Antonio De Lisa – Krokodil
Quando compare Tommaso Senno, lo schizzatissimo regista del nuovo spettacolo teatrale della compagnia, sembra che un fremito attraversi il gruppo degli attori, alcuni vecchi, molti nuovi. Al solito, Tommaso, tifoso di Usain Bolt, è vestito completamente di nero, col solito sigaro toscano in bocca, l’aria da perenne incazzato.
All’ora di pranzo il gruppo si sparpaglia per mangiare un rapido sandwich in qualche bar. Tommaso apre il cellulare e si immerge nella visione del suo film preferito, “1408”, un film del 2007 diretto da Mikael Håfström con John Cusack, Samuel L. Jackson e Mary McCormack. Il film è tratto dall’omonimo breve racconto di Stephen King incluso nella raccolta “Tutto è fatidico”. “Non è che quello che vedo non sia reale, è che non è reale quanto sembra”, dice il protagonista, Mike Enslin che entra in una stanza in cui non dovrebbe entrare, in cui sul display di un apparecchio parte un conto alla rovescia di 60 minuti, che coincide con la prima di una serie di sconvolgenti allucinazioni, che aumenteranno di “potenza”, ogni minuto che passa e alla fine porteranno Mike Enslin a vivere la notte più terrificante della sua vita.
-Mi spieghi cosa ci trovi in quel film?”, chiede Francesco, avvicinandosi con un tramezzino in mano.
– Ciao, Francesco, – risponde Tommaso. E’ uno strano film tratto da uno strano racconto, pieno di citazioni tratte dal mondo del noir. A un certo punto si vede la scritta ‘Psycho’, ‘Dolphin Hotel’ è stato scelto da King in riferimento al Dolphin Hotel presente in alcune opere dello scrittore giapponese Murakami Haruki (Sotto il segno della pecora, Dance Dance Dance), senza contare la numerologia. Mi piace tantissimo.
– Ricevuto, – dice Francesco e si allontana mordicchiando il suo tramezzino. Raggiunge Francesca che si è portata un toast e lo sta mangiando seduta su una poltroncina del teatro.
– L’hai vista la Medea di Seneca che ha messo in scena Tommaso l’anno scorso?
– No, per fortuna.
– Ti sei perso un capolavoro … ci sa fare, è bravo nel suo mestiere.
– A me questa cosa della cosiddetta avanguardia fa venire l’orticaria.
– Interessate … non la chiamerei avanguardia, teatro moderno e basta.
– Non ci siamo, vuole confondere i ruoli, prima mi dice una cosa, poi un’altra.
– Lo spettacolo nasce così, per lui.
– Per me, no!
I giornali avevano recensito positivamente la messinscena della “Fedra” di Seneca con la regia di Tommaso Senno. Non c’è molta gente che si cimenti con testi così ardui e apparentemente anti-teatrali, quindi la novità era stata apprezzata. i critici avevano notato che Senno non aveva modernizzato Fedra, aveva solo fatto emergere la sua insospettata modernità. “Il mostruoso è colpa del destino, l’incesto della coscienza”, dice la Nutrice. Fedra, figlia di Minosse, sì è innamorata del suo figliastro Ippolito, figlio di Teseo. La sua “coscienza” la rende immensamente più colpevole. Colpevole di amare. Quando Teseo tornerà dagli inferi Fedra fingerà di essere stata insidiata da Ippolito e il padre commette il più atroce dei delitti, l’uccisione del figlio, invocando l’opera di Nettuno.
“Ricordati di tua madre”, la supplica la Nutrice riferendosi alla terribile Pasifae, figlia del Sole, sposa di Minosse, che si era accoppiata con un toro e generato il Minotauro. La Nutrice esorta Fedra alla prudenza: “Per qualcuna rimane nascosta, la colpa, per nessuna impunita”. I critici avevano notato che il regista aveva fatto della Nutrice un vero personaggio, il contraltare di Fedra, la voce della sua coscienza ma non in senso banale, la voce del suo inconscio, della profondità del suo senso di colpa. Fedra risponde: “Le so, queste cose, e sono vere, ma la passione mi spinge al peggio. Il mio cuore corre verso l’abisso, e lo sa, e con nostalgia si rivolge, ma invano, ai buoni consigli”.
“L’amore è un dio? Questo lo dice la libidine, che è turpe e complice del vizio”, dice ancora la Nutrice, “Per essere più libera ha dato il nome di un dio alle sue voglie… Il potere di Venere e l’arco di Cupido se li è inventati una mente delirante”. Non c’è una sola battuta a vuoto nella tragedia di Seneca e i giornali avevano sottolineato la capacità di Tommaso Senno di assecondarne l’insita drammaticità. Il lavoro con gli attori era stato svolto in profondità, mesi e mesi di prove su ogni dettaglio. Si trattava di trovare un registro intermedio tra voce naturale e voce impostata. Nella frase “L’amore è un dio? Questo lo dice la libidine…” era necessario sbalzare il primo emistichio dal secondo, differenziarli, renderli persuasivi entrambi.
Questione molto delicata era delineare il carattere di Ippolito. Facile vederlo come un immaturo ragazzo viziato, troppo intento alle sue occupazioni per sentire anche il più piccolo istinto amoroso. Senno era riuscito, sulla scorta del testo di Seneca, a farne venir fuori un’insospettata dimensione “politica”. “Non c’è vita più libera, più pura da vizi, più vicina ai costumi di un tempo, di quella che ama le foreste e rifugge dalla città”, dice Ippolito e sa quello che dice, “non è servo del potere né del potere assetato”. Si sente l’eco dell’esperienza personale di Seneca e bisognava farla sentire, secondo il regista, che in questo luogo particolare della piece fa vedere un movimento di tonache su gradoni senatori, ma solo di scorcio e in ombra. “Che cosa bevono i potenti in quelle coppe d’oro?”.
Nel teatro di Tommaso Senno la musica è fondamentale, il primo gruppo teatrale che ha fondato da giovane si chiamava proprio “Teatro suono”. Si è laureato con una tesi su Adolphe Appia e sostiene che il regista abbia una dimensione simile a quella del compositore di musica. La messa in scena in questa prospettiva può essere paragonata a una composizione musicale. E’ tutta una questione di ritmo. Questo emerge con forza quando si ha a che fare con scene come quella in cui il Messaggero descrive la morte di Ippolito nella Fedra. Ippolito fa una fine orribile. L’intelligenza della tragedia antica consiste nel fare uccidere un figlio dal padre in maniera indiretta. In realtà è Nettuno che muove l’onda possente che travolgerà Ippolito spargendone le membra su un intero bosco. In questa scena appunto emerge tutta l’inventiva di un regista, che deve muovere l’animo dello spettatore senza cadere nel Grand Guignol, nella dimensione orripilante. E molti riconoscono che Tommaso Senno vi sia riuscito.
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-La digressione è fondamentale, – sta dicendo Tommaso allacciandosi le scarpe da jogging, mentre il cast lo segue di malavoglia, sbadigliando e imprecando (in silenzio). Tommaso sta portando tutti nel parco vicino al teatro per una seduta di ventilazione. C’e chi sfoggia tutine alla moda, altri delle cose che somigliano a degli stracci. La mattinata prevede esercizi nel parco, il pomeriggio la visione dell’opera completa del regista lituano Eimuntas Nekrošius. Forse non proprio completa, forse solo uno spezzone significativo. Tommaso vuole mostrare come ci si muove sulla scena. Non debbono necessariamente imitaro, solo capire l’importanza di certi movimenti.
Gianfranco Stoti è incaricato di portare il radione con incorporato il lettore Cd che ha anche l’entrata Usb per la pen drive. La prima parte degli “esercizi” consiste in una variante dei consueti esercizi di improvvisazione, con una particolare attenzione all’interazione degli attori. Tommaso prepara degli schizzi, insieme ai materiali grafici per lo spettacolo che deve mettere in scena, decine di fogli pieni di scarabocchi, sigle, abbreviazioni, citazioni, disegni, volti. La sua è una particolare concezione di improvvisazione controllata, una teoria del campo teatrale. Pensa che sia necessario un plot abbastanza preciso per aiutare lo spettatore ad entrare nel dramma, ma ritiene che quelle degli attori coinvolti siano in realtà delle digressioni sul canovaccio. Lo spettacolo cambia di volta in volta a ogni rappresentazione, anche se non di molto. Tommaso pensa che in questo modo il testo respiri con lo stesso respiro degli attori.
