Il buddhismo zen giapponese
Con il termine zen (禅) ci si riferisce a un insieme di scuole buddhiste giapponesi . Talvolta si definisce zen anche la tradizione cinese Chan, da cui storicamente deriva, e quella Sòn coreana.
Zen è la pronuncia nipponica della parola cinese Chan. Questo termine, un prestito linguistico dalla lingua classica, fin dalla prima introduzione del buddhismo in Cina fu utilizzato per rendere foneticamente il termine sanscrito Dhyāna che nell’insegnamento del Buddha indicava i graduali stati di coscienza caratterizzati da profonda comprensione che scaturiscono dall’esercizio del Samadhi, ossia la concentrazione meditativa. In seguito, in diverse forme composte come Chanseng, Chanshi (Monaco meditante, Maestro della meditazione), divenne una definizione generica per una categoria di religiosi che si dedicavano specialmente alla meditazione. Sembra che in questo ambito sia nata la tradizione e che adotterà questo termine come vera e propria denominazione specifica del proprio lignaggio (cinese: Chánzōng, giapponese: Zenshū 禅宗, la cosiddetta setta zen). Nonostante non ci siano testimonianze storiche della presenza di una scuola zen in India, questa tradizione del buddhismo Mahayana si fa risalire a Bodhidharma, ventottesimo patriarca buddista del ramo originale indiano (che vede al primo posto Siddharta Shakyamuni, il primo Buddha e primo patriarca del buddhismo in Cina).
È infatti l’atto puro, l’azione diretta che lo zen predilige, assieme a tutti quei modi di rapportarsi all’esperienza senza troppi vincoli culturali e dunque all’intuizione. Degna di nota è la particolare concezione del vuoto, che si distacca totalmente dal nichilismo occidentale. Se per l’Occidente infatti esso si presenta per lo più come morte, cessazione, mancanza, privazione e negazione, il “mu”, l’indicibile nulla dello zen, è qualcosa di estremamente dinamico, stato germinale di tutte le cose, condizione di ogni possibilità, contenitore del tutto. Uno dei modi di indicarlo è l’enso, un ideogramma dalla forma circolare che è tra i simboli più significativi dello zen. Collegate a tale dottrina è possibile trovare numerose pratiche appartenenti a campi eterogenei. Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo zen ispirò la poesia (haiku), la cerimonia del tè (cha no yu o chadō), l’arte di disporre i fiori (ikebana), l’arte della calligrafia (shodō), la pittura (zen-ga), il teatro (Nō), l’arte culinaria (zen-ryōri, shojin ryōri, fucha ryōri) ed è alla base delle arti marziali (es. aikido, karate, judo), dell’arte della spada (kendo) e del tiro con l’arco (kyudo).
Obiettivo dello zen è pervenire al satori, l’illuminazione che porta a un più alto livello di coscienza. Satori e vuoto sono due concetti complementari che si sostengono l’un l’altro, e proprio dalla concezione zen del vuoto è possibile capire la differenza tra il Nirvāna della tradizione buddhista e il satori. Se il primo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, proprio come nell’ascetica noluntas di Arthur Schopenhauer, il satori si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo e non una fuga da esso.
Lo zen preferisce l’attività alla speculazione intellettuale e si distingue dalle altre scuole buddhiste per aver reso essenziale e centrale la cosiddetta pratica nel raggiungimento del satori. Tra le pratiche zen si distingue in modo particolare lo zazen, la meditazione stando seduti. Il termine deriva da “za”, seduto e “zen”, meditare e indica proprio la meditazione da seduti, su un cuscino detto “zafu”, accompagnata da determinate posizioni delle mani e determinati ritmi respiratori, con l’obiettivo di portare la mente a un vuoto produttivo. Un’altra pratica è il kin-hin (let. “marciare in linea retta nel verso della trama di un tessuto”), la meditazione camminando.
Il Chan fu una scuola buddhista cinese che fiorì sotto la dinastia Tang (618-907). Questa dottrina, grazie all’impulso dei suoi maestri, si diffuse in tutta la Cina e soppiantò rapidamente le altre sette buddhiste. Dopo la grande repressione che colpì il buddhismo nell’845, il Chán s’indebolì sempre più; il suo insegnamento originario, diretto, aspro, spontaneo, finì per ottenere una nuova istituzionalizzazione sotto la dinastia Song (960 – 1279).
Nell’VIII secolo in Cina sorsero cinque “scuole” del Chan, delle quali oggi ne sopravvivono due, note con le denominazioni giapponesi di Sōtō e Rinzai. La prima incentra la ricerca del satori unicamente sulla pratica: possiamo dire che l’essenza della scuola Sōtō è il principio dello Shikantaza (let.shikan, dedicarsi unicamente, ta, toccare, za, sedersi), vale a dire “toccare la natura originaria solamente con la giusta postura” e dunque senza prefiggersi alcuno scopo. La pratica Sōtō infatti equivale all’abbandono del modo di concepire le azioni umane secondo scopi da perseguire, e dato che si affida solo alla postura (l’atteggiamento unificato e attivo del corpo, della mente e dello spirito) è anche detta mokushō-zen (let.moku, in silenzio, shō, illuminarsi) “lo zen del risveglio silenzioso”. La pratica della scuola Rinzai, invece, è chiamata kan-na-zen (“lo zen della contemplazione della parola”), perché allo za-zen e al kin-hin aggiunge l’uso dei kōan o kung-an, problemi irrisolvibili razionalmente che il Maestro pone al discepolo per condurlo al satori attraverso un opprimente “senso del dubbio”. Il kōan è una sorta di paradosso logico che trascende la coscienza e il senso comune, creando così uno stato di vuoto mentale adatto alla meditazione.
Il Chan fu importato in Giappone nel XII secolo. All’inizio del XX secolo i primi missionari giapponesi propagarono lo zen nell’America del Nord (soprattutto in California); ad esempio uno studioso giapponese e buddista, Suzuki Daisetsu Teitaro, ha scritto dei libri in inglese riguardanti lo zen. Negli anni 1950 il movimento beatnik contribuì a renderlo popolare, tanto da farlo diventare la “filosofia” dei giovani della New Age, in lotta contro la società industriale.
In seguito lo zen giunse in Europa, ma rimase appannaggio degli intellettuali e degli studiosi. Nella cultura occidentale lo zen esercita un fascino sempre maggiore, anche grazie a grandi personalità che si sono impegnate ad introdurlo in America ed Europa, quali lo psicoanalista-filosofo Jung e il giapponese Suzuki.
A cura di Oriella Orazi
Fonte: http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/zen/index_file/Page320.htm
Categorie:I30.06- Teatro giapponese
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