Introduzione ai corpi illuminanti
I corpi illuminanti in generale
La scelta dei corpi illuminanti deve tenere conto di due aspetti: risparmio energetico e qualità della luce erogata.
Sono dispositivi con la funzione di trasformare energia elettrica in luce. I principali tipi sono:
- Lampada ad incandescenza
- Lampada alogena
- Lampada a scarica
- Lampada fluorescente
- Lampada a LED
La trattazione delle lampade in elettrotecnica si sovrappone al settore dell’illuminotecnica.
La lampade a incandescenza
La lampada a incandescenza è una sorgente luminosa in cui la luce viene prodotta dal riscaldamento (mediamente pari a 2 700 K) di un filamento di tungsteno attraverso cui passa la corrente elettrica. Si sfrutta infatti l’effetto Joule per ottenere un forte riscaldamento del filamento, fino a portarlo a temperature tali che lo spettro di corpo nero corrispondente contenga componenti visibili sufficienti per illuminare; tale riscaldamento comporta, di conseguenza, un aumento della resistenza elettrica e quindi una diminuzione della corrente che vi scorre. Si giunge così ad un equilibrio dinamico in cui la resistenza elettrica opposta dal filamento di tungsteno al passaggio della corrente elettrica assume un valore stazionario che bilancia la potenza dissipata per effetto Joule.
Nelle lampadine moderne il bulbo di vetro non è vuoto ma contiene un gas nobile a bassa pressione, di solito argon, eccezionalmente kripton. Quest’ultimo consente una resa superiore del 10% circa a parità di potenza. Questi gas riducono i rischi di implosione e prolungano la vita del filamento. Inoltre la presenza del gas argon/kripton riduce l’annerimento del bulbo dovuto al deposito del tungsteno che sublima.
Al momento dell’accensione della lampada, poiché il filamento è freddo e la sua resistenza è bassa, si determina un picco di assorbimento della durata di pochi decimi di secondo e del valore di 10-12 volte la corrente a regime.
Una variante di lampada a incandescenza è la lampada alogena.
Durante il funzionamento il tungsteno sublima ed il filamento diventa sempre più sottile, fino a spezzarsi generalmente dopo circa 1000 ore di funzionamento. Oltre che in calore l’energia elettrica viene convertita in luce, in una misura intorno al 5%; quindi si può affermare che circa il 95% del consumo elettrico si disperde come calore.
Una tradizionale lampada a incandescenza (ampolla di vetro + filo in tungsteno + gas nobile) trasforma solo il 5% dell’energia elettrica in luce, perché la maggior parte dell’energia viene dispersa sotto forma di calore.
Lampade alogene
I corpi illuminanti con lampade alogene, che sono un particolare tipo di lampade a incandescenza, riescono invece a trasformare in luce circa il 15% dell’energia elettrica e con la tecnologia IRC, abbreviazione di ‘infrared coating’, che indica un rivestimento infrarosso, arrivano al 20%. Le lampade alogene IRC hanno lunga durata, uno spettro di luce emessa che si avvicina a quello di luce naturale, ma emettono anche raggi UV che, se non schermati, possono nuocere alla salute.
Lampade a scarica
La lampada a scarica è un tipo di lampadina basata sull’emissione luminosa per luminescenza da parte di un gas ionizzato. La ionizzazione del gas è ottenuta per mezzo di una differenza di potenziale, che fa migrare gli elettroni liberi e ioni positivi ai diversi capi della lampada (dove sono presenti gli elettrodi). La lampada a scarica è un tipo di lampada ad arco.
È costituita da una ampolla e/o un tubo di vetro o quarzo contenente un gas inerte, miscelato ad un sale, e almeno due elettrodi tra cui avviene la ionizzazione del componente del gas, il quale rilascia fotoni. Possono essere presenti elettrodi supplementari per l’innesco. Solitamente le lampade a bassa pressione sono a forma di tubo diritto o curvato a U, mentre le lampade ad alta pressione sono costituite da una piccola ampolla di quarzo (adatto a resistere a temperature più elevate). La lampada può essere contenuta in un involucro in vetro con la funzione di schermare i raggi ultravioletti, ospitare eventuali elementi accessori e proteggere il tubo. Bisogna prestare particolare attenzione al fatto che le impronte digitali possono danneggiare il bulbo di quarzo della lampada, specie quando è caldo, perché i depositi di grasso presenti sulle dita, rimasti sul bulbo dopo che questo è stato toccato a mani nude, possono carbonizzarsi una volta che la lampada è stata accesa, rendendo il bulbo più fragile nel punto in cui è stato toccato, il che può condurre alla sua rottura. Poiché il grasso cutaneo può attrarre calore e causare un punto debole sul bulbo, si raccomanda di non toccare a mani nude il rivestimento in quarzo della lampada, ma di usare un panno pulito oppure reggere la lampada per il tramite della base (di porcellana). Se il bulbo viene toccato con le dita, va pulito con un panno imbevuto d’alcol e asciugato.