Gabriella mugugna per tutto il tragitto, riempiendo la pazienza di Francesco di sospiri. Non le piace fare quel genere di esercizi, ritiene che non siano degni dell’Accademia di arte drammatica, che non siano accademici, appunto. E’ stata educata al metodo Stanislavsky e non capisce o non vuole capire tutte quelle innovazioni, quei movimenti inconsueti, quella musica che disturba la recitazione. Vuole che sia teatro, non musica. Sonia e Mariangela invece accettano di buon grado il “metodo Senno”, ne intuiscono le profonde possibilità, sono curiose. Anche se non hanno mai lavorato con il regista fino ad ora, sono aperte alle sue intuizioni. Questo è il primo spettacolo che Senno prepara con quella compagnia, che è organizzata in forma di cooperativa.
La prima serie di esercizi va fatta a coppie, sulla base della musica di Daughn Gibson, “It Wants Everything”. Quando è uscito questo pezzo un giornale specializzato (“Mucchio selvaggio”) ha parlato di canzone “inebriante”: “La voce calda e profonda del songwriter americano dà corpo e anima a immagini che potrebbero uscire da una Bibbia riveduta e (s)corretta da un Joe R. Lansdale, tra morti felicemente dissanguati, stanze d’albergo che si trasformano in paradisi, chiamate che corrono sulla linea telefonica”. I primi attori che entrano in scena sono Antonio e Sonia.
Il resto del pomeriggio passa, come programmato, nella visione dei video degli spettacoli di Eimuntas Nekrošius. Senno non lo fa per imitare qualcuno ma per distogliere gli attori dal modo consueto di preparare uno. spettacolo. In serata ha fissato un appuntamento con lo scenografo, Tiziano Mannoni, e il costumista, Federico Sennini.
Eimuntas Nekrošius è autore di un teatro visionario e antinaturalistico. Ha creato spettacoli di inconsueta ricchezza vitalistica e varietà d’invenzione. Sono spettacoli fondati su una metaforica e talvolta vorticosa stratificazione espressiva, che combinano la logica ipnotica dei sogni e della poesia e le gags ludiche e clownesche del circo. La scarnificazione del testo, la scenografia barbarica, arcaica ed essenziale, e la valorizzazione simbolica e rituale di pochi elementi scenici e testuali (il ghiaccio, la terra, l’acqua) caratterizzano la sua interpretazione della trilogia shakespeariana (Hamletas «Amleto» 1997; Makbetas «Macbeth», 1999; Otelo «Otello», 2000), che Tommaso Senno apprezza particolarmente. La reazione degli attori della compagnia è disuguale. Alcuni sono affascinati, altri inorriditi, ma tra i primi stranamente risulta Gabriella, che lentamente sta cercando di entrare nello spirito del lavoro di Senno e proprio per questo è ancora più acida del solito.
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La sala è strapiena quando entra Tommaso Senno, la star della serata, il conferenziere. A lui è stato affidato l’intervento sul teatro nell’ambito del Festival delle arti. Il titolo che ha fornito agli organizzatori è: “L’arte è politica”.
– Che cos’ha di speciale la nostra epoca tanto da sembrare a molti priva di interesse artistico? Proviamo a fare una riflessione articolata. E’ perlomeno doveroso chiarire alcuni presupposti, prima di dispiegare in pieno il ventaglio delle proposte.
– Il primo dato che salta agli occhi è di tipo analitico. E’ un’epoca di molteplicità e di varietà assolute. Sembra che ogni artista (nel senso più ampio) faccia storia a sé. Anzi, che ogni singola opera faccia storia a sé. Non sono riconoscibili scuole, se non piccole cordate; non sono visibili opzioni di poetica, perché spesso lo stesso artista articola il proprio percorso in più direzioni. Lo stesso trattamento della materia prima dell’arte, cioè il suo proprio linguaggio, è ampiamente prospettico, dallo sperimentalismo al pacato e a volte dolente intimismo.
Tommaso fa una pausa e beve un sorso di acqua minerale.
Tommaso dà un’occhiata al pubblico e riprende.
– Da un punto di vista storico, il periodo che va dalla metà degli anni Settanta ad oggi è il meno definibile possibile da questo punto di vista. E’ l’immagine stessa della frammentarietà. E lo si afferma in questa sede come puro dato di fatto, senza implicazioni. E’ anche un’epoca di grande abbondanza artistica. Come se l’arte fosse l’ultima isola di testimonianza prima del silenzio. Le due cose forse vanno insieme. Abbondanza e frammentarietà non sono scindibili. Ma fatta questa premessa, su cui si dovrà tornare per chiarirne gli elementi interni ed esplicitarne le connessioni, bisogna passare all’altro punto, ovvero: di cosa è specchio questa frammentarietà? E’ una domanda che presuppone un inevitabile rispecchiamento tra condizione della società e stato dell’arte.
– Frammentarietà e proliferazione sono in questa prospettiva l’epifenomeno, per così dire, di una condizione di fondo di uno stato di cose che ormai è andato oltre anche il post-moderno, superandolo in prospettive ancora più caotiche e confuse. E’ questa la condizione che chiamiamo di “precarietà ontologica”. Non c’è più niente che tenga come punto fermo, come punto di riferimento. Non ci riferiamo certo ai vecchi valori (ideologici), ci riferiamo ai valori in generale. Resta solo l’”io”. Cioè una situazione in cui solo l’individualismo più isolazionista detta le leggi del movimento. Ma proprio perché isolato, tanto più conformista. Una miscela particolare che si è venuta a creare in condizioni di mescidazione tra vecchi spezzoni di realtà e nuove aspirazioni.
A Tommaso sembra che qualcuno alzi la mano per intervenire ma si sbaglia, quindi riprende.
– La domanda da porsi si configura quindi in maniera più sottilmente articolata. Come si muove l’arte in questo stato di cose, in cui tutto fluttua in una condizione di precarietà generale (anche lavorativa, anche di condizione sociale)? Forse, tutto sommato, conserva una sua dignità. Zanzotto ha detto – dal punto di vista poetico – che chi scrive versi fa ipso facto resistenza civile. E’ sempre generoso, quello che è stato forse l’ultimo grande poeta italiano. Questa generosità è di tutta l’arte contemporanea, al di là di polemiche e dibattiti, ma tutte e due inconcludenti perché non fanno i conti col “mercato”.
– Sembra appunto il “mercato” a dettare le regole. Lo può fare perché l’artista si è chiuso in un suo spazio di autorealizzazione senza più guardare fuori: alla strada, alla realtà, al conflitto. In queste ultime dimensioni, invece, sono emerse e stanno emergendo le espressioni più innovative dell’arte di movimento. Queste espressioni non si presentano come manifestazioni artistiche, ma lo sono. Pensiamo alle Pussy Riot. Il loro messaggio è chiaramente politico ma calato in una forma riconducibile alle manifestazioni della cultura punk, che non è certo recente, ma che è stata l’unica (insieme al rap) a incarnare valori di protesta sociale maturi e potenti.
Tommaso fa un’ultima pausa prima delle conclusioni. Il pubblico è attentissimo.
– Quando parliamo di cultura punk o rap sembra (almeno ad alcuni) che vogliamo alludere a un universo che non è quello “colto”, ma piuttosto legato alla cultura pop. Il fatto è, però, che solo in quel contesto sono emersi bagliori di novità e di potenza espressiva che le arti “colte” non hanno saputo recepire, tranne che in alcune forme di romanzo contemporaneo, come quello di Thomas Pynchon, Edgar Foster Wallace e Roberto Bolano.
– Il XXI secolo ha cominciato a emettere segnali di ribellione e di protesta fin dall’inizio, a partire dal G8 di Genova. Più recentemente, a far data dal 2011, si sono estesi all’intero occidente e al mondo islamico. Ma nessuno ha colto questi segnali. Non c’è da meravigliarsi se l’arte si sia trovata isolata nel flusso dei messaggi sociali, chiusa in un suo torvo egoismo.
