Antonio De Lisa – Reading di poesia
Si dovrebbe supporre che stagioni di letture in pubblico aiutino ad aumentare il livello medio di vocalità poetica. Forse non è così. Ormai l’abbiamo sperimentato. Queste sessioni non aiutano né i poeti né il pubblico della poesia.
Che cosa si intende per vocalità poetica? Qualcosa di simile all’antica oralità, non tanto nel senso dell’improvvisazione quanto in quello della ricchezza del linguaggio poetico, che si nutriva insieme di una varietà lessicale continua e di un gioco di ritmi.
Ad ascoltare le lunghe sessioni poetiche di questi anni si ha la sensazione di un’antologia a corso forzoso, di un pacchetto turistico nella creatività contemporanea, di una sfilata in cui conta più come si è vestiti e che tipo di occhiali si hanno che la qualità dei testi.
Dopo tre minuti viene voglia di alzarsi e di andarsene. Non si capisce bene perché quel testo debba essere recitato ad alta voce. Non riesce a staccarsi dallo scritto, dai segni grafici, dalla pagina. Non vola. E’ fermo nella sua gabbia tipografica, chiuso nella sua indicibilità.
Occorrerebbe fare un’analisi più distesa, ma si ha la sensazione che si stia verificando una sconfitta di massa del significante. Conta solo il contenuto – che pure è importante, ma non tanto importante da oscurare la fonetica pura della lingua, nella quale vibra il laboratorio dello stesso linguaggio. Non si registra un’allitterazione, non una consonanza a specchio; non riusciamo ad apprezzare una qualsiasi trama sonora.
Nelle figure di pensiero domina una sequenza metaforica continua, che fa perdere forza ed efficacia alla stessa metafora. La descrizione degli oggetti è al limite di un antropomorfismo stucchevole ed antiquato.
Forse è un po’ esagerato quanto andiamo affermando, ci sono delle eccezioni qui e lì. Ma il panorama complessivo sembra questo. Certo, è un’opinione del tutto personale, ma non riusciamo più a vedere la poesia e tantomeno a sentirla.
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