Illuminazione teatrale

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Illuminazione teatrale

 

Le prime notizie di illuminazione teatrale risalgono all’epoca  del teatro greco romano.

Le rappresentazioni eseguite di giorno per effetti speciali si servivano di torce luminose e di lampade  ad olio.

Il progresso dell’illuminazione fu lento e di poco interesse dal medioevo al rinascimento, le notizie dell’epoca parlano di prospettive mirabili “cariche di lumi”, sistemi  usati  nel XV secolo con lampade alimentate ad olio vegetale, animale, candele di cera e di sego, torce di pino  e resina.

La descrizione della macchina realizzata dal Brunelleschi per la festa dell’Annunziata dalle memorie del Vasari parla di lumi coperti da protezioni in rame, azionati da molle che occultavano  o scoprivano  le luci a  seconda dell’esigenza.

Si può pensare dalle descrizioni del Vasari che si trattasse di cambiamenti a vista con effetto di  luci in movimento.

Una prova di come già nel 1560 si faceva un mirabile uso dell’illuminazione teatrale è  data  da I Dialoghi di Leone de’ Sommi, che raccontano di messe in scena di commedie, dove le scene erano illuminate da lumi in coperta che, a ridosso delle quinte, illuminavano uniformemente, mentre nella messa in scena di tragedie si parla di illuminazioni  complesse  in movimento che  potevano essere  velate,  diminuendo l’intensità fino al buio  completo.

Sostanze speciali venivano usate per contrastare l’annerimento degli oggetti e delle scene prodotto dal fumo. Spiegazioni di tutte queste invenzioni si leggono nei trattati degli scenografi Serlio e Sabbatini, dove si parla di lumi  di carta,  vetro, tela  dipinta di cui il Serlio ne fa ampia trattazione nel capitolo De lumi artificiali nelle scene. Mentre  il Sabbatini, nel suo trattato, affronta il problema dei colori delle scene in rapporto all’illuminazione e consigliava di utilizzare lamiere sotto i lumi ad olio, per raccogliere eventuali gocce d’olio o di cera che potevano compromettere le scene o rappresentare un pericolo d’infiammabilità.

Alla fine del XVI secolo, dati i mezzi primitivi di allora, non era possibile spegnere le luci  nel corso dello spettacolo, per cui le lampade  venivano nascoste  a  mezzo di  schermi.

Le scene erano dipinte tenendo conto della scarsità di illuminazione, quindi con coloro brillanti e forti chiaroscuri ed anche nel Seicento rispetto a questo punto di vista, pochi erano i progressi tecnici compiuti: sono in uso lampadari pendenti a mezzo di corde dal soffitto  (graticciata)  specialmente per gli interni, i saloni  e le stanze.

E’ di questo periodo l’invenzione della ribalta, che rimase in uso per molto tempo presso i teatri ed ancor oggi negli spettacoli di varietà Giuseppe Furtenbach (nato nel 1622), scenotecnico tedesco, ne prepara una composta di lumi ad olio, formante una vera linea ininterrotta  per tutto il boccascena.

Nel 1755, a Londra, lo scenografo Garrich ne costruisce una in lamiera, con candele poste sulla  linea  del boccascena che  in seguito  verrà adottata in tutti i teatri nel XVIII secolo.

Le candele col tempo cederanno il posto a delle lampade ad olio, usate con forme unite a lampadari e  a  gruppi autonomi, poste in recipienti di vetro.

L’olio di trementina, il petrolio e gli altri grassi combustibili verranno usati come materia illuminante. Nel diciannovesimo secolo appare la lampada a gas: è in uso a Filadefia nel teatro Chestnut Street Opera House (1816) e a Londra nel Lyceum Theatre (1830), diffondendosi poi in altri teatri per essere nella seconda metà del secolo di uso comune.  Con questa nuova invenzione era possibile regolare  l’intensità  della  luce  (abbassamento della fiammella), fino ad ottenere una semi-oscurità con la sala in penombra durante lo spettacolo.

Un appropriato regolatore, situato quasi sempre vicino alla buca  del suggeritore, permetteva di regolare gradualmente  l’intensità luminosa.

Nel  1890 in Germania  fu  inventata la retina incandescente protetta da  un vetro e  per maggiore sicurezza pure i becchi a gas  furono forniti di questa protezione, ma la rivoluzione  in campo teatrale fu l’applicazione delle scoperte sull’energia elettrica e conseguentemente sull’illuminazione in  campo teatrale.

Con l’invenzione della luce elettrica si rivoluziona la tecnica teatrale ottenendo effetti meravigliosi di illuminazione; abbandonati i vecchi sistemi, entrano in azione i primi impianti  elettrici che,  dato l’alto  costo, sono  possibili solo per grandi teatri.

