Antonio De Lisa- Il perché di “Ruins” dei Lost Orpheus
Nel momento in cui si decide di pubblicare un disco si stagliano nette nella mente due sensazioni che si scambiano continuamente di segno e di posto. Una succede all’altra con la stessa misteriosa velocità di una metamorfosi. Del resto succede la stessa cosa quando si decide di pubblicare un libro. Ma col disco è diverso. Il libro è scritto in una determinata lingua, è chiuso nella sua specola linguistica, il disco no (anche se le canzoni sono in una lingua, è la musica che parla). Il libro viene recensito da amci critici o da critici amici, il libraio lo mette in vetrina, l’editore lo presenta a un concorso letterario. Un circuito perfettamente virtuoso. Il disco no. Il disco gira in modo miesterioso e soprattutto senza confini.
Il disco gira senza confini. Prima non era così evidente, ora sì. Stiamo facendo l’esperienza col nostro Cd “Ruins- Orizzonte meridiano” (del gruppo Lost Orpheus). E’ come affacciarsi a una finestra sullo strapiombo. Vertiginoso. Ti possono ascoltare dal tuo condominio alla Malesia. Allora, quella doppia sensazione di cui si parlava prima diventa capogiro, la sensazione di un successo mondiale inseguita e rosicchiata dalla sensazione di un clamoroso fallimento. Alla fine forse le due cose si bilanceranno, ma in questa adrenalinica oscillazione si gioca tutta l’attesa. Quando il tuo CD comincia a girare su piattaforme come Spotify, Deezer, iTunes, non è più la stessa cosa.
Non è vero che la musica non tira. Le cifre dicono il contrario. Quest’anno le vendite di biglietti ai concerti è raddoppiata. C’è tutto un circuito di redivivi long-playing che fa quasi impressione. Nei negozi il mercato dei Cd offre dati contrastanti, ma non sempre negativi. Il problema è che la Classica non vende, quello è il problema. E’ come se si stesse inaridendo un fiume, poi ridotto a ruscello e infine a rivolo. Lì i dati sembrano sempre negativi. E ormai sembra scomparsa dall’orizzonte la musica contemporanea. Noi (che veniamo pur sempre dalla classica e dalla contemporanea) abbiamo fatto una scelta: oltrepassare i generi. L’operazione è stata già più volte tentata negli anni scorsi, ora sembra giunto il momento di togliere le etichette. Perché dovrà essere la qualità della musica a contare, la sua freschezza, la sua novità. Noi ci stiamo provando.
Certo, si possono fare tutti i discorsi di questo mondo, ma in definitiva è il riscontro del pubblico la misura della riuscita di un certo (rinnovato) discorso musicale. Il pubblico per decenni è stato demonizzato, quasi non contasse più, tanto che ora molti generi di musica non ne hanno più, di pubblico. E invece è importante. Ovvio che chi compone pensando esclusivamente al pubblico finisce col fare una musica puramente commerciale; a quel punto sarebbe meglio non farla del tutto, la musica (a che pro?). Invertendo, invece, la prospettiva e riaprendo il discorso della percezione e dell’ascolto, ci potrebbe essere la possibilità di fare una musica non banale, ma ascoltabile, non esclusivamente in forma canzone, ma con strutture comprensibili. E’ una specie di scommessa. Invece di chiuderci nel rimpianto, riaprirci fenomenologicamente al mondo.
“Ma questo è rock!”. Ce la siamo sentita dire questa esclamazione scandalizzata e non in un quadro di chiara benevolenza. E allora? Ci sarebbe da rispondere, se fossimo meno riflessivi e meno inclini a un pacato ragionamento musicale. Verissimo. Molti nostri pezzi sono rock o perlomeno gli somigliano molto. Ma bisognerebbe vedere come consideriamo il rock e che cosa pensiamo di vederci (sentirci) dentro. Per noi il rock è una specie di koiné, un linguaggio comune e universale, quello del nostro mondo qui e ora: il linguaggio universale della musica mondiale contemporanea. E noi ci sentiamo di usarlo questo linguaggio e più in alcuni e meno in altri pezzi. Intanto, non facciamo solo canzoni ma anche molti pezzi strumentali. Nelle stesse canzoni lo usiamo come una struttura compositiva, non come un formulario bell’e fatto. E, le canzoni: perché ci stanno le canzoni nel nostro Cd? perché abbiamo molte cose da dire … non sembra una ragione sufficiente?
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