– Se riuscirà a cogliere questi segnali, come per esempio quelli che si sono manifestati nelle piazze occupate dagli Indignados o che provengono dalle scritte sul seno nudo del gruppo Femen, è probabile che possa reimmettersi nel circuito vitale della comunicazione. Questo significa dichiararsi immediatamente politica, nel senso ampio della partecipazione alla polis; che non esclude certo la navigazione nelle plaghe profonde dell’io ma la rende simbolicamente evidente, partecipata, “sociale”. Il linguaggio dell’arte, delle arti, non teme la contaminazione. E’ esso stesso generatore di conflitto, con i propri mezzi. Se si incontrano questi conflitti scoccherà una nuova scintilla. L’alternativa è il silenzio.
– Non condivido una sola parola di quello che ha detto, – interviene un tizio.
– Mi piacerebbe sapere perché.
– Lei è un invasato.
– Grazie per il complimento.
– Mi chiedo cosa c faccia lei qui, qui si parla di Arte, non delle Femen, – dice un altro.
– Arte, in che senso?
– Di buffoni in circolazione ce ne sono molti, ma lei li supera tutti.
– Lei, certamente.
La moderatrice, una donna dall’apparenza di una presentatrice televisiva, cerca di intervenire per attenuare la violenza della reazione del pubblico, ma Tommaso si è già messo gli auricolari negli orecchi, la sua reazione autistica all’ostilità del mondo circostanze e da qui in avanti annuisce a tutti gli interventi senza capire quello che dicono.
Al ritorno a casa Tommaso risponde (di malavoglia) alle domande di un giornalista, che gli chiede di esplicitare che cosa intende per “arte politica”. Tommaso butta giù un sorso i whiskey e risponde:
– Non penso di sbagliare di molto quando affermo che l’arco di tempo che va dal 2010 al 2013 sia stato tempo di rivolta. Innanzitutto contro chi ha prodotto una crisi economica mondiale di proporzioni gigantesche, ma più in generale contro le politiche neo-liberiste e globalizzanti. Nei paesi arabo-islamici, dalla Tunisia alla Turchia, si è trattato anche di una vera rivoluzione contro le dittature vigenti in quei paesi; in quei casi però i risultati sono stati spesso contrari alle aspettative. Quindi, un movimento di rivolta globale, come non si vedeva dagli anni Sessanta. In questo movimento non hanno mancato di farsi sentire le espressioni più moderne di emancipazione femminile. Alle dinamiche più apertamente economico-politiche si sono intrecciate quelle legate ai valori e alle aspettative della parte più vigile e meno rassegnata della società. Questo scossone ha generato nuovi linguaggi e nuove forme espressive che si sono riversate nelle strade, sui muri e nelle piazze. Solo le forme artistiche più inquadrate nel sistema di mercato non hanno risentito di queste dinamiche. Altre, come le musiche punk e rap o alcune forme letterarie hanno saputo interpretare e talvolta anticipare questo grande movimento di rivolta. Un’altra novità è la duplice direzione della rivolta, quella di piazza e quella digitale, non sempre coordinate ma spesso intrecciate nel contesto della comunicazione globale. La rivolta, quando per esempio assume le caratteristiche di Anonymous, usa gli stessi mezzi di comunicazione dell’economia globale, ma con segno rovesciato”.
Il giornalista ha registrato la risposta e dice che inserirà delle domande per rendere più “giornalistica” la dichiarazione. Senno ribatte che per lui va bene, purché non tagli nulla. Sa che la soglia di attenzione della gente è limitata e non ha niente da dire, ma ci tiene a far sapere veramente quello che pensa.
Appena chiude la telefonata c’è Sonia giù, che gli sta facendo un colpo di citofono.
– Sali, – dice Tommaso.
***
– Questa volta dobbiamo colpire duro!, – dice Tommaso presentando il nuovo spettacolo, con l’aria di voler dare un cazzotto a qualcuno.
– Dobbiamo far parlare i giornali. Dicono che il teatro è morto, cazzate! Vedrete … lo spettacolo che metteremo in scena questa volta si intitola “Krokodil”, sì, avete capito bene, la droga, la micidiale droga che arriva da oriente …
– Gli effetti di Krokodil sono devastanti fin dalle primissime assunzioni, – si esalta Tommaso: – dopo le prime due iniezioni in endovena si crea dipendenza. Al primo contatto con i tessuti interni, li danneggia in modo irreparabile, dissolvendo il tessuto osseo, mentre la pelle si squarcia, con la formazione di grosse piaghe, a volte così spesse da rendere necessaria l’amputazione degli arti.
Gli atri lo guardano allibiti, pensando di trovarsi di fronte a un occasionale attacco di follia del regista, come spesso è capitato in passato, in cui Senno proponeva un progetto che poi annullava nella seduta successiva. Questa volta sembra fare sul serio. Nessuno capisce come faccia a parlare con tutta quella musica nelle orecchie. Parla, infatti, ma non ascolta. Al limite, si toglie uno dei due capi di auricolare.
– La speranza di vita di chi assume Krokodil in modo continuativo è bassissima: da 1 a 3 anni, Tommaso ormai è partito. Guarda fisso davanti a sé, con un occhio che sembra più aperto dell’altro. – Solo 1 tossicodipendente su 100 riesce a disintossicarsi. Solo in Russia si stima che 100.000 ragazzi muoiano ogni anno per colpa di Krokodil, su una popolazione 2,6-6 milioni di tossicodipendenti. Tutti sono giovanissimi: l’età media è inferiore ai 30 anni, ma ci sono anche 12enni che ne fanno uso.
Nessuno osa fiatare, nessuno osa interrompere Tommaso, che sta descrivendo gli effetti di Krokodil, spiegando che per lui è una grandiosa metafora dei nostri tempi, lo scontro con la Russia, la distruzione dei corpi, l’effetto piaga che richiama tanto il vangelo. La diffusione di Krokodil nell’ex Unione sovietica è facilitato dal fatto che viene considerato un’alternativa più economica alla eroina. Ma la desomorfina, nome scientifico del principio attivo derivato dalla codeina, è anche molto più potente della morfina: fino a 8-10 volte in più. Inventata nel 1932 negli Stati Uniti, venne subito impiegata come potente analgesico, come la morfina dalla quale appunto deriva.
Tommaso è sempre più esaltato: Krokodil è diventata famosa per produrre gravi danni ai tessuti, flebiti e gangrena, ecco la metafora, la piaga dei nostri tempi, i nostri tempi come una piaga nell’ordine delle cose, noi come una piaga, la piaga come punizione divina.
Stiamo andando in gangrena e dobbiamo farlo vedere in uno spettacolo che deve provocare malori, vomito e ricoveri in ospedale. Dobbiamo trasformare il palcoscenico in un gigantesco girone infernale, il girone della droga, della, piaga, della malattia. Siamo tutti malati.
– Le sostanze oppiacee presenti in Krokodil la rendono devastante. E’ stata chiamata droga del cannibale o degli zombie. Capite ora? – grida Tommaso con nelle orecchie la musica di “Nothing to lose” di Buddaheads. Zombie.
-Si diventa zombies, quello che rischiamo di diventare noi, – dice misurando a larghi passi la sala prove del teatro adiacente al palcoscenico.
– C’è gente che è stata sorpresa a mangiare carne umana dopo aver assunto Krokodil. Putin voleva fare della gioventù russa il palcoscenico del suo successo, ha creato dei mostri.
Gabriella Marti fa un cenno di uscire dalla sala, inseguita dall’urlo minaccioso di Tommaso che le chiede dove stia andando.
– Non ce la faccio più a sentire questa roba.
– Cosa? Aspetta un momento, tu vorresti dirmi che non ce la fai più sentire questa roba, gesù, tu sei la protagonista.
Si stanno abituando ai litigi tra il regista e Gabriella, qualcuno alza gli occhi al cielo come a dire – ci risiamo, – qualcun altro ne approfitta per controllare i messaggi sull’iphone. Spesso il vero teatro nei primi giorni delle prove è consistito nei battibecchi tra Tommaso e la sua attrice principale. Stronzi a puntino tutti e due, in fondo si stimano, ma non si possono sopportare. Tommaso non è mai riuscito a farle qualcosa come vorrebbe; solo che Gabriella è molto intelligente, lo capisce al volo e prima degli altri. A Tommaso piacerebbe che facesse qualcosa secondo le sue indicazioni, ma immancabilmente Gabriella gli fa fare delle figuracce davanti a tutti.