L’emissione luminosa è monocromatica o limitata alle righe di emissione spettrale del gas contenuto, se questo è a bassa pressione. Il gas può anche essere il vapore di un elemento solido o liquido, per esempio mercurio o sodio. In questo caso però la lampada non è subito efficiente, poiché è necessario che il materiale evapori o sublimi per effetto del calore prodotto dalla scarica nel gas accessorio. Possono essere necessari diversi minuti perché la lampada inizi a produrre una luce accettabile e in molti casi questo è un limite.
Lampade fluorescenti
Nella composizione dei corpi illuminanti, le lampade fluorescenti sono state a lungo quelle che meglio hanno soddisfatto i criteri di risparmio e buona illuminazione.
La lampada fluorescente è una lampada a scarica in cui l’emissione luminosa è indiretta, perché l’emittente non è il gas ionizzato, ma un materiale fluorescente. Questa lampada, ideata da Nikola Tesla nel 1890, è chiamata nel linguaggio comune anche lampada o tubo al neon, in realtà contiene un gas nobile (non necessariamente neon), vapori di mercurio e un materiale fluorescente. È costituita da un tubo di vetro lineare e circolare o variamente sagomato (si distinguono le lampade CFL, Compact Fluorescent Lamp, che hanno il tubo di forma tale da avere poco ingombro, solitamente integrano l’elettronica di alimentazione e sono fornite di attacco E27). Si producono così: nel tubo, la cui superficie interna è rivestita di materiale fluorescente dall’aspetto di polvere bianca, viene praticato il vuoto, poi viene introdotto un gas nobile (argon, xeno, neon, kripton) a bassa pressione e una piccola quantità di mercurio, che in parte evapora mescolandosi al gas.
A ognuna delle due estremità del tubo è presente un elettrodo. Il passaggio della corrente sollecita i gas a emettere radiazione nell’ultravioletto. Il materiale fluorescente, investito da tali radiazioni, emette a sua volta radiazione visibile, cioè luce. La radiazione visibile, avendo lunghezza d’onda maggiore di quella ultravioletta, trasporta solo una parte dell’energia cedutale dall’onda ultravioletta: l’energia restante è trasformata in calore, che va a riscaldare il tubo. Una differente composizione del materiale fluorescente permette di produrre una luce più calda, luce più fredda.
A=lampada
B=rete elettrica
C=accenditore
D=lamina bimetallica
E=condensatore filtro
F=elettrodi
G=ballast
A differenza di una lampada a incandescenza, quella fluorescente lineare o circolare non può essere collegata direttamente alla rete, perché:
- la lampada deve essere alimentata in limitazione di corrente,
- occorre una sovratensione che agevoli l’innesco .
Per questo motivo si pone in serie alla lampada un dispositivo ad hoc, di norma un induttore (chiamato anche ballast), raramente una resistenza.
Esistono due tipi di alimentatori: elettromagnetici ed elettronici.
A seconda delle tecnologia utilizzata per l’accensione della lampada, questa può richiedere tempi più o meno lunghi per raggiungere la piena luminosità.
Le lampade fluorescenti hanno una vita media maggiore rispetto a quelle a incandescenza, ma la loro durata può essere fortemente influenzata dal numero di accensioni e spegnimenti, a meno che non si usi un pilotaggio elettronico: ognuna di queste operazioni, infatti, riduce la vita della lampada, a causa del deterioramento subito dagli elettrodi per il maggior numero di preriscaldamenti richiesti. Il valore fornito dalle aziende produttrici è generalmente calcolato con cicli di accensione di 8 ore e va dalle 12-15 000 ore delle lampade tubolari alle 5-6 000 ore delle lampade compatte.
Il pilotaggio elettronico, invece, grazie al preriscaldo controllato dei catodi (elettrodi), ne ritarda il danneggiamento, consentendo un numero di accensioni praticamente infinito (oltre 60 000) e la precisione del controllo ne estende la vita ad almeno 10 000 ore. A differenza delle lampade a incandescenza, queste lampade perdono leggermente in quantità di flusso luminoso emesso nel corso del tempo, inoltre per i modelli meno recenti (con il preriscaldo non controllato, ad esempio quello a risonanza capacitiva) di lampade compatte possono impiegare generalmente qualche minuto per arrivare al massimo di emissione possibile dopo l’accensione.