L’opera di Parigi (ora dotata di grande complesso elettronico) fu il primo teatro ad  estendere tale illuminazione, oltre che per il palco, anche alle sale di aspetto e a  tutti i locali del complesso architettonico.

Questo teatro fu anche il primo che mise a punto effetti speciali quali lampi, arcobaleno, effetti  di sole e  di luna, nubi in movimento ottenute con  l’ausilio di sole  luci.

Per i lampi, a mezzo di specchi riflettenti si ottennero baleni di luce con contatti intermittenti, mentre per l’arcobaleno si utilizza il prisma di cristallo e, a mezzo di una lente,  si diresse lo spettro nella  posizione voluta.

La lampada incandescente fu adottata dall’Opera di Parigi già nel 1881 e nel giro di poco tempo anche il Teatro di Monaco se ne  dotò allestendo una  esposizione di elettrotecnica. La trasformazione fu di importanza tale da diffondersi  nei teatri di  Londra  (1883), New York (1885) e  in seguito  Milano,  Roma,  Napoli, Venezia Firenze ecc.

A  mezzo di  regolatori  (reostati) formati  da  resistenze  variabili  che  agivano  sull’intensità della corrente, si passava gradualmente  dalla  massima intensità  luminosa fino al buio totale. Il reostato a liquido è composto  da  un recipiente  contenente  una  soluzione  salina  in cui pescano due piastre di zinco che  avvicinandosi o allontanandosi  tra loro regolano il flusso della corrente.

Altri  tipi di reostato sono  a  grafite oppure metallici.

Si arriva presto ai trasformatori con comando a distanza, dispositivi che danno la sicurezza   di una  registrazione e  regolazione perfetta nei cambiamenti di  luce.

Verranno perfezionati i quadri di manovra posti ai comandi della cabina elettrica, si perfezioneranno pure le bilance,  i proiettori, i riflettori, le macchine per le nubi, le lampade  da orizzonte, lampade rotative, i complessi come il ponte luce, le batterie di lampade.

Principi  di progettazione

 INTRODUZIONE

Proprietà controllabili  della luce

Per cominciare a conoscere la luce, si può partire dall’osservazione dei fenomeni naturali. In una  giornata di sole vedremo che  la luce proviene da  una  direzione ben  precisa,  e  questo ci è  data dal disegno delle  ombre sul viso delle  persone, o dall’ombra che  le stesse  proiettano al suolo. In una giornata nuvolosa potremo invece osservare che la luce è molto diffusa e indiretta; la quasi totale mancanza di ombre non ci permette di capire la direzione da cui proviene la luce. Questa è  la prima divisione generale  che  possiamo fare: a) luce con  una direzione specifica; b) luce generale indiretta (diffusa).  La luce che si produce  artificialmente si colloca fra questi due estremi e può avvicinarsi all’uno o all’altro. In ogni caso, qualsiasi tipo di luce artificiale (come quella che useremo per l’illuminazione del palcoscenico), possiede delle caratteristiche che possono essere controllate o modificate da noi a  seconda delle  necessità:  l’intensità, la distribuzione, il colore e  il movimento.

Intensità L’intensità è data dalla  qualità di luce presente.  Si  può andare dalla  luce tenue di una candela, a quella intensa emessa da potenti proiettori. Su un palcoscenico la luminosità dipende dal numero delle sorgenti di luce impiegate, dalla loro potenza, dalla distanza dall’oggetto illuminato e da alcune variabili che  possono introdurre, come l’uso di filtri colorati, l’utilizzo ad intensità ridotta degli apparecchi ecc. La luminosità può essere  decisa   in fase di progettazione scegliendo il numero e il tipo di apparecchi nonché  la loro potenza  (in base anche alla  loro distanza dal palcoscenico), oppure può essere  modificata direttamente sul palcoscenico per  mezzo di  appositi attenuatori (dimmer).

Distribuzione  Per distribuzione si intende  la direzione della  luce, la sua forma  e  la sua qualità. La direzione di provenienza della luce determina l’angolazione con cui il raggio luminoso “colpisce” l’attore o un elemento scenografico. Dalla direzione dipende anche la posizione dell’ombra che si creerà e le sue dimensioni. La direzione di provenienza di solito viene  progettata “a  tavolino”, e  può essere  modificata  posizionando  gli  apparecchi illuminanti in una posizione del palcoscenico piuttosto che in un altra. La forma della luce è data soprattutto dall’angolo di apertura del raggio luminoso emesso da un apparecchio.

