Mo Yan- Le Rane
Mo Yan, Le Rane, Einaudi, Torino 2013
Ci sono due cose che colpiscono nei romanzi di molti scrittori cinesi, un buco nero che è costituito dalla Rivoluzione culturale e una vetrina di splendenti ma non sempre positive novità, rappresentata dal passaggio dal comunismo all’economia di mercato. In questo libro del premio Nobel Mo Yan, Le rane, ci sono entrambi, ma inegualmente rappresentati. Riesce bene la descrizione del primo, meno bene quella della seconda. La critica si è divisa sul romanzo. C’è da dire che Mo Yan è dotato di una grande maestria narrativa, non scevra di una vena elegiaca. Colpisce soprattutto la contraddizione solidale, per così dire, tra costumi tradizionali e mentalità rivoluzionaria e la dissoluzione di ogni valore emersa coll trionfo del capitalismo alla cinese. Coltissimi i riferimenti alla cultura cinese più sotterranea e arcaica. Chi coltiva una concezione del romanzo come conoscenza per così dire storico-antropologica può godere liberamente della lettura. Chi è più attento alla storia in senso narrativo non ne resterà deluso.
A.DeL.
LA TRAMA
Tutti i bambini della regione di Gaomi sono venuti al mondo grazie alle cure e alla sapienza delle mani di Wan Xin, l’unica levatrice della zona. Il suo è un talento naturale che in breve tempo la trasforma nell’amata custode dei segreti della maternità. Ma quando, a metà degli anni Sessanta, il partito è preoccupato per l’esplosione demografica e decide di porvi rimedio, Wan Xin diventa la severa vestale della politica per il controllo delle nascite imposta dal regime e si applica a praticare aborti e vasectomie con lo stesso zelo con cui portava nel mondo nuove vite. Col passare degli anni la campagna per il controllo demografico acquista un carattere di violenza repressiva a cui la stessa Wan Xin non riesce a sottrarsi: in un drammatico inseguimento, una donna partorisce su di una zattera in mezzo al fiume pur di salvare la vita al figlio. Quando all’inizio degli anni Novanta, la stretta del regime si allenta, Wan Xin vede crollare i motivi e gli ideali in cui aveva creduto e con cui aveva messo a tacere la sua coscienza. Finché, in una drammatica notte, tornando a casa, si smarrisce in una zona paludosa: il gracidare delle rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati, i corpi gelidi degli animali, come piccoli feti abortiti, la circondano, la ricoprono, spingendola a un ripensamento di tutta la sua vita. Con Le rane Mo Yan ha saputo raccontare un intero paese, colto in un passaggio storico: e lo ha fatto grazie a una donna straordinaria. Wan Xin è un personaggio epico e tragico, le cui scelte e decisioni sono complesse, controverse, spesso discutibili: perché complesso e sofferto è il giudizio di Mo Yan sul suo paese.
PARERI CRITICI
In cinese il suo pseudonimo significa “colui che tace”, espressione piuttosto strana se si pensa che Mo Yan è un autore particolarmente prolisso. La sua opera a tratti delirante usa in modo assai malizioso registri molteplici – la fiaba popolata da animali, il fantastico, la pantomima ubuesca, la satira mascherata da commedia – per affrontare il sesso e il potere, i due grandi tabù del suo paese, dove i suoi libri tuttavia non sono censurati. Se il narratore di Le rane si chiama Girino, è senza dubbio perché il paese di cui fa la crudele caricatura somiglia a una palude. L’autore ci trascina in essa attaccandosi a un argomento molto doloroso della storia cinese: la politica della natalità, che ha costretto le donne alle peggiori umiliazioni, quando dovevano obbedire agli ordini di Pechino per sapere se gli era permesso avere dei bambini. Attraverso il ritratto della zia del narratore – un’“ostetrica titolare” del cantone di Gaomi – Mo Yan fa sfilare mezzo secolo di dittatura, dall’instaurazione della pianificazione familiare capillare alle campagne di aborto orchestrate da un regime che controllava tutto, anche la sessualità.
André Clavel, L’Express
L’AUTORE
Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura nel 2012, nasce nel 1955 da una famiglia numerosa di contadini poveri, a Gaomi, nella provincia dello Shandong. Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e isolato paese natale per arruolarsi nell’esercito. Fa il soldato semplice, il caposquadra, l’istruttore, il segretario e lo scrittore. Nel 1997, congedatosi dall’esercito, inizia a lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di Letteratura dell’Istituto Artistico dell’Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso l’Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981. Fra le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo rosso, L’uomo che allevava i gatti, Grande seno, fianchi larghi, Il supplizio del legno di sandalo, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao e Le rane. Delle sue undici novelle si ricordano Felicità, Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il cane e l’altalena e Il fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L’uomo che allevava i gatti. Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche come Sorgo rosso, Il sole ha orecchie, Addio mia concubina. Il film Sorgo rosso è stato premiato con l’Orso d’Oro al Festival del cinema di Berlino e Il sole ha orecchie con quello d’Argento. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino per la sua intera opera.
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