Una prima classificazione riguarda la forma del tubo. Vi sono:
- lampade fluorescenti compatte, concepite per concentrare la luminosità in un piccolo volume con lo scopo di ridurre l’ingombro, specialmente quando si vuole sostituire una lampada a incandescenza (inefficiente dal punto di vista energetico), contenuta in un piccolo alloggiamento, con una lampada a risparmio energetico;
- lampade fluorescenti circolari, che hanno un tubo di forma circolare, per avere un’illuminazione uguale in tutte le direzioni;
- lampade fluorescenti lineari, che hanno un tubo di forma lineare; la lunghezza varia da modello a modello, in modo da ottenere una diversa luminosità.
Le lampade fluorescenti possono essere classificate anche in base al tipo di polvere fluorescente di rivestimento. In particolare, ci sono:
- le polveri a singolo alofosfato, nel qual caso si parla di lampade standard (in via di eliminazione, a causa della scarsa resa cromatica),
- le polveri trifosforo, composte da miscele composte da tre alofosfati, nel qual caso si parla di lampade trifosforo,
- le polveri pentafosforo, impropriamente dette, composte per lo più da una miscela di terre rare o da alofosfati, nel qual caso si parla di lampade pentafosforo.
Anche avendo fissato il tipo di polvere fluorescente utilizzata, se ne può variare la composizione per variare la tonalità luminosa della radiazione visibile emessa dalla lampada. In commercio le tonalità luminose sono identificate tramite il codice di colore, indicato dai produttori sulla confezione. Esso si compone di tre cifre:
- la prima indica il tipo di lampada:
- 6 per standard,
- 7 per standard extra, ossia standard trattata per migliorare la resa cromatica, oppure trifosforo trattata per aumentare la luminosità, peggiorando però la resa cromatica,
- 8 per trifosforo,
- 9 per pentafosforo;
- la seconda e la terza indicano la temperatura di colore espressa in centinaia di kelvin.
A parità di temperatura di colore, la differenza tra una lampada trifosforo e una pentafosforo è appena percettibile: infatti le lampade pentafosforo, di recente introduzione, hanno una resa cromatica leggermente migliore, poiché hanno uno spettro più ampio e omogeneo, unita ad una luminosità lievemente minore.
Il codice di colore a tre cifre è utilizzato anche per altre sorgenti luminose. In tal caso,
- la prima cifra indica la resa cromatica. Ad esempio
- 8 indica una resa compresa tra l’80 e l’89% (come effettivamente accade per le lampade fluorescenti trifosforo),
- 9 indica una resa non inferiore al 90% (come effettivamente accade per le lampade fluorescenti pentafosforo);
- la seconda e la terza cifra indicano la temperatura di colore, espressa in centinaia di K.
Lampade a LED
In seguito le lampade a incandescenza sono state eguagliate dalla tecnologia dei diodi luminosi, le lampade a LED, che presentano una durata lunghissima e ormai anche lo stesso rapporto risparmio-qualità delle lampade fluorescenti (le più simili alla luce naturale nella tecnologia True Lite). Il presente e probabilmente anche il futuro dei corpi illuminanti appartengono alla tecnologia LED e non è un futuro da poco alla luce delle previsioni. Nei prossimi anni infatti l’efficienza energetica darà luogo a un considerevole giro d’affari e, in ambito industriale, le tecnologie cui è associato il maggior potenziale di risparmio energetico ‘atteso’ sono la cogenerazione e l’illuminazione. Negli uffici e nei capannoni le lampade a LED prenderanno il posto delle altre e renderanno più efficienti i corpi illuminanti. Le lampade a LED, che hanno circa la stessa efficienza delle lampade fluorescenti, convertono fino al 50% dell’energia in luce.
I corpi illuminanti per il teatro
Come scrive Salvatore Mancinelli, uno dei maggiori esperti del settore, le caratteristiche funzionali e d’uso sono specifiche per il tipo d’illuminazione e qualità della luce richiesta, e cioè:
– Per luce diffusa: apparecchi costituiti da parabole riflettenti con superfici opache, scabre, con raggi di curvatura per fasci larghi, divergenti, morbidi e con ombre appena visibili. Tra questi apparecchi ne troviamo alcuni particolarmente adatti per l’illuminazione di grandi volumi e superfici, muniti di riflettore asimmetrico rispetto alla lampada e con sezione rettangolare per fasci luminosi estesi. In larghezza e altezza, indispensabili per illuminare fondali ed estese scenografie con effetto radente.
– Per luce concentrata/spot-flood: apparecchi (proiettori) costituiti dalla lanterna contenente un carrello portante la lampada e lo specchio riflettente e sul lato d’uscita del fascio luminoso una lente piano/convessa o fresnel il cui compito unitamente allo specchio è quello di far convergere il flusso luminoso in un fascio relativamente parallelo (cilindrico) di dimensioni controllate.