Quasi tutti i proiettori danno la possibilità di regolare, con una certa escursione, l’angolo del raggio prodotto. La forma poi può essere modificata per mezzo di alette esterne o di lamelle sagomatrici  interne  che  “tagliano”  la  luce,  modificando  la  forma  circolare  del  normale raggio luminoso. Per  qualità della  luce si intende  la sua  concentrazione o la sua  diffusione e il fatto, conseguente, di avere dei margini del raggio rispettivamente molto netti o molto sfumati. Queste caratteristiche possono essere  decise scegliendo, fra gli apparecchi disponibili, quelli che  emettono un tipo di luce piuttosto  che  l’altro.

Colore Il colore è in parte determinabile già con la scelta degli apparecchi; in particolare, si possono utilizzare lampade che producono una luce più calda (tendente al giallo) o una luce più fredda (tendente all’azzurro).  In seguito  il colore della  luce può essere  modificato ponendo davanti agli apparecchi dei filtri colorati; in commercio ne esistono praticamente di ogni colore. Una cosa da  tenere  presente  è  che  sul palcoscenico il colore generale  è  dato dalla somma del colore della luce che noi vi inviamo, più il colore della luce riflessa dagli oggetti  presenti sulla scena.

Movimento Le caratteristiche precedenti: intensità, distribuzione e colore, vengono continuamente modificate durante uno spettacolo. In pratica ci si “muove” da uno stato luminoso all’altro, e ciò può avvenire  più o meno velocemente, in un tempo da  noi prestabilito. Ciò significa che una scena completamente buia può illuminarsi di colpo; un fondale con il cielo può passare  dal colore blu al rosso di un tramonto in dieci  minuti ecc. ecc. Oltre a questo ci può essere  la luce “che si muove”  sulla scena, come quella  di candele o lampade portate a mano dagli attori, gli effetti speciali come il fuoco o le nuvole e il seguipersone. La combinazione di queste proprietà variabili e  controllabili  della  luce artificiale ci permette di produrre tutti i tipi di illuminazione possibile. Queste proprietà costituiscono dunque  la base di ogni  progetto.

Obiettivi dell’illuminazione

Per l’illuminazione di uno spazio scenico non esistono regole scientifiche sempre  valide,  ed ogni spettacolo si crea le sue ed ha un proprio stile. Si potrebbe addirittura dire che esistono tanti stili di illuminazione quanti sono gli spettacoli prodotti. Tuttavia, se  ci chiediamo cosa può fare la luce per un qualsiasi spettacolo, o come possiamo agire con la luce e  cooperare  alla comunicazione teatrale,  vediamo  profilarsi alcuni  compiti specificamente affidati  alla luce. Questi sono: l’illuminazione (visibilità), la rivelazione delle  forme,  la guida selettiva della  visione e  la creazione di un’atmosfera. Sono quattro obiettivi che chi crea l’illuminazione deve sempre tenere presenti e che sono “trasversali”, cioè sono validi per qualunque tipo di  spettacolo avvenga  su  un palcoscenico e  indipendentemente dal suo stile.

Visibilità  Il  primo  compito  è  ovviamente  quello di  fornire  un illuminazione tale  da consentire una buona visibilità. Questo è importante soprattutto per il viso degli attori, che è    il principale veicolo della comunicazione in teatro. Ma quanta luce ci vuole per raggiungere questo obiettivo? La luce è  una  quantità misurabile scientificamente, ma le misure fotometriche  che  altrove  sono  indispensabili (nel cinema  o in  televisione),  su  un palcoscenico  non  sono  molto  importanti.  Qui,  infatti,  si  fa  affidamento  alle  capacità sensibili e percettive legate all’occhio umano, che è molto più versatile  di una  macchina da presa e  della  pellicola.  Per  questo motivo,  in  teatro  non è  tanto importante  quanto  é luminosa una data situazione, ma quanto appare luminosa. Ad esempio: una candela su un palcoscenico buio apparirà più luminosa del raggio di un proiettore da 1000 Watt su un palcoscenico  illuminato a  giorno, così come  un identica  illuminazione sembrerà  sufficiente se applicata ad una scenografia o a  dei costumi dai colori chiari, mentre sembrerà scarsa  in uno spazio creato con colori molto scuri, dato che questi assorbono la luce anziché rifletterla come i primi. La quantità della luce necessaria varia anche a seconda della luminosità dello stato precedente, e questo a causa del meccanismo di adattamento tipico dell’occhio umano. Questo meccanismo fa sì che una  scena appaia più luminosa di quel che è  in valori assoluti,  se a precederla è una scena scura (e viceversa). Ciò significa che gli stati luminosi di uno spettacolo andranno impostati non singolarmente ma uno in relazione all’altra. Per quanto riguarda gli oggetti, bisogna dire che la quantità di luce che permette loro di essere visti chiaramente  dipende da  una  serie  di fattori: il colore, la forma,  il materiale di cui sono fatti e  le sue qualità riflettenti, le dimensioni  e  la distanza dall’osservatore. Da tutti questi elementi si può derivare una semplice regola generale: su un palcoscenico la luminosità è un valore relativo piuttosto che assoluto e, di conseguenza, la chiave per avere la giusta  quantità  di luce sta nel bilanciamento. Una nota conclusiva: quando c’è troppa luce o troppo poca per molto tempo, o quando si utilizzano troppi cambi rapidi e  violenti d’intensità,  l’occhio tende a  stancarsi e  l’osservatore a perdere l’attenzione.

