Antonio De Lisa- Canzoniere Laterale
Lo so, lo so, somiglia
al Canzoniere del Petrarca
questo Canzoniere laterale,
prevengo l’obiezione
dei true believers
che me lo fanno notare.
Ma è una storia d’amore
che non vuole cominciare
che ha attizzato questo
petrarchismo senile.
ZAGIAL
Il tuo senso del ritmo mi innamora
ignota, splendida signora.
Il luccichio della tua collana
che semina di luci la pedana
richiama un’attrazione lontana
splendente nel frastuono dell’ora.
E io vorrei prenderti a volo
a cento passi lontano dal suolo
e baciarti mille volte in volo
mentre spunta una lucida aurora.
IL TUO CORPO CHE DANZA
Il tuo corpo che danza muove lo spazio
in sempre nuovi disegni: l’osservo,
che si sottrae al freddo coacervo
di divieti ordinari, mai sazio.
Mi piace il suo ritmo nascosto
e mentre lo chiamo a passi inusuali
ne controllo e ammiro l’ascesa
e il celato arabesco delle ali.
Accade che prenda il suo posto,
esso il mio, non c’è miglior intesa.
L’aperta sfida mi seduce, senza resa.
Perché non ci vediamo più? Dove sei?
Ci chiudiamo in un freddo fair play.
Ma io ancora di te non sono sazio.
LA DANZA, IL BUIO, L’INFINITO
A vederti ballare
col tuo passo lieve e disinibito
che scivola in un modo indefinito
vorrei dirti tre e tre volte amore,
ma mi basta uno sguardo
perché so che i tuoi passi dorati
a me son dedicati e a nessun altro.
Mi faccio spettatore,
in una folla di umori appagati,
come il muto bersaglio della freccia.
E’ scoccata verso un nuovo invito,
come la danza, il buio, l’infinito.
DOPO L’ULTIMO SALUTO
“Divertente serata”, ho pensato,
dopo l’ultimo saluto, sulla strada
di un ritorno ancora quietamente beato
e beatamente senza brividi,
un istante prima – e non lo immaginavo-
che lei diventasse la figura centrale
di un nuova, sontuosa mitologia,
prima che lei colorasse
della sua presenza ogni spazio.
Ogni minimo spazio che trabocca.
Prima della febbre.
Quella che ho ora – e che forse già avevo –
che non permette più di spolverare l’ombra
di quell’orma. Avvelenato.
Se veleno può chiamarsi
quel “non so che”
che ti riempie e ti svuota.
Miele amaro. Sia pur dolce veleno.
Già dal risveglio, con il suo odore
che avvolgeva la stanza
-come in una nebbia-
si sono sgretolati i piccoli piaceri
dei gesti consueti, bruciati
dall’urgenza di trovare
tra le carte un numero
e l’angoscia di aver perso
una sequenza di cifre cui
è pateticamente facile
aggrapparsi come naufraghi.
Come chi ha perso la bussola.
Sono saltati i ritmi consueti
nell’attesa di fare quel numero.
Ma quel numero è occupato.
AVVISO DI CHIAMATA
Un amico mi cerca, chiama, e dice:
“La vivi come un’atroce ferita.
E’ una donna splendida. C’è chi
farebbe a gara, ma per te è una nemica”.
Ci penso su, ascoltando queste parole,
interessanti ma non disinteressate.
Si è sparsa la voce e non so come:
è come un giro di walzer a mia insaputa.
Vedo di controllare tono e timbro di voce
per antica abitudine e rinnovata
prudenza mentre sento al telefono
un avviso di chiamata (che ignoro);
e mi rivolgo al mio curioso confidente:
“Non so di che cosa parli, tesoro!”.
STRANE APPARIZIONI
Alessandra mi manda una e-mail:
dice che è stata con lei a cena
ieri sera, con lei e suo marito,
aggiungendo molti particolari.
Le rispondo dopo un’ora e anche più
che non ho capito chi sia questa “lei”
e perché mi dice tutte queste cose.
“Dai, sospira, non far finta di niente”.
“Sembrava strana, diversa, incantata
e mi ha raccontato di un ballo.
Ha parlato solo lei tutta la serata.”
Chiudo il pc di botto, ma resta acceso,
sento abbaiare in camera da letto
e un fantasma si aggira per il salotto.
IRRUZIONE
Misuro lentamente gli effetti
della sua irruzione improvvisa
e pago quell’attimo folgorante
con un effetto come a cascata.
Senza più concentrazione,
il mio spazio mi è diventato
estraneo e nemico, quasi ostile.
La sua irruzione ha disseminato
la mia ormai interminabile giornata
di polvere, come grani di febbre,
che si deposita sugli oggetti consueti
rendendoli retrattili, lontani, nemici.
Anche la musica mi ha abbandonato.
Mi lavo diecimila volte le mani.
INDECISO
E la sua assenza
la sento più viva
di mille presenze,
e mi sembra allora
che si svolga, forse,
come una metamorfosi
dell’assenza in essenza,
così mi appare,
quasi la vedo,
ma non la metamorfosi: lei,
vedo lei, insieme
alla metamorfosi
che di lei è specchio,
quasi, e allora penso,
mentre all’alba
mi frantumo e mi sciolgo
nelle mille schegge di luce
di un giorno
oscuramente luminoso,
annusando l’ambiguo
odore del freddo
che stordisce e ristora
-dopo una notte in bianco-
penso, ma non so cosa penso,
e nemmeno lo so se penso,
e si fa riempire, il tempo,
della sua assenza,
ma è un’impressione,
come il ricordo incombente
della sua presenza.
Indeciso.
LA PENULTIMA FERMATA
Dalla tranquillità di una vita come un’altra
sono uscito di scatto,
ma lo scarto mi lascia un amaro
che non riesco a ricacciare più nell’oblio.
Qualcuno mi chiede perché ho quel certo
tremore nella voce,
qualcun altro perché stecco così spesso
mentre suono.
Se sono sicuro che vada tutto bene.
Il penultimo incontro mi fa capire
che non ne ho fatto veramente nessuno.
Il penultimo nome sull’agendina
dondola sulla soglia.
Alla penultima fermata
mi accorgo di questo sciupio.
Troppe telefonate, troppi incontri.
Ne faccio mille, per non farne uno.
Canzoniere laterale su Youtube
——
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Categorie:C02- POESIA / Ritmi urbani. Poesie 1990-2010 - Manni editore 2011 - Urban rhythms - Poems 1990-2010
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