La funzione “spot” (fascio stretto) si ottiene allontanando dalla lente il carrello con lampada/specchio.
La funzione “flood” (fascio largo) si ottiene avvicinando alla lente il sistema lampada/specchio.
Alcuni apparecchi non dispongono di lente e la lampada e lo specchio si muovono reciprocamente, con le stesse funzioni degli altri ma con un controllo del fascio luminoso meno ampio e preciso.
La luce di questi proiettori è concentrata ma con bordi sfumati, buon contrasto e ombre ben marcate. La differenza fra le lenti piano/convesse e le fresnel più che ottica è nel peso e resistenza agli urti e al calore. Anche se il teatro tende a privilegiare le prime per la maggiore incisività della luce rispetto alla maggiore morbidezza della fresnel.
– Per luce a fuoco/netta/sagomata: questi proiettori sono costituiti dalla lanterna contenente il complesso lampada/specchio fisso e da un apparato ottico paragonabile ad un obiettivo, con più lenti mobili che determinano le funzioni di messa a fuoco e zoom del fascio luminoso.
Il risultato è un fascio concentrato, molto parallelo; con bordi perfettamente a fuoco, cioè nitidi, con intenso contrasto e ombre dure e nette.
Vengono comunemente chiamati “sagomatori” proprio per la caratteristica di poter controllare il fascio luminoso fino a dargli forme particolari e poter proiettare immagini come con un apparecchio per diapositive.
– Fondografi: sono come dei grandi proiettori per diapositive e vengono usati per proiettare scenografie virtuali ed effetti speciali fissi o in movimento come fuoco, acqua, nuvole, orizzonti ecc. con l’ausilio di diapositive, lastre, apparati vari.
– Scanners: sono proiettori la cui particolarità è quella che per direzionare il fascio luminoso non si muove l’intero apparato ma un piccolo specchio, permettendo estreme velocità di movimento del fascio e suggestivi effetti.
Altre interessanti particolarità sono: – telecomando – sagomatore particolarmente attrezzato per figure luminose e gobos – colori ottenuti direttamente con la “tricromia”.
– Brandeggiabili: in questi proiettori la direzione del fascio luminoso avviene, (come in tutti i corpi illuminanti e differentemente dallo scanner), spostando l’intero apparato su speciali supporti telecomandati. Apparentemente può sembrare poco razionale muovere la massa del proiettore rispetto a quella trascurabile dello specchio dello scanner ma la tecnologia ha permesso anche ai brandeggiabili eccezionali prestazioni, compresa la tricromia, gobos, ecc. Oltre a riprodurre e gestire un fascio luminoso nel modo più vicino alla filosofia teatrale non trascurando il fatto che nelle forcelle brandeggiabili si possono montare proiettori tradizionali.
E’ intuibile che questa tecnologia del “telecomando”, è appetibile perché fa risparmiare manodopera e tempi.
Accessori per proiettori teatrali – effetti speciali
Cambiacolori: per colorare la luce bianca che esce dai corpi illuminanti e sufficiente mettere degli speciali filtri colorati (gelatine), e la luce assume il colore del filtro stesso (sintesi sottrattiva).
Le gelatine possono essere sistemate a mano su appositi telai davanti al lato d’uscita della luce del corpo illuminante o essere gestite da cambiacolori telecomandati costituiti da rulli di gelatine preparati secondo esigenze.
Altro sistema per ottenere luce colorata si avvale della “tricromia” secondo la quale con solo tre colori primari (rosso – verde – blu) o secondari (magenta – giallo – ciano), si può spaziare in infinite cromaticità. Parlando di filtri, oltre quelli colorati per colorare, ci sono quelli di “conversione” che servono per convertire appunto la luce da calda a fredda e viceversa, modificando la temperatura di colore.
Questi filtri lasciano la luce bianca ma dosando le lunghezze d’onda relative ai colori caldi/freddi in eccedenza, armonizzano le tonalità.
Stroboscopio: apparato flash per lampi singoli o in sequenza per l’effetto stroboscopico che permette di rallentare e spezzettare movimenti continui e fluidi.
Luce nera/wood: è una luce non visibile ma eccita alcune sostanze fosforescenti, vernici e tessuti, facendoli brillare di luce propria.
Gobos/diapositive/lastre/dischi/effetti: accessori per proiezioni di immagini fisse o in movimento come acqua, fuoco, neve, nuvole, usate con i fondografi.
Macchina per fumo: produce del fumo/smog/nebbia per effetti realistici o per far vedere i fasci luminosi in scenografie fantastiche e suggestive.
Seguipersona: proiettore con fascio luminoso molto intenso e concentrato, usato per illuminare, seguendolo in modo esclusivo, un soggetto sulla scena, per enfatizzarlo e porlo in particolare attenzione.