Rivelazione delle  forme  In  un teatro tradizionale il palcoscenico è  incorniciato dal boccascena come fosse un quadro. Questa situazione tende ad esaltare le dimensioni della larghezza e dell’altezza e a nascondere la terza dimensione: quella della profondità. Questa tendenza alla  “piattezza” aumenta  con  l’aumentare delle  dimensioni  del teatro e  della distanza dal palcoscenico. Nonostante il regista e lo scenografo possano fare molto per dare profondità al luogo dell’azione, lo strumento più importante per la corretta rivelazione delle forme  e  per restituire la naturale tridimensionalità agli attori e  allo spazio, è  la luce.

Un’illuminazione sbagliata, come quella  completamente frontale, sarebbe in grado di  appiattire qualsiasi scenografia e di rendere inutili tutti gli sforzi fatti da chi ha allestito lo spettacolo. La tridimensionalità è fondamentale anche per il rapporto tra l’attore e  la scenografia.  Un  attore  illuminato  solo  da  una  luce  frontale  sembrerebbe  una  figurina incollata sulla parete di fondo. Una luce che dia profondità, come quella  di taglio o il controluce, serve dunque anche a “staccare” l’attore dalla scena. La profondità e le forme possono essere  rivelate scegliendo una  corretta angolazione  di provenienza  della  luce e questa, naturalmente, va studiata in fase di progettazione. Più avanti analizzeremo le singole angolazioni e  le tecniche che  vengono  utilizzate per esaltare la tridimensionalità.

Selettività Nel cinema o in televisione il regista usa la macchina da presa per selezionare le parti  di  realtà  che  vuole  che  il pubblico veda  e  può deciderne  l’ampiezza:  da  una panoramica sull’intero paesaggio ad un dettaglio del viso dell’attore.  In  teatro invece il pubblico vede tutto “in campo lungo”; cioè ha sempre tutta l’area dell’azione nel suo campo visivo. Uno dei compiti della luce è quello di guidare l’attenzione verso la zona del palco o l’attore più importante in un dato momento. La cosa più immediata da  fare sembrerebbe  quella  di  illuminare selettivamente  solo  l’area che  interessa, lasciando  nel  buio  tutto  lo spazio rimanente. E’ un espediente che alcuni spettacoli  adottano  ma è  un mezzo estremo e non può funzionare quando si richiede un certo grado  di  realismo.  Un sistema comunque valido per guidare la visione è quello di bilanciare  l’area selezionata  ad  un livello di luminosità  leggermente  superiore  rispetto  al  resto  del  palcoscenico.  E’  un metodo che  si basa su un fattore psicologico; quello che l’occhio è sempre attirato dal punto più luminoso presente nel suo campo visivo, ed è sorprendente quanto un piccolo aumento di luce aiuti a spostare l’attenzione  nella zona desiderata e senza che l’osservatore se ne renda conto. Così,  in  una  messa  in  scena realistica, ci possono  essere  numerosissimi  cambi  di  bilanciamento che servono a  guidare l’attenzione  del pubblico inconsapevole verso le zone  o gli attori via via più  importanti. Nel  musical e  nella  danza  si usa  spesso il seguipersona; è  un mezzo molto evidente e invadente ma che ha lo stesso scopo: quello di agire come una freccia per indicare chi bisogna guardare in  un dato  momento.

Atmosfera L’ultimo di questi obiettivi è anche il più affascinante; è quello di riuscire a influenzare lo stato emotivo del pubblico attraverso la creazione di un’atmosfera.