Un attore del gruppo, Francesco Guardini, chiede se si può conoscere un po’ la trama. Tommaso accenna di sì. Nessuno si aspetta di avere un copione fatto e rifinito. Tommaso sostiene che bisogna improvvisare volta per volta, anche se su una trama abbastanza precisa. Sostiene che gli attori debbano trovare parole e gesti come se si trovassero su una scena reale.
Tommaso descrive la scena.
-Sono da poco passate le 14.40 in una città del nord. Qualcuno chiama il 118: ‘Venite, ho fatto una follia’. Chi parla è un uomo di 59 anni, impiegato nella segreteria di un istituto scolastico della città. Subito dopo scende nel portone del palazzo per aspettare i carabinieri. Quando i militari giungono sul posto, guidati da un capitano dell’arma, lo trovano così, stordito e confuso nell’androne del palazzo. L’uomo indica con una mano l’appartamento e se ne rimane in disparte. Nell’appartamento si è da poco consumata un’allucinante tragedia. La porta è aperta. Un ragazzo di 21 anni regge la mano di una ragazza riversa in una pozza di sangue. E’ l’ultimo, disperato, contatto del ragazzo con la sorella, di 26 anni. Anche il ragazzo è ferito, ma solo di striscio a un braccio. La donna è morta, in seguito a tre fendenti al petto e otto sul braccio sinistro procurati con un coltello da cucina con una lama di 30 centimetri.
– I carabinieri fanno subito allontanare il ragazzo, accompagnandolo prima all’ospedale per medicare le ferite, poi per sottoporlo all’intervento di un psicologo. Il ragazzo è traumatizzato, ha visto morire la sorella, tenendole la mano fino all’ultimo respiro. Inoltre debbono avvertire la moglie dell’omicida e madre dei due ragazzi, lavora per un’impresa di pulizie e rincasa tardi.
– La pattuglia rimasta nell’appartamento comincia la ricognizione del caso, i cui tasselli si rimettono a posto uno dopo l’altro. Sono appunto passate da poco le 14.40. Padre, figlia e figlio sono ancora in cucina dopo il pranzo. A un certo punto nasce una lite tra l’uomo e la donna. Non è una cosa tanto normale, visto che l’uomo è descritto dai vicini come un uomo tranquillo e gentile. Ma la lite è scoppiata e presto degenera in un violento alterco, tanto violento che l’uomo estrae con violenza un cassetto della credenza con le posate facendolo cadere per terra. Tra le posate c’è un grande coltello da cucina. L’uomo l’afferra e comincia a infierire sulla figlia, che, in un disperato tentativo di salvarsi, tenta la fuga in un’altra stanza. Il figlio tenta di opporsi, ma nella colluttazione resta anche lui ferito. Ci sono schizzi di sangue ovunque. La ragazza non regge all’ultimo assalto e cade a terra. L’uomo lascia cadere il coltello dalle mani. A quel punto forse si rende conto di quello che ha fatto. Guarda il figlio, anche il figlio lo guarda: “chiama il 118, dice”. E l’uomo, docile, avverte il 118. E’ tutto finito ormai. Resta il mormorio attonito dei vicini, che descrivono l’uomo come gentile ma taciturno e introverso, mentre la figlia è descritta come depressa e affetta da gravi problemi dovuti all’uso della droga, una droga terribile, il Krokodil.
– L’uomo viene portato via dai carabinieri: ‘Non mi lasciava parlare, farfuglia, non mi lasciava parlare’. E’ tutto finito , ora, come quella famiglia.
Gianfranco sostiene ch è una trama molto splatter, ma che gli piace. Piace a tutti, tranne che a Gabriella, che dovrà impersonare la ragazza uccisa.
Come faccia a discutere con la musica nelle orecchie nessuno l’ha mai capito, ma per Tommaso è un punto d’onore, discutere la trama dello spettacolo con gli attori. Sono loro la sua “voce”, ma per questo debbono entrare nel testo, farlo proprio, farci l’amore. Sonia Turchese dice che le sembra troppo pieno di simboli: il padre che uccide la figlia, il rifiuto di questa generazione da parte di quella di mezzo, l’odio che nasce nella normalità. Il regista alza di scatto il viso e la guarda, assorto e interessato. Padri e figli. Che roba è? Può andare? Mariangela Verri aggiunge che più che simbolica, la trama le sembra troppo realistica, ma la scena del coltello da cucina che si alza sulla ragazza è convincente.
Franceso Guardini interpreterà la parte del padre omicida, Gabriella la figlia drogata, Antonio Ferrini il figlio e fratello. Ma questo è solo lo schema di base, poi ci sono altre situazioni.
– Oddio!”, – esclama Sonia, – c’è anche altro?
Tommaso non l’ha sentita.
– La musica, la musica, ascoltate la musica. Tutti giù!
Il gruppo si dispone sommariamente a cerchio per terra. Per Tommaso non è neanche concepibile sedersi a un tavolo per una “prima lettura”. Non c’è niente da leggere, si tratta di entrare nella parte dalla sua “zona oscura”. E attacca l’iphone all’amplificazione dell’impianto. Debbono sentire la musica. L’interno borghese, la vita di una famiglia media; poi entrare nel’inferno mentale e fisico della ragazza. Tragedia greca, linguaggio crudo, gli incontri con gli spacciatori, il degrado del corpo, la sua vita da zombie.
Francesco si alza, attirando l’attenzione di tutti. E’ ispirato. – E’ partita la musica di ‘Simple Man’ dei Lynyrd Skynyrd, dice, – la sento. Sto entrando in casa, mio figlio è attaccato al monitor di un videogioco. Lo saluto, ma lui non risponde. Anzi, sembra quasi spaventato …
– Ottimo, – sussurra Tommaso, con gli occhi bassi, che sta cominciando ad avere la “visione” della scena, – persuasivo.
Francesco continua: – Metto a posto la spesa che ho fatto, ogni cosa al suo posto, come in una scena di Cechov realismo borghese dell’Ottocento, con calma, con precisione. Svuoto la confezione di caffè in un contenitore specifico.
E’ la volta di Gabriella ad alzarsi.
– Sono nella mia camera, sto ascoltando musica in cuffia, perduta in me stessa. Ho sentito i rumori dell’ingresso di mio padre. Vorrei muovermi, ma non posso, ho piaghe dappertutto. Magari mi sento anche in colpa per quella situazione, ma reagisco con protervia e arroganza, non voglio far vedere che sto per morire e che mi importi qualcosa. So cosa mi aspetta. Mi limito a fissare fuori dalla finestra, il cielo è di un grigio compatto.
Tommaso non alza la testa, si limita ad annuire. Quando se ne accorge, Gabriella introduce un stonatura, volontariamente, per dimostrare che tra lei e il regista c’è incomprensione totale. Allora Tommaso scatta, diventando cattivo a sua volta.
Per tutta risposta Gabriella comincia a civettare con Gianfranco. Si vede che Tommaso sta respirando con il diaframma per non fare una scenata. Gabriella è plateale, sfacciata, provocatoria. Tommaso si chiude in un silenzio buddico. Ma intanto Gianfranco, nonostante le attenzioni di Gabriella, ha un’idea.
– Jim Morrison, – mormora.
Tommaso alza lentamente lo sguardo.
– ‘Riders on the storm’ per la scena dello spaccio.
Tommaso stringe tutte e due i pugni, ma con le nocche in giù. Gabriella si scosta da Gianfranco. Tommaso dice che forse si potrebbe organizzare la piece su più piani, in parallelo, la casa, il parco dello spaccio, forse la scuola del ragazzo. Gli attori sono soddisfatti che si stia delineando la scena, anche se rimane, sorda e in sottofondo, la tensione per i contrasti che dividono il gruppo.
-Senti, noi dobbiamo parlare, dice Tommaso, rivolto a Gabriella.