Consolle luci/dimmers: sono apparati elettronici computerizzati per il controllo, la regolazione dell’intensità luminosa dei corpi illuminanti, cosa questa che sta alla base dell’effettistica luminosa teatrale. Inoltre memorizzano gli effetti creati nell’allestimento dello spettacolo per riproporlo nelle repliche e nel tempo.
Proiettori per lo spettacolo
Piano convesso
Il Piano convesso è chiamato in gergo “PC” o “QPS” (dal modello prodotto da una nota ditta). E’ composto da un contenitore in lamiera che ospita la lampada (da 350 a 2000W), uno specchio parabolico, posto in vicinanza della stessa e da una lente piano convessa (da cui il nome “PC”), la cui superficie interna (quella piana) è finemente corrugata per ammorbidire i contorni del fascio luminoso. Il complesso lampada-specchio è montato su una barra filettata che, ruotata dall’operatore, permette di variarne la posizione rispetto la lente. Si possono così ottenere fasci di luce molto stretti (6°) fino a molto larghi (60°).
Un piano-convesso della Spotlight, il famoso QPS.
E la luce proiettata su un fondale.
FRESNEL: praticamente identico al PC, salvo che per il tipo di lente usata, che prende il nome del suo inventore. La differenza sta nel contorno del fascio, che qui è molto meno definito e permette una miscelazione migliore tra le zone illuminate da diversi proiettori. Viene usato prevalentemente per le illuminazioni di riprese cinematografiche o televisive.
Questo qui sopra è un proiettore con lente di fresnel prodotto tempo fa dalla Spotlight.
Questo qui, invece, quello prodotto dalla Strand Light.
La forma della luce prodotta da un proiettore fresnel su un fondale (la linea nera al centro è una cucitura sulla tela).
PAR: dall’acronimo di Parabolic Aluminized Reflector. Il proiettore consta in un cilindro di lamiera sul cui fondo è installata la lampada. In origine la lampada PAR veniva impiegata nel settore aereonautico, come luce di atterraggio negli aerei. E’ formata da una parabola riflettente protetta da una cupola di vetro robusto; all’interno si trova la lampada che in alcuni casi, essendo l’insieme parabola-cupola, stagno, è priva del tradizionale bulbo in vetro di quarzo. Si tratta, infatti, di lampada a ciclo di alogeni. La caratteristica principale è di fornire un potente fascio luminoso di sezione ellittica che va da circa 6°, per le versioni a fascio concentrato, a circa 20° per quelle a fascio più diffuso. Non essendo la forma del fascio regolare, l’unica forma di controllo può avvenire ruotando la lampada. Vengono impiegate dove si voglia accentuare il livello di illuminazione su un oggetto in scena o un attore oppure per creare quell’effetto di raggi luminosi nei concerti di musica pop, piazzandole di taglio o in controluce e aggiungendo un po di fumo sul palcoscenico. I numerosi modelli partono dal PAR 36 detta anche “lucciola” o “pin spot”(6 V, 30 W), il PAR 56 (220 V, 250 W), il PAR 64 (110 o 220 V, 1000 W) ed infine l’aircraft (28 V, 250 W), il più indicato per i concerti. Il numero dopo la sigla “PAR” indica il diametro vetro della lampada, espresso in ottavi di pollice.
Due proiettori PAR aperti, con la lampada in evidenza. Il primo a sinistra monta una CP60 (fascio stretto), l’altro una CP 62 (fascio largo).
Primo piano di una CP 60.
Primo piano di una CP 62.
La luce concentrata di una CP 60. A circa 4 metri misura 1.20 x 1.10 m.
La forma più allungata di una CP 62. A circa 4 metri misura 2 x 1.20 m. Risulta quindi meno luminosa.
SAGOMATORE: il contenitore è lo stesso di un PC, però più allungato, il gruppo lampada-specchio curvo anche, la lente piano convessa è sostituita da una o, più spesso, due lenti la cui distanza dalla lampada può essere variata indipendentemente. In tal modo si potrà focalizzare un fascio di dimensioni e luminosità variabili secondo la distanza delle stesse dalla lampada. Esistono inoltre diversi modelli di sagomatori, in relazione alle dimensioni del fascio ottenibili: modelli che partono da 15 per arrivare a 28° ed altri che partono da 22 fino a 40°. Il fascio prodotto da un sagomatore ha un contorno molto ben definito; il confine tra zona illuminata e zona buia è netto.
La maggior parte dei modelli dispone di un alloggiamento per un accessorio chiamato “iride”, nella forma uguale al diaframma di una macchina fotografica, che serve a rimpicciolire a piacere il diametro del fascio. Al posto dell’iride può essere inserito un gobo, che sarebbe un telaio che sostiene una sagoma metallica con un’immagine incisa attraverso. Serve a proiettare la stessa immagine su una superficie, per ricreare ad esempio le inferriate di una finestra o le fronde di un albero.