L’atmosfera può agire a due livelli; ad un livello più superficiale serva a “raccontare” l’ambientazione, cioè, ad esempio, a dirci  se  siamo  in un pomeriggio autunnale,  in una mattina d’estate oppure di notte; se piove, nevica o c’è il sole. Ad un livello più profondo l’atmosfera dovrebbe comunicarci il clima emotivo di ciò che stiamo vedendo e la sua evoluzione durante lo spettacolo, provocando in noi il conseguente stato d’animo (apprensione, angoscia, gioia, ecc.). Per creare l’atmosfera  e  controllarla per  mezzo della luce, ci sono principalmente tre metodi. Il primo è quello di bilanciare chiarore e oscurità, legati rispettivamente alla tranquillità e al mistero. Il secondo è quello di miscelare la luce calda e la luce fredda. La prima dà subito una sensazione di serenità e di gioia, ed è infatti la luce tradizionale della commedia; la luce fredda induce invece apprensione e un senso di tristezza. Naturalmente c’è poi tutta una gamma  di tonalità intermedie. L’ultimo metodo si basa  sul controllo del  rapporto luce/ombra.

Ombre naturali e morbide inducono tranquillità mentre un’immagine molto contrastata o l’esaltazione delle ombre comunicano inquietudine e  angoscia (l’esempio tipico  è  quello dei film dell’orrore). Gli obiettivi appena elencati naturalmente non sono indipendenti ma interagiscono uno con l’altro, dando luogo anche ad alcuni conflitti. Ad esempio: se si vuole ottenere un’atmosfera tramite un abbassamento di luce, ciò va a scapito della visibilità; la selezione di un’area ristretta su cui concentrare l’attenzione  si ottiene nel modo migliore  usando un solo proiettore, ma ciò può limitare la tridimensionalità; una luce studiata per la tridimensionalità talvolta porta ad un calo della visibilità del viso degli attori ecc. In pratica succede che la luce ideale  per  raggiungere  un obiettivo spesso ostacola  il raggiungimento degli altri. Così, un progetto procede normalmente in due fasi; nella prima bisogna valutare quali degli obiettivi  privilegiare,  in  base  al  tipo di  spettacolo (prosa, danza,  opera  lirica, ecc.), al suo stile (naturalistico, surreale, astratto, ecc.) e alle indicazioni interpretative del regista. Nella seconda fase bisogna bilanciare attentamente i mezzi per raggiungere un compromesso che soddisfi più o meno i quattro obiettivi.  Per  concludere,  bisogna ricordare che  l’illuminazione  di uno spettacolo non è  un dato fisso; anzi, può essere  vista  come un fluido  che  invade  il palcoscenico  e  che  scorre  dall’inizio  alla  fine seguendo  l’andamento dello spettacolo. Gli stessi obiettivi (soprattutto selettività e atmosfera), cambiano dunque di momento in momento e  vanno  sempre seguiti.

PRINCIPI  DI PROGETTAZIONE

Dal punto di vista pratico elaborare un progetto  luci significa  scegliere il tipo di apparecchi da utilizzare, decidere la loro posizione e il loro puntamento, scegliere i colori e  fissare il tutto riportandolo su una piantina del palcoscenico dove sia già tracciato l’ingombro della scenografia.

 

Posizionamento  e puntamento

La scelta della posizione e, di conseguenza, del puntamento dei singoli apparecchi è fondamentale;  da  questa  dipenderà  infatti  il  carattere  dell’immagine  che  otterremo. Proviamo a pensare ad un attore al centro del palcoscenico e analizziamo le immagini che otterremo illuminandolo con  un proiettore  spostato in tutte le posizioni e  orientato con  tutte le angolazioni possibili, ponendo l’attenzione soprattutto su tre variabili: l’effetto sull’attore, l’area di palco che  andremo ad  illuminare e  le ombre che  si creeranno.

Luce frontale Partiamo da una luce proveniente dall’alto, con un raggio luminoso che cade verticalmente esattamente sopra la testa dell’attore. Abbiamo gli occhi bui e il naso molto illuminato che  però mette in ombra la bocca.  L’ombra che  produce il corpo è  molto  piccola e l’area di palco illuminata è molto  limitata. Tali caratteristiche portano ad  un tipo di luce molto selettiva, che scolpisce il corpo e il viso in modo molto drammatico ma che permette una visibilità molto ridotta, soprattutto per il fatto che restano in ombra gli occhi e la bocca. Poniamo ora il proiettore  frontalmente rispetto all’attore e  ad  una  certa  altezza. Gli occhi e la bocca diventano molto più visibili ma l’area che andiamo ad illuminare si estende notevolmente  dietro  il corpo  dell’attore.  Anche l’ombra  sul pavimento  diventa  più  lunga  e più presente. Se abbassiamo in avanti ulteriormente  il proiettore  fino ad  arrivare all’altezza degli occhi dell’attore, vediamo  il viso completamente illuminato anche  se  un po’ appiattito. In  questo caso  poi  la luce illumina  molto  in  profondità il palcoscenico, l’ombra  è  molto lunga e, probabilmente, è  proiettata  anche  su  parte della  scenografia. Parlando in  generale della luce frontale possiamo dire che alla posizione più bassa del proiettore corrisponde il maggior appiattimento dell’immagine ma anche  la massima visibilità e  la minima possibilità di  selezionare lo  spazio tramite la luce.