– Non abbiamo proprio niente da dirci e non darti arie alla Lars von Trier.
– Non ci tengo proprio.
– Non sembra. E impara a scrivere un copione invece di farlo fare a noi.
– Ecco, vedi, quello che non capisci è la mia idea di teatro. Tu hai nella testa un teatro vecchio, fatto di copioni e di attori che l’imparano a memoria, io no.
– Vorresti farci credere che questa si avanguardia, questo vorresti farci credere?
– Niente del genere.
– E allora cosa?.
– Ma perché sei così ostile?
– Io ostile? Sei tu che sei presuntuoso.
Gabriella Marti mette a dura prova la concezione “orizzontale” del teatro che nutre Tommaso. Per lui non ha senso che gli attori imparino a memoria le battute. Egli crede che la partecipazione degli attori alla nascita dell’idea teatrale sia essenziale. Ma non sembra avere molto successo, la cosa più benevola che gli dicono è che è troppo complicato. Anche Gabriella, quando lo chiama “presuntuoso” forse vuole indicare la stessa cosa. Non sopporta l’ambiguità del suo ruolo da protagonista. Non le è facile accettare quel ruolo in una veste che è il contrario di una “prima donna”. Tommaso mette in scena protagoniste disperate, piene di problemi, di ambigua affidabilità. Donne d’oggi.
Nella pausa Silvia si trattiene con Tommaso.
– Perché non vai con gli altri?
– Voglio restare con te, ti dispiace?
– No, ehm … no.
– Sembri imbarazzato.
Tommaso si stacca la cuffia e la guarda meglio. Silvia è una gran bella ragazza.
– Do quest’impressione?.
– Un po’, forse ….
– Sono solo che qualcuno mi rivolga la parola, in questo gruppo …
– Lo so, ma non devi pensare che siamo così cattivi …
– Neanche tanto buoni …
– Siamo dei professionisti, faremo quello che vuoi …
– Questo è il problema.
– Non capisco …
– Siete troppo perbenino, non vedo passione per il teatro, fate questo lavoro come fareste qualsiasi lavoro, senza entusiasmo.
– Tu, invece, sembri un invasato.
– Per me ogni volta è un nuovo inizio, se no mi annoio, non ho certezze, seguo l’intuito.
– Sei una bestia selvaggia, – dice Sona, accostando il viso al suo interlocutore, che non lo allontana.
***
-Bene – dice Tommaso alla ripresa delle prove, – parliamo ancora un po’ di questa droga coccodrillo. Serve per capire la piece e il ruolo che dovrà sostenere Gabriella. Gabriella lo guarda in malo modo, Francesco le sfiora la spalla con una mano gentile, mormorando -Dai!
– La cosa che sta facendo diffondere a macchia d’olio il Krokdil è la possibilità di farsela in casa, gli ingredienti sono facilmente reperibili: codeina (sostanza presente in molti farmaci contro il mal di testa), benzina, olio detersivo industriale, iodio. Il Krokodil squarcia la pelle proprio come le scaglie della pelle del coccodrillo e devasta gli organi interni muovendosi piano piano verso il cervello. Capite la potenza di questa cosa? Dobbiamo lavorarci su.
– Pensavo, ma è ancora un’idea confusa, di mandare un video con le Pussy Riot che cantano ‘Like a red prison’. Solo che non vorrei che questa piece diventasse una specie di film propaganda della Nato. Non ce l’abbiamo con la Russia in quanto tale, ma con la politica dittatoriale di Putin. O è la stessa cosa?.
– E’ la stesa cosa, – dice Mariangela.
– E allora?
– L’idea è buona, però, – aggiunge Sonia.
– Eh.
– Non è un po’ scontato che identifichiamo il pericolo con la Russia, l’oriente cattivo?, chiede Gianfranco.
– Già.
– Dobbiamo fregarcene, noi paventiamo il pericolo russo non perché sia comunista, ma in quanto brutalmente liberista, – dice Francesco.
– Se c’è un pericolo, lo correremo. Non rinuncio all’idea, – dice Tommaso.
– Non lo sopporto, – dice Gabriella a Francesco, a bassa voce e con una smorfia.
– E’ geniale, – risponde Francesco.
– Non lo sopporto, è più forte di me.
– Non è che ti comporti come un’amante tradita? Pensaci.
– Io amante di quello? Neanche morta.
– Uhm.
– Sembrerebbe di sì.
– Macché.
– Cos’è che ti dà veramente fastidio di Tommaso?
– La sua esistenza.
– Avete presente la scena dell’accoltellamento in cucina? Bene, ho pensato di movimentarla, – dice Tommaso.
– In che modo? – chiede Francesco.
– Dobbiamo montare uno schermo su un lato della scena. Quello schermo noi fingiamo che sia lo schermo della televisione nella ‘casa del dramma’. Si debbono vedere contemporaneamente il figlio impegnato nel videogioco, la figlia a letto, che fissa il soffitto, la televisione accesa in cucina, che manda immagini delle recenti rivolte razziali a Ferguson e Baltimora. Il sottofondo musicale è costituito dalla musica degli Algiers. Nella scena clou dell’accoltellamento alziamo il volume della musica e mandiamo ‘Blood’.
– Interessante, – Bello, – Notevole, sono alcuni dei commenti che accolgono la proposta del regista. La troupe sta inaugurando la seconda settimana di lavoro. Nella prima ha assimilato il metodo di Senno; ora si entra nel vivo della preparazione dello spettacolo.
– Anzi, no …
Gli occhi si alzano al cielo.
– Gli schermi saranno tre, uno per la televisione che è in cucina, l’altro è quello del videogioco del figlio, il terzo è il televisore che è in camera della figlia e trasmettono contemporaneamente, anche se a basso volume, mi interessa il frastuono delle immagini.
– La cosa si complica, – dice Gianfranco.
– E noi gireremo anche un videoclip, che serve a intercalare le immagini dei gruppi musicali.
– Oddio!
– Eh.
– Ma quanto ci metteremo?
Avevano sentito parlare dalla voracità multimediale di Senno, della sua idea di “teatro totale”, ma non pensavano che si sarebbe spinto fino a questo punto. Ma lo spettacolo rischia veramente di diventare una bomba e non capita tutti i giorni di partecipare a uno spettacolo-bomba.
– Disturbo?, – chiede Francesco, accorgendosi che nella stanza sono rimasti Tommaso e Sonia.
Il più imbarazzato dei due è Tommaso, che balbetta un diniego affrettato, sollevando la schiena.
Nella stanza risuona a basso volume “Shaking Off Futility” dei Tangled Thoughts of Leaving.
Dopo un attimo l’imbarazzo si dissolve, ma Francesco pensa bene di togliere il disturbo.
– Perché hai sempre quegli affari negli orecchi?.
– Mi difendo dal mondo.
– Ti fa così paura?.
– No, ribrezzo, non paura”.
– Come sei drastico … – mormora Sonia riaccostando le labbra a quelle di Tommaso. Ha un profumo bellissimo.
– Mi ricordi il personaggio dell’ispettore Gordon Cole in “Twin Peaks” di David Lynch …
– Perché?.
– Ha sempre le cuffie che gli coprono le orecchie. Penso che la vostra motivazione sia la stessa … vi coprite le orecchie per non sentire, come i bambini.
– Non ci avevo mai pensato. Conosci i film di David Lynch?.
– Lo adoro.
– C’è sempre un’anima buona nella mia vita che mi viene a salvare nei momenti opportuni.
– Il tuo angelo?.
– Sì.
– Chissà se il mio angelo riuscirà a farmi passare la paura di dormire.
– Hai paura di dormire? Perciò sei sempre così stravolto.
– Clinofobia. Ora un musicista olandese ha dedicato un intero cd a questo problema, si intitola ‘Hypnophobia’.
– Davvero’.
Tommaso inserisce il dischetto nel lettore e al clic di avvio si siede di nuovo nella posizione di prima, molto vicino a Sonia.
– Paura di dormire? Un dramma … a me piace moltissimo dormire …
– Si vede dal tuo aspetto, quieto e rilassato.
– Sì, però so essere anch’io una strega.
– Non dubito.
– Ma solo in casi eccezionali.
– Non vorrei trovarmi in una situazione del genere.