Un altro controllo del fascio luminoso è rappresentato da 4 lamine metalliche dette coltelli (shutter in inglese), manovrabili indipendentemente l’una dall’altra, che permettono di sagomare il fascio per adattarlo a diverse forme, quadrati, rettangoli o trapezi di varie dimensioni.
Sul fondo del proiettore trova posto una vite che permette di portare esattamente al centro dello specchio il filamento della lampada, per ottenere un fascio dalla luminosità quanto più uniforme possibile.
Le potenze di questi proiettori vanno da 500 a 2000 W.
L’SS 1000 della Spotlight con a fianco un coltello.
Al “Cantata”, sagomatore della Strend Light, appartengono le due foto. La parte con le ottiche e quella che alloggia la lampada.
Il disco luminoso dai contorni ben definiti di un sagomatore.
L’effetto dell’intervento dei coltelli sullo stesso disco luminoso.
SEGUIPERSONA: una variante del sagomatore che serve ad illuminare maggiormente un cantante, un ballerino o un presentatore, aumentando l’attenzione del pubblico su di lui. Possiede in più, alcuni controlli. Un otturatore, posto in genere sul retro dell’apparecchio, per impedire velocemente che la luce fuoriesca dal proiettore senza tuttavia spegnere la lampada; un set di gelatine posto all’interno dello chassis o montate su una ruota esterna, per cambiare la tonalità della luce emessa, ed infine una ventola, posta nelle vicinanze della lampada, che permette di manovrare in sicurezza il proiettore, raffreddandone le pareti.
Sempre più spesso vengono installate delle lampade a scarica, in sostituzione di quelle alogene tradizionali; ecco allora l’apparire di alimentatori dedicati, inseriti in robusti contenitori da posizionare in vicinanza del proiettore. Non essendo possibile la regolazione dell’intensità luminosa tramite tradizionali regolatori elettronici, sarà possibile, quindi, la presenza di un’ulteriore iride, posto però in posizione di “fuori fuoco”; chiudendo l’apertura dello stesso, il fascio luminoso, anziché rimpicciolirsi, tenderà a diminuire di luminosità, fino a venire a mancare del tutto.
RIFLETTORI PER FONDALI: prendono di volta i nomi forniti dalle ditte che li producono, quindi diventano “iris”, “mini iris”, “pallas”, “domino” ed altri…
Sono formati da un contenitore in lamiera che all’interno alloggia una lamina di alluminio corrugato in varie fogge per distribuire meglio il fascio luminoso, principalmente in maniera verticale. La lampada è di tipo lineare, alogena da 1000 W. Si differenziano in due tipi a seconda della forma della lamina riflettente. Questa può essere sagomata in modo da distribuire il fascio in maniera simmetrica, tale da avere la stessa intensità in tutte le direzioni verticali, oppure in maniera asimmetrica, per avere una concentrazione della luce principalmente verso l’alto (o il basso, a seconda di come è orientato il proiettore). Questo tipo di riflettore, viene usato infatti per illuminare dal basso o dall’alto grandi superfici come fondali o pareti verticali. Piazzando il riflettore in basso, o appendendolo ad un’americana, e necessitando un un’uniforme illuminazione su tutta la superficie, la luce deve essere minore in vicinanza dello stesso e maggiore verso l’estremo della superficie, essendo questa più lontana.
Il “Domino” della Spotlight.
Il “Pallas” della Quartzcolor. Notate che manca il supporto per agganciarlo. E’ questo, infatti, un riflettore da piazzare solamente a terra. A fianco c’è il telaio portagelatine.
OPEN FACE: chiamati in gergo “pinze”, dalla caratteristica mollettona che le permette di agganciare sulla maggior parte delle strutture, senza bisogno di viti od altro, sono dotate di uno snodo che le permette di orientare velocemente in tutte le direzioni (bisogna fare comunque attenzione a mantenere la posizione della lampada prossima all’orizzontale perché il calore, affluendo verso la parte più alta, non acceleri l’usura dell’attacco relativo. Hanno la forma di una scodella arancione, nera o, nelle versioni da 2000W, gialla. Lo specchio concavo è in alluminio, corrugato sulla superficie, per distribuire in maniera più uniforme il fascio luminoso, posto dietro una lampada alogena a doppio attacco, in genere da 800 – 1000 W, ma anche da 2000 W. Non c’è la lente piano convessa ma una sottile rete di acciaio per proteggere la lampada o per impedire che questa, scoppiando, proietti frammenti caldi in giro. La variazione del fascio luminoso avviene spostando lo specchio dalla lampada. In ogni caso la differenza tra fascio stretto e fascio largo non è molto elevata, mancando appunto una lente che lo converga; si passa quindi da una posizione concentrata detta “spot” ad una di tipo più diffuso “flood”.