Luce laterale Se posizioniamo il proiettore a lato dell’attore vediamo che il suo viso e il suo corpo sono molto scolpiti e tridimensionali. Ciò dipende dal fatto che, guardando dal punto    di vista del pubblico, solo un lato dell’attore è illuminato. Più si abbassa il proiettore, più aumenta  la visibilità e  la modellazione  del viso. Naturalmente  aumentano  via via sia l’area di palco illuminato, sia le dimensioni  dell’ombra. Se utilizziamo due  proiettori, uno su ciascun lato, per  illuminare  l’attore,  avremmo  comunque  una  zona  d’ombra  al  centro del viso, con  in  più  l’inconveniente  di  aver  prodotto  due  ombre sul pavimento.  Abbassando  i due proiettori fino a portarli in posizione orizzontale all’altezza degli occhi dell’attore, si otterrebbe un corridoio di luce che  attraversa  tutto  il palcoscenico. In  generale  si può dire che, abbassando la fonte di luce lateralmente, aumenta la visibilità e la tridimensionalità dell’attore ma si allunga l’ombra e  si perde buona  parte della  possibilità di selezionare lo spazio.

Controluce Una luce proveniente dall’alto e da dietro  l’attore non ci permette di  vederne il viso ma aiuta molto a dare profondità a tutto l’ambiente e, grazie  al profilo molto luminoso che si crea attorno al capo e alle spalle, permette di staccare nettamente l’attore dalla scenografia evidenziandolo.

Luce dal basso Una luce frontale dal basso, crea un’ombra dell’attore molto grande e incombente. Naturalmente se viene usata da sola produce un’immagine molto drammatica e innaturale. Usata a bassa intensità  come completamento della  luce dall’alto, può essere  utile per  schiarire  le ombre sotto  il naso  e  negli occhi e  per  ammorbidire i  contrasti.  L’analisi delle posizioni e delle angolazioni possibili ci dice che non esiste una posizione ideale che soddisfi  contemporaneamente tutte  le  nostre  esigenze.  Le posizioni  frontali  vanno  molto bene per la visibilità ma tendono ad appiattire l’immagine; le posizioni laterali fanno l’esatto contrario  (tridimensionalità  ma  poca  visibilità).  Le angolazioni  alte  danno  meno  visibilità ma consentono di restringere l’area di palco illuminato e producono piccole  ombre, al contrario delle angolazioni basse, e così via. Si tratta allora di trovare delle posizioni e delle angolazioni di compromesso, basandoci sulle necessità drammaturgiche e sugli obiettivi che vogliamo privilegiare. Se prendiamo come riferimento il tipo di illuminazione che possiamo vedere  in  natura, questa è  riproducibile  abbastanza  fedelmente  seguendo  un semplice metodo. Si tratta di utilizzare due  proiettori davanti  all’attore, ad  un’altezza tale  da  formare un angolo di 45° tra il raggio di luce e la linea orizzontale  dello sguardo, e  posizionati  in modo tale da formare, ciascuna su ogni lato, un angolo di 45° tra il raggio di luce e il piano verticale che  attraversa  longitudinalmente  il corpo  dell’attore.  I  due  proiettori formeranno così, fra di  loro, un angolo di 90°.

 

E’ un metodo derivato empiricamente dal fatto che questa combinazione di angolazioni è il miglior compromesso fra la visibilità e la tridimensionalità che si può dare ad un attore in scena. L’ideale sarebbe poi quello di aggiungere un terzo proiettore in posizione di controluce, per dare maggior profondità e tridimensionalità all’attore e per staccarlo dalla scenografia circostante. Anche in natura, del resto, la luce illumina ogni oggetto da tutte le direzioni, provenendo sia dalla fonte principale (ad es. il sole), sia da tutto l’ambiente circostante  grazie  al fenomeno della riflessione.

