludesse Cartesio. L’ambasciatore francese in Svezia, Pierre Chanut, che conobbe molto bene Cartesio, dettando il suo epitaffio si riferì a questo episodio: «nel riposo dell’inverno, avvicinandosi ai misteri della natura con le leggi matematiche, osò sperare di aprire i segreti dell’una e dell’altra con la stessa chiave».
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II.
1635
Il racconto dei tre sogni di Cartesio fa da contrappunto alla scena che il filosofo francese e gli avventori del locale stanno osservando più in basso, come se assistessero a uno spettacolo: è situata al di sotto e rappresenta l’azione de “La vita è sogno” di Calderon de la Barca. La vida es sueño è un dramma filosofico-teologico in tre atti e in versi scritto nel 1635 da Pedro Calderón de La Barca (1600-1681).
Protagonista del dramma fantastico La vita è sogno è il principe Sigismondo che, a causa di una tragica profezia annunciata dalle stelle alla sua nascita, è stato privato della libertà dal re Basilio, suo padre, e vive prigioniero in una torre. Messo alla prova e portato a palazzo sotto l’effetto di un sonnifero, si comporta ferocemente guidato dall’istinto e dal desiderio: oltraggia coloro che non assecondano il suo piacere, insidia la bella Rosaura, uccide un uomo di corte. A causa di tale condotta, che sembra dar ragione alle stelle e dimostrare la sua natura violenta, viene rinchiuso ancora nella torre: qui dubiterà di ciò che gli è accaduto e crederà d’aver sognato. Liberato nuovamente da una rivolta popolare e messo sul trono che gli spetta di diritto, farà tesoro della precedente esperienza: avendo appreso che persino quando si sogna è bene agire in modo retto, si comporterà saggiamente, senza cercare vendetta, ma perdonando il re e riportando pace e giustizia nel regno. In nome della ragion di stato, infine, sposerà la cugina Estrella, rinunciando all’amata Rosaura.
Grazie al dubbio che lo ha tenuto in bilico tra vita e sogno, Sigismondo matura interiormente, apprende l’arte della prudenza, impara a dominare istinti e passioni sottomettendoli al governo della ragione; egli può così recuperare identità e ruolo, ripristinare l’ordine sul caos, dimostrare che il libero arbitrio, la capacità di scegliere tra il bene e il male, è più forte di ogni predestinazione e contribuisce alla salvezza dell’uomo.
L’azione è dialetticamente svolta tra due luoghi. Il luogo stesso in cui Sigismondo si trova, all’inizio dell’opera:
un rustico palazzo , così poco elevato che non riesce a mostrarsi al sole ( I, 1 p.6)
e al cui interno è illuminato solo da un
un fioco lume quella tremula fiamma, quella pallida stella che con incerti bagliori, palpitando di luce timorosa, rende ancor più tenebrosa la stanza buia con insicura luminosità (I,1 p.7).
L’altro polo dialettico è il palazzo del re Basilio.
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III.
Tra il 1605 e il 1615
Il Cavaliere dalla Triste Figura
Sulla scena, che può essere situata in alto, sopra le altre due, o anche a fianco della secna di Sigismondo, c’è un cavallo a dondolo su cui cavalca Don Chisciotte de la Mancia, svolgendo un suo personale, allucinato monologo. Pubblicato in due volumi a distanza di dieci anni l’uno dall’altro (1605 e 1615), il Don Quijote di Cervantes è l’opera letteraria principale del Siglo de Oro ed è il più celebrato romanzo della letteratura spagnola.
La parte che qui ci interessa è l’ultima del romanzo cervantesiano, quando Don Chisciotte e Sancio si mettono in viaggio diretti a Saragozza. Attraversano l’Ebro su quella che a loro sembra una nave incantata, poi incontrano una bella dama che li conduce al suo palazzo. Qui Don Chisciotte e Sancio sono vittime di una complessa trama di burle: l’apparizione di mago Merlino; la richiesta d’aiuto della contessa Trifaldi per liberare un re e una principessa trasformati in scimmia e coccodrillo; il viaggio verso l’isola Candaya su Clavilegno, un cavallo di legno; il finto amore di Altesidora per il cavaliere; il governatorato di Sancio a Barataria, l’isola immaginaria che è in realtà un semplice villaggio aragonese. I due infine ripartono diretti non più a Saragozza ma a Barcellona per contraddire il falso racconto delle loro avventure che li vuole appunto a Saragozza. A Barcellona il Cavaliere della Bianca Luna (ancora Carrasco) sfida a duello Don Chisciotte e lo vince. Gli impone quindi di tornare al paese. Sconfitto e malinconico Don Chisciotte si avvia verso casa, dove lo prende una febbre altissima. Dopo un lungo sonno si sveglia rinsavito e, sentendo ormai vicina la fine, rinnega le sue imprese e fa testamento col nome di Alonso Quijano detto “il Buono”.
L’opera di Cervantes si colloca quindi perfettamente nell’età barocca in cui la realtà appare ambigua e sfuggente, dominata dall’indebolirsi del confine tra reale e fantastico nonché soggetta ad essere descritta da diversi punti di vista contraddittori. Don Chisciotte è figura pressoché universale, per quanto di simbolico è racchiuso nel racconto delle sue imprese: protagonista del celebre romanzo, aspira a restaurare la giustizia nel mondo emulando gli eroi dei romanzi cavallereschi, eroi di una realtà tramontata, ma in cui egli crede fermamente.
Giace qui l’hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.
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