– Non temere … vieni qui …
– In che cosa consiste questa malattia, la clinofobia? Ti sei fatto vedere da qualcuno?
– Oh, sì.
– Come si presenta? Cosa dice il medico?
– Come si presenta? Con una quantità di sintomi: sensazione di soffocamento, vertigini, bocca secca, sudorazione eccessiva, nausea, tremore, aumento del battito cardiaco, incapacità di parlare o di pensare in maniera chiara, paura di morire, impazzire o di perdere il controllo, sensazione di distacco dalla realtà o forte attacco d’ansia.
– E cosa dice il medico?
– I medici, gli psicologi a cui mi sono rivolto, dicono che la causa remota è un evento accaduto nel passato e che la motivazione che lo attiva è un’ossessiva paura di morire.
– Il sonno come una piccola morte.
– Proprio così.
– Conosci quella canzone degli Einstürzende Neubauten, ‘Stella Maris’?, – chiede Sonia, sbottonandogli la camicia.
– Sì, stupenda, l’ascolto leggendo racconti di cronaca nera.
– Ah, non avevo mai fatto questo accostamento …
– La notte è lunga.
– Questa notte ci sogneremo sognare.
– Lo sto già facendo in questo momento.
– Questo non è un sogno.
– Tu sei un sogno.
– Potrebbe essere un sogno pericoloso.
– Il teatro è pericoloso.
– Il teatro ruba l’anima.
– Noi siamo solo ombre di scena.
– Ombre fuggitive.
***
– Ho qui qualcosa per voi, – dice Tommaso esibendo un Dvd. – E’ un lavoro che ho fatto due anni fa come regista-attore. Lo spettacolo si chiamava “Onde”.
A Sonia brillano gli occhi, anche a Gabriella, ma per un motivo opposto.
-Si tratta di un monologo in 12 tappe … vi voglio mostrare un particolare movimento delle mani che sto sperimentando. Molti attori non sanno dove mettere le mani mentre recitano. Ho creato una specie di linguaggio delle mani.
Tommaso inserisce il disco nel lettore collegato a un grande televisore.
La scena è disadorna: una sedia, un piccolo soppalco, un palo tronco. La luce segue i movimenti dell’attore, ma sempre di taglio: o di lato o da dietro. L’attore è completamente vestito di nero. Ci sono tre elementi geometrici disegnati su un piano leggermente rialzato alle spalle dell’attore, realizzati con carta plastificata riflettente.
In piedi
IL DESIDERIO
– E’ assai probabile che il tema del viaggio sia il più trattato nelle opere letterarie. Forse soltanto quello dell’amore è stato oggetto di altrettanto interesse. Anzi, quasi sempre i due argomenti sono strettamente intrecciati, se per amore intendiamo non solo quello affettivo di coppia, ma quello più generale, come quello tra Dio e Abramo, ad esempio. Quasi sempre a monte di un viaggio esiste un desiderio e il desiderio è il motore dell’amore.
-In che cosa consiste il movimento delle mani? – chiede Francesco
– Cosa notate?
– Le mani si muovono insieme, – dice Sonia.
– E sono rigide in posizione orizzontale, – aggiunge Gianfranco.
– Voglio esprimere una dichiarazione, uno statement, senza complicazioni emozionali.
Tommaso fa una pausa, poi continua. – Invece, quando fa capolino l’emozione le mani si muovono in maniera differente.
In piedi. Fermo
-Se per il parentado era un disonore avere un nipote comunista non lo davi mai vedere. Per te, quel figlio strano avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, l’importante era che avesse un sogno, un ideale, una spinta mostruosa per andare avanti, anche quando era triste …
– Mutter, Mom, Madre, mi perdoni se non ti chiamo mai?
– Se non parlo a tavola?
– Se penso sempre a queste mie maledette cose?
Se ho sempre la testa da un’altra parte?
In piedi. Camminando
-Lo vedesti sorridere quel tuo figlio musone.
-Le dita della mano destra sfiorano la guancia all’altezza degli occhi, dice Sonia.
– Infatti. L’emozione è forte. Gli occhi sono il luogo in cui si manifestano i vari stati d’animo.
LA SEDUZIONE
– Basta la parola “viaggio” per evocare un universo fittissimo di suggestioni contrastanti. Il viaggio simbolo, coagulo di una marea di implicazioni. Il viaggio evoca l’avventura, la migrazione, l’estraniazione, la nostalgia, la fatica, la curiosità, lo stupore, la soddisfazione, il cambiamento, il timore, l’entusiasmo, l’attesa, l’incontro. Ed ecco che nuovamente tutte queste suggestioni si polarizzano, disponendosi intorno a due nuclei opposti : la seduzione contro la paura, la curiosità contro la nostalgia, la fatica contro la soddisfazione.
Silenzio
Si siede
Non è per il tuo modo fantastico di cucinare il pesce che voglio trovarti lì dove ti trovi. No, è per quel senso di pace che cerco tra questa scontentezza perenne. Un’isola di tranquillità.
Parlando del più e del meno, col sole che lambisce il nostro terrazzo.
Per l’eternità.
-Il contrasto tra la seduzione del viaggio e la stasi assoluta della pace dello spirito dovrebbe essere accompagnato dal movimento delle braccia che si posizionano per far toccare le punta delle dita delle due mani, a specchio, all’altezza dell’addome. Tensione, contrasto.
LA PAURA
– I significati del viaggio si polarizzano in relazione alla propria cultura ed alla propria esperienza personale. Il viaggio non è più qualcosa di oggettivo, ma è straordinariamente soggettivo. E’ un oggetto culturale mutevole. E, soprattutto, in quanto insieme di significati contrastanti, il viaggio scatena sensazioni ed emozioni molto forti. Uno di questi è la paura. L’ignoto fa paura ma nello stesso tempo è straordinariamente attraente. Evoca lo spirito primordiale del confronto col mondo.
Pausa
-Ma basta coi ricordi, se no inzuppo tutta la scrivania …
– Torno a essere quello che non telefona, quello che ha la testa sempre da qualche altra parte, che non parla, che se ne sta sul terrazzo a leggere per dodici ore di seguito …
– … quello che vola in moto, che viaggia come un ramingo infelice … alla ricerca, alla ricerca …
Pausa
-La cosa difficile è qui esprimere il sentimento della paura. Non basta camminare su e giù per la scena. E’ necessario trovare un linguaggio appropriato delle mani, facendo muovere il corpo il meno possibile. A me piace l’atletismo dei movimenti degli attori, ma non quando parlano. La paura qui è espressa dal movimento delle braccia, con le palme delle mani rovesciate , un po’ scostate dal busto e un po’ più indietro rispetto alla linea del corpo.
LA DANZA CON IL CASO
– Anche se si ha una meta, in realtà il viaggio vale per se stesso: ogni momento, ogni tratto del percorso può riservarci dei punti di arrivo: sono le piccole scoperte, sono il susseguirsi di sensazioni diverse nelle quali ci addentriamo mano a mano che proseguiamo. Per questo si dice che i veri viaggiatori siano quelli che si spostano di continuo, lasciandosi guidare dal caso e dalle informazioni che acquisiscono cammina facendo. E’ questo l’ospite inquietante: il caso, la casualità, in contrapposizione alla vita ordinata ma noiosa, rassicurante ma senza orizzonte.
– Delle numerose forme di nomadismo alcune curano, altre distruggono.
– Psicoanalisti e filosofi vi riflettono da secoli.
– Il nomadismo meditativo ti aiuta a controllare stress e ansia: non ti devi mai preoccupare, di nulla. C’è un problema? Lo supererai. Hai perso un treno, prendi il prossimo.
(Pausa)
Tu non sei veramente padrone del tuo tempo-spazio, ti devi abituare ad adattarti alle circostanze come un giunco.
– Più ti adatti più entri veramente in te stesso e percepisci di che stoffa sei fatto. Se appena scopri che la tua stoffa è anche solo discreta, (Pausa) assapori la felicità.
– Bello il testo, – dice Sonia, suscitando il consenso e l’approvazione degli altri, tranne quello di Gabriella.
***
Tommaso sta leggendo “Running Dog” di Don DeLillo quando sente viibrare il cellulare. Butta giù l’ultimo sorso di cognac e risponde.