Metodi  e  teorie Uno spettacolo viene illuminato da  una  sequenza di stati luminosi  legati fra di loro. Semplificando si può dire che un testo di partenza viene diviso in unità più piccole (singole scene), ognuna delle quali dovrà avere una  sua luce particolare. La cosa più immediata da fare sembrerebbe quella di posizionare e puntare degli appositi apparecchi per ogni  singola  scena. Naturalmente  ciò è  molto  dispersivo e,  soprattutto,  richiederebbe  una gran quantità di apparecchi che spesso non sono disponibili. Si tratta allora di cercare dei compromessi per ottenere il massimo risultato con i mezzi a  disposizione, studiando  ad esempio se un singolo apparecchio può svolgere più di una funzione e  quindi essere  utile in più di una scena. Seguendo questa logica, nonché le esperienze dirette sul palcoscenico, si è sviluppato un metodo teorizzato  già nel 1932 dal professore americano Stanley McCandless.  Il metodo fornisce alcune formule base per la messa a punto dell’illuminazione di uno spettacolo. Naturalmente non esistono norme rigide in questo settore e  lo stesso  metodo sembra  essere  fatto  per  essere  trasgredito  o, quantomeno,  per  essere  applicato  in  modo molto  elastico. Una sua  applicazione rigida  porterebbe ad  una  illuminazione piuttosto anonima e noiosa, senza considerare il fatto che ogni spettacolo deve avere un suo carattere visivo  specifico.  Le  semplici  norme  del  prof.  McCandless,  che  oggi  possono  sembrare ovvie, all’epoca  della  loro formulazione  erano innovative e  divennero presto  il metodo seguito da tutti i light designers. Il primo suggerimento è quello di mantenere separate l’illuminazione  dell’area  di  recitazione  da  quella  della  scenografia. E’ chiaro che  una divisione totale è impossibile da ottenere, dal momento che la luce viene riflessa da tutte le superfici che incontra, tuttavia, più si riescono a controllare  separatamente le due  aree, maggiori saranno i  vantaggi.

L’area di recitazione Abbiamo visto che il modo più naturale per illuminare l’attore è  quello dei due  proiettori posti  ad  un angolo verticale  di 45° e  orizzontale di 45° su ciascun lato.

Due proiettori così disposti permettono di illuminare un area di 2-3 metri circa, sia in larghezza che in profondità. Il metodo classico suggerisce di dividere tutta l’area di  recitazione in cui andranno a muoversi gli attori, in una serie di quadrati con una larghezza   di 2-3 metri circa. A questo punto si tratta di ripetere il modulo base dei due proiettori per ciascuno dei singoli quadrati, e  di aggiungere  alcuni  elementi  per il controluce (ad es. un proiettore per ogni quadrato oppure uno potente e con luce più diffusa che copre più zone). Nella realtà naturalmente è difficile avere sempre un angolo che sia esattamente di 45°, soprattutto nelle  zone  più laterali del palcoscenico. Anche se  l’angolo fosse un po’ più  largo

o più stretto, la cosa importante è che i due raggi di luce che illuminano un’area si sovrappongano parzialmente e quelli delle aree vicine, in modo da non lasciare zone d’ombra nel  passaggio  dall’una all’altra.

Un tale sistema risulta molto  versatile; permette di  controllare  singolarmente delle  piccole zone di palcoscenico e  di bilanciare  tra di loro in modo da  seguire,  ad  esempio, gli spostamenti degli attori. Con dei leggeri cambi di bilanciamento tra le aree, che il pubblico solitamente non percepisce, è possibile spostare l’attenzione nelle  zone  del palcoscenico che via via si vogliono evidenziare, dandogli una maggior luminosità relativa. Quando è  necessario, la divisione in piccole aree permette di seguire più fedelmente  la realtà. Ad esempio  si può aumentare l’intensità della  luce nella  zona  del palco dove  si trova una lampada  o una  candela accesa, oppure davanti  a  un caminetto,  ad  una  finestra ecc., abbassando l’intensità nelle zone via via più lontane. Per migliorare l’effetto  di tridimensionalità e di modellazione dei visi si può differenziare il gruppo di tutti i proiettori  che  illuminano da  destra  da  quello dei proiettori di sinistra,  regolandoli ad  intensità  diverse o colorandoli in modo leggermente  diverso  (  ad  es.  ponendo  una  gelatina che  raffredda la luce su tutti i proiettori che illuminano da destra  e  nessuno su  quelli che  illuminano da sinistra). La divisione fra gruppo di destra e gruppo di sinistra è utile anche quando si vuole evidenziare una  provenienza  di  luce. Se in  una  scena all’aperto la fonte di  luce è  un raggio di sole che proviene da  destra,  si potrà sottolineare l’effetto  ponendo  i proiettori che illuminano le aree da destra al massimo dell’intensità e lasciando quelli da sinistra più bassi.