Foto di una “pinza”.
Tutti i proiettori descritti possiedono, nel punto più lontano dalla sorgente luminosa, una guida nella quale inserire una gelatina colorata (ne parleremo più avanti) ed una “bandiera” della quale parleremo subito.
Essendo il fascio di luce uscente dal proiettore, di forma più o meno circolare, potremmo avere la necessità di renderlo rettangolare, o quantomeno “tagliarlo” in maniera da non “sporcare” determinate zone della scena. Ecco allora che, incernierate sui quattro lati di un telaio quadrato, si possono usare altrettante lamine metalliche annerite, di opportune dimensioni e forma, in modo che, intercettando il fascio luminoso in una sua parte, determinino una corrispondente zona d’ombra sulla superficie da illuminare. Nei sagomatori, le bandiere vengono sostituite dalle lame scorrevoli dette coltelli, poste sul punto focale.
sono macchine complesse che simulano gli effetti di vari proiettori. Sarà possibile, quindi, cambiare colore e forma al fascio, variarne la luminosità, farlo accendere e spegnere velocemente simulando l’effetto stroboscopico, aggiungendo sempre più effetti alla luce; il tutto sarà memorizzabile e riproponibile secondo le più bizzarre esigenze. Se ben gestiti (ed è molto difficile farlo!) possono originare sensazioni straordinarie, difficili da scordare… Usati prevalentemente nelle discoteche e nei concerti, sono macchine che in teatro non hanno ancora fatto molta strada, anche se la tecnologia li porterà ad essere presenti anche qui. Il peso, la difficoltà di programmazione ed il prezzo, sono infatti le caratteristiche negative di queste straordinarie macchine. Credo che la massima soddisfazione per un tecnico luci sia poterne gestire alcuni avendo a disposizione il tempo necessario per programmarli con cura.
Montano lampade alogene di bassa potenza (da 150 a 250 W) o, più spesso, lampade a scarica da 150 fino a 4000 (!) W.
La forma ricorda, in genere, quella di un sagomatore più o meno ingombrante secondo la potenza luminosa e le funzioni presenti, alla cui estremità è posto uno specchio che devia il fascio luminoso dove desiderato (i proiettori prenderanno allora il nome di “scanner”). C’è anche una differente versione detta “moving-head”, sprovvista di specchio deviatore, in cui a muoversi è l’intero proiettore montato su una forcella motorizzata.
Con le dovute eccezioni potrei dire che quelli a specchio mobile sono da preferirsi agli altri per le seguenti caratteristiche:
– maggiore velocità di spostamento del fascio luminoso,
– facilità ad essere appesi e trasportati (grossa attenzione, però allo specchio!)
I moving-head, invece offrono:
– maggior angolo di apertura del fascio,
– possibilità di essere montati “a terra”, semplicemente appoggiandoli sul basamento,
– maggior copertura del fascio (alcuni modelli superano i 360° di rotazione!).
Tutte le parti meccaniche sono mosse da motori, in genere passo-passo; alcune ditte usano grossi motori in corrente continua per muovere il corpo dei moving-head. Una famosa ditta impiega una pompa idraulica che spinge a pressione un fluido particolare in una lente di materiale plastico deformabile; la differente curvatura della lente influirà sull’ampiezza del fascio luminoso (!).
Veniamo ora alle caratteristiche, dalle principali alle più evolute:
PAN: lo spostamento orizzontale del fascio; alcuni modelli dispongono del modo detto “a 16 bit”, nel quale il movimento avviene in maniera più uniforme, senza gli scatti che i motori passo-passo che muovono lo specchio danno, specie a basse velocità. La precisione di un puntamento, inoltre, viene ad aumentare di molto.
TILT: lo spostamento verticale del fascio, anche qui è possibile usare la modalità “a 16 bit”.
COLOR: filtri colorati da sovrapporre alla luce generata. In genere dischetti dicroici montati su ruote che li portano, uno alla volta, davanti alla sorgente. Possono essercene più di uno, montati vicini l’uno all’altro, in modo da generare un alto numero di colori dalla sovrapposizione dei singoli filtri. Un altro sistema per colorare la luce è quello della sintesi sottrattiva, detto anche “CMY” di cui parleremo dopo.
GOBOS: dischi metallici con figure geometriche o astratte intagliate, per dare quella forma alla luce che li attraversa; anch’essi montati su ruote e sovrapponibili, possono, in alcuni modelli, ruotare a varie velocità su loro stessi, arricchendo così la gamma degli effetti ottenibili. In alcuni casi sono anche indicizzabili: la loro posizione può essere memorizzata (per esempio: un gobo con una scritta potrà riprodurla sempre con la stessa inclinazione).