– Ciao, – dice Sonia.
– Ehi.
– Ti disturbo?
– Macché.
– Mi piace il testo di “Onde”… parli di tua madre in quel testo?
– Sì, gliene ho fatte passare di tutti i colori … sto saldando un vecchio debito.
– Sembri così scorbutico, ma in fondo sei un romanticone e io mi sto innamorando di te.
– Tipico degli attori …
– Cosa?
– Dire una cosa del genere per telefono …
– Ahah.
– Dai, vediamoci, voglio uscire dal mio isolamento monastico ….
– A cena fuori?
– Perfetto!
Tommaso riaggancia con una sensazione che non riesce bene a definire. Sonia è bellissima, calda, accogliente e lo sta aiutando nel lavoro col gruppo. Sta infrangendo il muro di paranoia che si innalza ogni volta che Tommaso ha a che fare con una donna. Si sente stressato, incompreso, combattuto da tutti i lati; sente di aver bisogno di un boccata di ossigeno. Quello che sente è semplicemente che gli fa piacere uscire con Sonia. Si fida. Sonia è molto empatica. Resta un fondo di inquietudine, che Tommaso avverte appena qualcuno entra nella zona della sua vita.
A cena Sonia è tempestata di messaggi. Non vorrebbe farlo vedere, ma Tommaso capisce che sono i suoi compagni del gruppo, che la prendono in giro mandandole messaggi su Whatsapp e Facebook. Le chiedono con chi è a cena, inviandole foto di Tommaso che urla a una manifestazione degli Indignados con una smorfia che gli deturpa il viso. I messaggi dicono cose del genere: – Ma ti stai rendendo conto con chi esci?
Sonia non risponde e cancella tutto. Guarda Tommaso con un lieve espressione di imbarazzo. Tommaso è troppo preso da una conversazione che sta sostenendo per preoccuparsi della cosa. Beve e parla. ll vino rosso è eccellente. Uno scrittore americano avrebbe citato marca e anno di imbottigliameno. Tommaso manda solo giù larghe sorsate; quando si infevora non fa distinzione tra vino e birra, manda giù qualsiasi cosa.
– Hai partecipato al movimento degli Indignados? – chiede Sonia. Stanno scoprendo di avere una cosa in comune, che quando si ubriacano parlano di politica
– Sì, una cosa grandiosa … “Si no nos dejáis soñar, no os dejaremos dormir” (“se non ci lasciate sognare, non vi lasceremo dormire”), si leggeva su uno striscione il 15 maggio 2011 in una manifestazione del Movimiento 15-M, giornalisticamente conosciuto come quello degli Indignados di Spagna, che segnava la nascita del movimento. Pochi giorni dopo veniva diffuso un documento in cui si leggeva: “Siamo persone normali e comuni. Siamo come te: gente che si alza la mattina per studiare, lavorare o cercare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duro tutti i giorni per vivere e dare un futuro migliore a coloro che ci circondano. Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni con una ideologia ben definitia, altri apolitici…Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione dei politici, degli impresari, dei banchieri …Per la condizione indifesa dei cittadini. Questa situazione ci danneggia tutti ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo possiamo cambiarla. E’ ora di metterci in movimento, ora di costruire tutti insieme una società migliore.
– Lo slogan era bello, l’esito del movimento un po’ meno, – dice Sonia.
Tommaso le poggia una mano sulla sua. Forse l’alcol, forse qualcos’altro.
– Come mai una bellissima donna come te non è impegnata con qualcuno? – chiede Tommaso.
– Lo sono stata, fino all’anno scorso … abbiamo rotto malamente …
– Un attore?
– Sì, un attore.
– Perché noi gente di teatro dobbiamo rotolarci sempre nello stesso ambiente?
– lo stiamo facendo anche adesso.
– Una storia dolorosa.
– Una storia doorosa.
– Capisco.
– E tu?
– Tutte le mie storie sono dolorose, non ce n’è una che non sia dolorosa.
– Perciò hai paura di dormire.
– Forse.
– Ma fammi capire, non ti corichi proprio?
– No, non nel letto. Riesco a fare qualche ora di sonno seduto in poltrona, con la testa diritta … ho paura di non svegliarmi la mattin dopo … o forse è un desiderio …
– Desiderio?
– Forse è un desiderio inconscio.
– Non sei un po’ troppo fissato con la psicoanalisi?
– Sto ore in chat a parlare con un mio psichiatra, mi racconta quello che succede di giorno nel suo reparto, dice che così mi prapara a familiarizzarmi con l’ambiente in cui presto mi ospiteranno …
– Non mi sembra un cosa simpatica.
– Un lacaniano.
– Non cambia la prospettiva.
– Mi vuole bene, mi viene a trovare in piena notte.
– Quando non riesci a dormire?
– Sì, allora.
– Si chiamava Giorgio e ha lavorato con Strehler …
– Chi?
– Il mio ex.
– Con Strehler, quindi non è giovanissimo.
– Ha cominciato prestissimo la carriera teatrale.
– Bene.
– Bene.
– Sei bellissima, più ti guardo e più mi sembri bella.
– Grazie.
– Dio, quanto sei bella.
– E’ il vino.
– Il vino?
– E’ il vino che ti ispira.
– No.
– Il vino.
– No, sei tu che mi ispiri.
– Sapessi quanto mi ispiri tu. Geniale. Antipatico. Innovativo. Scostante. Dimmi che non è vero.
– Che cosa non dovrebbe essere vero?
– Che in tutto questo squallore si aggira uno come te.
– Bah. Io non dormo.
A casa di Tommaso, Sonia ficca il naso nella sua collezione di Long playing.
– Sembra che ti piacciono i Rolling stones.
– Un mio amico aveva tutti i dischi dei Rolling Stones e una cultura mostruosa su di loro. Ogni pezzo che riascolto è un pezzo di memoria dei nostri ascolti, dei nostri viaggi, delle nostre letture e delle nostre… avventure. “Let’s Spend The Night Together” lo gettonò in un bar durante un nostro viaggio in moto: io mettevo la moto, lui i dischi. Insieme, le ragazze. Il patto con il diavolo di Mick Jagger. Bisogna averle vissute certe scene di concerti. Per chi non c’era il rock è solo un’etichetta. Li senti e pensi: ma questi sanno suonare? Ovviamente no, con certi parametri, ma è musica con altre, più articolate, prospettive. E forse è questo quello che conta. Poi, c’è l’ambiance, l’ambiente. Perché si fa e si ascolta musica? Per stare insieme. Non c’è frontalità borghese. Piuttosto un’orizzantalità dove ciascuno fa quello che vuole.A me piacciono i pezzi veloci dei Rolling Stones. Veloci, pieni di energia, sessualmente deflagranti, socialmente devianti, insopportabili alle orecchie dei benpensanti. – dice Tommaso sfiorandole la schiena.
– E questo cos’è? Lou Reed.
– I suoi dischi si possono leggere come il Grande Racconto Americano, ogni album un capitolo, in ordine cronologico, l’ha detto lui stesso. Lou Reed ha inventato – con la fondamentale collaborazione di John Cale – un nuovo mondo musicale facendo collidere rock ed avanguardia in piena era “flower power”. Se musicalmente è partito dal doo -wop e dal Rock and roll, nei suoi testi la prima e più duratura influenza è quella del poeta Delmore Schwartz. A metà degli anni Sessanta incontrò il musicista gallese John Cale, violista di formazione classica che studiava col compositore minimalista La Monte Young. Nacquero i Primitives, nucleo essenziale di quelli che diventeranno poi i Velvet Underground. Era il 1967, gli altri inneggiavano a peace & love, lui recitava la sua ode all’eroina («it’s my wife and it’s my life», Heroin) e allo spacciatore («Ìm waiting for my man, got 26 dollars in my hand», Waitin for the man).
Tommaso fa rotolare il disco con “Walk on the Wild Side” nelle mani.