La scenografia Se l’illuminazione dell’area di recitazione sarà fatta meticolosamente, probabilmente parte della  scenografia sarà già ben  illuminata per riflessione. Tuttavia  le grandi pareti, i panorami o il ciclorama  (che produce p.es. il cielo) richiedono  un’illuminazione specifica. Questa viene fatta  solitamente con  apparecchi  diffusori  i  quali, oltre ad illuminare, danno anche un tono di colore generale alla scena e quindi un’atmosfera.     I  diffusori  vengono  usati  in  batteria alternando  eventualmente  due  o tre colori  diversi.  La fila di  apparecchi  montati su  un’americana luci viene posizionata 1,5-2 metri davanti  alla parete o al fondale da illuminare, e tanto in alto da essere nascosta alla vista del pubblico.

Alcuni materiali per panorami (il  PVC  o certe  tele) possono anche  essere  illuminati  dal retro, con  un effetto molto  suggestivo  di  profondità. L’illuminazione da  dietro  può essere fatta anche dal basso, appoggiando gli apparecchi sul piano del palcoscenico, e può essere diretta o indiretta.  Nel  primo  caso  i  diffusori  alti  e  bassi vengono  puntati  direttamente contro il fondale; nel secondo è necessario montare un telo bianco, grande almeno quanto il fondale, ad una distanza di circa  1,5-2 metri. I  diffusori  in questo caso vengono  montati subito dietro il fondale e puntati all’indietro contro il telo bianco. Una volta in funzione, il bianco rifletterà  la luce rimandandola sul fondale. Quest’ultima  sistema è  decisamente il migliore perché è quello che dà l’illuminazione più morbida ed omogenea senza che si veda mai la fonte di luce. D’altro canto però è anche il metodo che richiede il maggior numero di apparecchi o una potenza superiore, perché non tutta la luce viene riflessa dal telo bianco e quindi una  parte di questa va  persa. Qualunque  sia il metodo utilizzato, la cosa più importante è quella di poter controllare autonomamente  l’illuminazione  delle  scene e  dei fondali, perché ciò permette di bilanciare nel migliore dei modi il rapporto con l’area di recitazione.

Le alternative  Se le applicazioni  derivate dal metodo McCandless  sono  le più diffuse, esistono  tuttavia alcune alternative. La principale è  quella  basata sul binomio  luce chiave- luce di riempimento. Si tratta di un metodo che addirittura precede quello di McCandless essendo in uso, pur nella sua forma “primitiva”, già all’epoca della luce a  gas.  Il sistema raggiunge il culmine del successo durante gli anni ’30, prima  di venire gradatamente  sostituito, ma ancora oggi è piuttosto utilizzato (magari inconsapevolmente) dai teatri amatoriali. Questo  tipo di illuminazione prevede l’interazione fra due  tipi  di luce molto diversi; per prima cosa il palcoscenico viene rischiarato da una luce diffusa di riempimento  che, con il suo colore, dà un tono generale  alla  scena. Questa luce si ottiene con  alcuni diffusori,  montati dietro  l’arco di  proscenio  o nella  parte alta  del  palcoscenico,  che illuminano “a pioggia” tutta l’area sottostante. I diffusori possono essere numerosi ed avere gelatine di colore diverso, ad  esempio  quelle  dei tre colori  primari,  così da  ottenere molte tinte diverse  semplicemente lavorando sulle  intensità  dei singoli apparecchi.  A questa base si aggiunge la luce chiave, una luce più intensa, ottenuta con pochi proiettori, che illumina selettivamente l’area più ristretta dell’azione e definisce in maniera precisa una direzione di provenienza.  E’ un sistema particolarmente  interessante  per  i  piccoli teatri, perché permette di ottenere buoni risultati con pochi mezzi, anche se è molto  meno versatile  del sistema “a zone”. Naturalmente nulla vieta di applicare contemporaneamente i due metodi secondo una qualsiasi combinazione, così da unire qualche vantaggio dell’uno a quelli dell’altro. L’ultimo metodo che  si può citare è  quello che  prevede la divisione del palco in strisce  orizzontali.

Ogni zona  è  profonda circa  2 metri e  larga quanta la larghezza  del palco;  viene illuminata “di taglio”, da  ciascun lato, con  alcuni  proiettori  o sagomatori  montati a  varie altezze  su della piantane posizionate dietro le quinte. La suddivisione in zone permette di illuminare, a seconda dei casi, tutta la profondità del palco oppure solo le zone in cui avviene l’azione. A questa base si possono aggiungere poi degli apparecchi per il controluce, l’illuminazione autonoma per le scene e il fondale ed eventualmente un po’ di luce frontale di riempimento. Questo è un metodo che tende ad esaltare la tridimensionalità dei corpi, e ciò va un po’ a discapito della visibilità. Proprio per queste caratteristiche è  un metodo apprezzato  ed utilizzato soprattutto  nella danza.

Fonte  Salvatore  Mancinelli-Stefano Mazzanti

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