Anziché realizzato in metallo, un gobo può essere anche costituito da un disco di materiale dicroico, sul quale, attraverso particolari procedimenti viene “stampata” una fotografia di ottima qualità; lo spazio lasciato alla fantasia del progettista luci viene quindi ad allargarsi notevolmente. Quasi tutte le ditte produttrici dispongono di un ampia scelta di gobos, sia metallici che dicroici; alcune, inoltre, danno anche la possibilità di creare un gobo su specifiche del cliente.
SHUTTER: una o più lame di metallo che oscurano in tempo brevissimo il fascio luminoso; agendo velocemente sulla sua apertura e chiusura si ottiene un effetto molto simile all’effetto stroboscopico.
DIMMER: non essendo le lampade a scarica facilmente dimmerabili, si interviene con un congegno che impedisce gradatamente l’uscita della luce dall’apparecchio.
IRIS: simile al diaframma di una macchina fotografica, serve a ridurre di diametro del fascio luminoso. Da non confondere con la prossima funzione.
ZOOM: a differenza dell’iris che impedisce alla luce di uscire assorbendo la parte circolare esterna del fascio in misura sempre maggiore, lo zoom ne varia la dimensione allontanando o avvicinando due lenti poste sulla sua traiettoria. La differenza è che l’intera immagine proiettata viene ad essere variata nelle dimensioni in maniera proporzionata; questo è utile quando si vuole adattarla alle dimensioni di una superficie, oppure quando, proiettando due figure uguali da apparecchi posti a distanze diverse, si vuole che questi mantengano dimensioni uguali tra loro.
>FROST: questa funzione ammorbidisce il fascio luminoso in maniera simile ad una sfocatura molto forte; il diametro verrà così ad aumentare notevolmente e sarà possibile, entro certi limiti, illuminare uniformemente persino un fondale. Spesso è possibile intervenirvi con gradualità, per costruire delle evanescenze tra due figure proiettate. L’effetto viene generato interponendo un disco leggermente smerigliato dopo la sezione dei gobos, in modo che la luce venga “dispersa” in maniera dipendente dal grado di lavorazione dello stesso.
SEZIONE EFFETTI: si tratta di una ruota, simile a quella in cui sono installati i gobos, dove vengono montati dei prismi simili a quelli usati in fotografia, che moltiplicano più volte la stessa immagine; spesso questi prismi possono anche essere sovrapposti tra loro e ruotare a velocità variabili.
Come funzionano:
Il protocollo usato, salvo rare eccezioni, è il DMX. Ogni proiettore, come fosse un dimmer, necessita di un certo numero di canali, in rapporto alla quantità delle funzioni che possiede.
Meglio fare un esempio: dispongo di due proiettori motorizzati che impiegano 4 canali ognuno. Assegno, come fossero dei dimmer luci, il canale di riferimento per ciascuna macchina, agendo sugli appositi comandi del proiettore. Il primo proiettore avrà il numero 1, il secondo avrà il 5.
PRIMO |
SECONDO |
|
PAN |
1 |
5 |
TILT |
2 |
6 |
COLOR |
3 |
7 |
GOBOS |
4 |
8 |
Agendo sui cursori della consolle collegata ai proiettori potrò ora comandarne le funzioni: muovendo il cursore n.1, il fascio del primo proiettore si sposterà orizzontalmente, seguendo fedelmente la posizione del cursore, da un’estremo all’altro. La stessa cosa vale per il tilt, comandato dal cursore n.2, per i colori, che scorreranno in sequenza dal primo all’ultimo, ed infine i gobos che risponderanno ai movimenti del cursore n.4. Per il secondo apparecchio, varranno i comandi assegnati dai cursori dal 5 all’8. Muovendo i vari cursori potrò crearmi una scena luminosa che potrà essere memorizzata e richiamata in qualsiasi momento dello spettacolo. I complessi giochi dei proiettori motorizzati, funzionano proprio così: preparando una grande quantità di memorie e riproponendole in sequenze lunghissime.Tenete conto che uno di questi apparecchi abbisogna come minimo di 6-8 canali, per arrivare fino a 24, a seconda del numero delle funzioni possedute; moltiplicate i canali per il numero dei motorizzati indipendenti ed otterrete un’idea del flusso di dati necessario ogni show. Molte cose sarebbero ancora da raccontare: dalle opzioni che i banchi di controllo dedicati offrono, alle caratteristiche particolari di alcuni modelli di proiettori e ai suggerimenti sulla programmazione, ma ora non ho più voglia di parlarne.
Questa sezione ha la sua fonte in:
http://digilander.libero.it/proservice/princip.html
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