– La sua “Walk on the Wild Side” fu il manifesto di una generazione. Il Wild Side era praticamente un inferno:
Holly viene da Miami (Florida)
In autostop attraverso gli USA
Sfoltendo le sue sopracciglia per strada
Depilandosi le gambe lui diventò lei
Lei dice, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Lei disse, hei dolcezza
Fatti un giro nella zona selvaggia
[ …]
Jackie é completamente fatta
Per un giorno pensava di essere James Dean
Allora ho capito che presto si sarebbe schiantata
Il Valium l’avrebbe aiutata
Diceva, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Dicevo, Hey dolcezza
Fatti un giro nella zona selvaggia
E le ragazze di colore fanno do doo do doo…
***
In mattinata Tommaso ha fissato un appuntamento con lo scenografo, Tiziano Mannoni, e il costumista, Federico Sennini, ma prima ha convocato il truccatore e la sua assistente. Alberto Vacchi è un giovane bellissimo, Patrizia Alberti uno schianto. Patrizia conquista subito la troupe. Tommaso si accinge a tenere una vera e propria lezione sul trucco, assistito da Alberto. Per Tommaso il linguaggio del teatro ha qualcosa di sacro. Ritiene che sia inconcepibile entrare e vivere in quel mondo senza un’iniziazione rituale. – Il teatro è finzione, d’accordo? Ma soprattutto è travestimento. Sulla scena nulla può restare uguale alla vita reale, compreso il vostro volto -.
-Cominciamo da una conoscenza delle differenze tra i prodotti cosmetici, – dice Alberto, – e so di non dire nulla di nuovo per molti di voi, ma è necessario avere una visione panoramica.
– il fondo liquido, in crema, mat, stick, compatto, in polvere, il panstick, il pancake, crema colorata, cerone in stecche, cerone in stick o in cake.
– la cipria compatta, in polvere, invisibile, compressa a vapore, antilucido.
– il fard in crema, liquido, in gel, in polvere compatta.
– la terra in polvere, compatta
– gli ombretti in crema, in gel, in polvere, in polvere compressa, in cake, fluido.
– le matite, matitoni, khol e kajal.
– il mascara solido (in tavoletta), cremoso (in tubo), automatico.
– l’eyeliner in cake, liquido, in gel.
– i rossetti, stick, in crema, gloss.
Alberto parla in un modo plastico e convincente. – Per fare un buon lavoro è necessaria un’ampia conoscenza degli strumenti del mestiere:
– I pennelli (tipologie e funzionalità)
– le spugne (tipologie e funzionalità)
– il puff
– stecche e spatole
– Poi bisogna considerare la funzionalità e le esigenze della postazione lavorativa, lo dico solo per vostra conoscenza:
– L’effetto della luce artificiale e naturale.
– Quello che è importante sapere è il tipo di pelle cui andremo ad agire:
– Preparazione differenziata della pelle al trucco
– La pelle secca
– La pelle normale
– La pelle grassa
– La pelle acneica
– La pelle asfittica
– La pelle couperosica.
– Ci spiegate che cos’è la pelle couperosica -, chiede Francesco, mentre le signore del gruppo si sfiorano le guance, perplesse.
– Il termine “copparosa” in italiano deriva dal latino e vuol dire “rame” – spiega Alberto. – Una pelle couperosica è una pelle sensibile, caratterizzata dalla tendenza a rispondere in modo eccessivo alle normali stimolazioni. Il rossore è dato dalla dilatazione dei vasi sanguigni più piccoli, detti capillari, che all’arrivo di una quantità maggiore di sangue si ingrossano e non come si potrebbe invece pensare dato dalla superficie cutanea più sottile. L’arrossamento in genere si ha quando la pelle viene a contatto con delle sostanze definite sensibilizzanti, oppure dagli sbalzi di temperatura. Il rossore può essere transitorio o permanente , quest’ultimo viene definito telangectasia. Un aiuto può essere dato dalla modificazione delle abitudini alimentari limitando alcuni cibi con alcool, caffè, cioccolata, cibi piccanti, e fumo. In caso di telangectasie invece può essere di aiuto l’assunzione di integratori a base di principi vegetali. I principali sono: i flavonoidi, (ricavati dagli agrumi) o sostanze ricavate dai mirtilli o dal rusco. Validi sono anche gli estratti di ippocastano, centella, ginkgo biloba. I fattori esterni aggravanti sono i raggi solari perciò è utile mettere una crema effetto schermante per il sole, indicato per tutto l’anno, incluso l’inverno. La pulizia quotidiana deve essere fatta con latte detergente per pelli sensibili, mai usare prodotti per la pulizia profonda indicato un tonico alla camomilla, hamamelis, mirtillo assolutamente non alcolico. La crema da giorno oltre ad essere molto idratante deve avere un fattore di protezione totale ancora meglio se contiene anche sostanze calmanti e lenitive e antiossidanti come vitamine E e la C. la crema da notte, invece, oltre alle sostanze elencate precedentemente, dovrebbe contenere sostanze ad azione nutriente-restitutiva come burro di karité, mandorle dolci, germe di grano, avocado ecc.
– Ora bisogna considerare la manipolazione del volto:
Utilizzo del chiaro-scuro correttivo
– il viso quadrato
– il viso rotondo
– Il viso piatto
– il viso magro
– il viso lungo
– il viso triangolare 1
– il viso triangolare 2
Correzioni parziali naso – mento – fronte
Camouflage delle piccole discromie
Geometria dell’arcata sopraccigliare
– depilazione e/o infoltimento delle sopracciglia
Stesura del fondo di base
Trucco di base degli occhi
– bordatura
– allungarli
– abbassarli
– alzarli
– arrotondare un occhio allungato
– creare un occhio a mandorla
Correzione degli occhi
– occhi infossati
– occhi sporgenti
– occhi incavati
– occhi troppo distanti
– occhi troppo vicini
Quando esce dal teatro Tommaso riesce a prendere a volo un taxi e si ritiene discretamente fortunato, è l’ora di punta, c’è traffico. Ma c’è un piccolo inconveniente: il taxi sta per essere inseguito da un’auto dei vigili urbani perché risulta abusivo. Il tassista scatta nel traffico, rischiando di travolgere una comitiva di giapponesi.
– Ma cosa fa, è impazzito? – chiede un Tommaso allarmato.
– Dotto’, tocca darsi da fare …
– In che senso?
– Lei ce l’ha una famiglia?
– No.
– Ecco, vede, non può capire …
– Ma si fermi!
– Così quelli mi fanno la multa … no, li dobbiamo seminare …
– Seminare? Ma dove pensa di essere, in un film americano?
l Muro torto scorre sotto gli occhi di Tommaso come in un cinerama accelerato e avverte anche una sensazione di nausea. Il tassista scarta troppo bruscamente. Ogni tanto l’autista lo guarda nello specchio retrovisore e ride, evidentemente orgoglioso della sua abilità nella guida.
– Mi chiamo Giovanni, piacere!
– Tommaso, piacere!
– Bel nome.
– Le piace il mio nome? Allora si fermi …
– No, guardi, non si può.
– Ma dove mi sta portando?
– Fin dove non vedo più i vigili …
– Potremmo arrivare fino a Firenze, in questo modo.
– Non si preoccupi, la riporterò indietro.
– Se non ci arrestano.
– Ma dico, lei mi ha guardato bene?
– Perché?
– C’ho la faccia di uno che si fa arrestare?
Tommaso lo guarda con più attenzione. In effetti, ha qualcosa di sinistro; non si capisce bene cosa, ma qualcosa di losco ce l’ha. Poi riviene fuori l’intellettuale di sinistra (con sensi colpa) e si dice che solo perché è un fuorilegge non dovrebbe essere giudicato a priori. Anzi, bisogna considerare le circostanze attenuanti. Ha detto che ha una famiglia, deve pur fare qualcosa per vivere. Anzi, Tommaso, guarda, sarebbe anche disposto a giustificarlo anche se fosse un ladro, anche se lo rapinasse alla fine della corsa. Non è giusto che la gente debba fare qualsiasi cosa per vivere. E’ una società profondamente malata. Ora guarda Giovanni con una maggiore accondiscendenza.
– Quanti figli ha?
– Tre.
– Grandi?
– Si, sulla trentina.
– Lavorano?
– No. Lavoro solo io in famiglia.
– Sono sposati.
– Due. Il terzo no, è appena uscito da galera.
Antonio De Lisa
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