“Un secondo orizzonte” (Poesie 2010-11)- Bozza 1

Antonio De Lisa

Un secondo orizzonte

Poesie 2010-11

Andrew Tope- Pain Tings

I- Primo Movimento

UNA STAGIONE DOPO L’ALTRA

Io ti chiamo Poesia,
amante
e infine sposa.
Un trattato di metafisica
in quattordici versi.
Un viaggio nell’infinito
di sola andata,
senza ritorno.
Dopo millenni
fresca come una rosa.

Insensata allegria

L’insensata allegria
delle gocce che ritmano
sull’asfalto il respiro della pioggia
fornisce una musica nascosta
al silenzio dei vivi tutt’intorno.
Radi, circospetti, incappucciati.
C’è solo lei come protagonista.

Tra suoni e silenzi

Comincia così,
suonando senza voglia.

Il grigiore del mondo
non invoglia
a superare la soglia.

Suoni si perdono
in silenzi interdetti.

L’infertile staticità
della melodia
si immobilizza
in un pantano desolato e
inonda di pause
suoni appena accennati,

di sguardi corrucciati
occhiate
e desideri frustrati.

E’ più vivo e sonoro
il tuono che si annuncia,
lì fuori, nel cielo.
Ed è questa la scintilla
che fa vibrare la sala prove

e scuote
con fertile motricità
ritmi felicemente ingranati.

Stiamo imitando il tuono
che ha assunto,
non si sa perché,
una configurazione particolare:
quella del nostro stato d’animo;
prima borbottante e pigro
poi esultante e foriero
di pioggia forte e vitale.

Come la vita, che è
al di là di ogni morte.

Un regalo

Ho ricevuto dono risibile
e prezioso
da mani inaspettate,
fragile come un segreto,
allusivo di un dono
mai dato.

E a rimirarlo passo
la giornata,
ogni piega un ricordo,
ogni minuto tutto il passato.

Lo slaccio è lento
come un rituale
viziato
da un gesto abissale
tante volte accennato
e mai completamente
arrischiato.

A volte bisogna
ricordarsi di fermarsi
in tempo,
per assaporare, poi,
dopo un tempo
che appare interminabile
ed è un lampo,
che è più bello il segreto
celato del sogno.

Silenzio

Solo a un certo punto mi sono
accorto, con qualche stupore, che stavo
passando la giornata in silenzio.

Senza suoni, parole, con sensazioni
ovattate; persino i rumori erano radi,
capaci di non ferire e circospetti. Educati.

I pensieri insolitamente discreti
hanno rinunciato alla tentazione
di invadere questo mondo in penombra,

di cui mi sono innamorato ormai,
disponibile e pronto anche subito
a rinunciare a quello che resta.

E  allora sono entrato nel mio stesso
sogno da sveglio e vi ho indugiato
e ho girovagato a lungo, intorno,

nell’Ade del mio passato,
lentamente guardando incredulo
volti e occhi dimenticati da anni.

Anche i miei errori erano esposti
in bella vista, ciascuno
una lettera dell’alfabeto.

Avrà voluto dire qualcosa questo
linguaggio cifrato di simboli
o è solo un mondo ben ordinato.

E poi dicono che l’universo privato
dei propri errori è un mondo
soggettivo. Mai errore più grande.

Anche qualche speranza
dimenticata era lì,
nel silenzio del non-ritorno.

Tra il non ancora e il mai più

Non capita di frequente
di spendere un giorno
completamente senza ritmo.

Gli accenti galleggiano
urtandosi nel posto sbagliato.
Il tempo non lo senti, e non ti manca:

e se ti manca qualcosa non è il tempo,
indifferente al suo flusso silenzioso.
Le pause divorano i momenti forti

nel brulichio di parole
di cui si percepisce appena
il senso affiorante. Si autoinghiotte.

Uno strascichio di momenti sincopati, sillabati
è quello che affiora, ma non senza
un sereno oblio di come e di perché,

volteggiano come coppie di pedine nella stessa casella
questi momenti che si pentono di essere nati
nel golfo mistico di urti trasognati

tra il non ancora e il mai più.

Notte su notte

Oggi la notte è entrata
nel giorno in profondità,
protraendo l’alba
fino al primo pomeriggio,
lasciandosi dietro
una bava di sogni.

E il giorno ha ceduto
all’oltranza non senza
indifferenza,
ma rassegnata e ostile.

Oggi il giorno
non aveva niente da dire.

E notte sta ricongiungendosi
a notte,
a distogliere ogni respiro,
ogni urgenza.

Lentezza

Chissà perché associo la giornata
della lentezza al freddo che fa,
al freddo che ho.
Nessun motivo apparente
lega le due parole, i due temi,
i due concetti. Eppure,
lentezza associo a freddo.
E nel freddo non si sta bene.
Quindi non sto bene
in una dimensione di lentezza?
Nemmeno le parole sono simili,
hanno in comune solo una “e”.
Non si amano e non si somigliano.
Ma mi vengono a lato come
cani molesti, sia pur timidi
e con la coda tra le gambe.
Cercano qualcosa, perplessi.
Ma io amo il caldo e la scattante
velocità del pensiero.
La lentezza che amo è quella
della precisione.
Allora, se è così non celebro.
Rallento. Rabbrividisco.

I.2

L’OSTAGGIO INCONSUETO

Membro scabro –libero?- son diventato, lacero infero tenero (?)
alla bisogna, ma non spesso, misero sicuro oscuro impuro
offeso dalle circostanze attenuanti

(1)

Quando finisce un verso
il mondo finisce.
Gli “a capo – è vero –
segnano la rinascita,
miracolo della continuità
all’insaputa del dio creatore.
E’ come se il mondo facesse da sé.
Tesse la sua tela piena di nodi.
Ma quello stacco di fine verso
è il ritmo dell’angoscia.

(2)

Indeciso a parlare:
d’amore o di politica?
Deciderà il verso
della coltellata.
Da quella parte
mi volgerò lieto.

(4)

Scrivere poesie
di questi tempi
merita la qualifica
di matto.
Ma quella me lo sono guadagnata
già da tempo.
Uno, due, tre: contatto.

(5)

Nello spartito delle emozioni
il musicista modula con pause e suoni:
gli basta un “rallentando”,
un “mezzo forte”,
un “andante con moto”.
Ma le parole sono nude
nella lingua senza grafia
della poesia.

(6)

Il sax è reso vivido da un raggio
di sole, che ne turba
la quiete ma lo riempie di furore,
pronto come un amante al primo bacio,
fremente dal trespolo in un tripudio
di complici riflessi:
lo rivestono d’oro e di lussuria.
Alla sua destra una chitarra, bianca,
lunare e già discinta.
Disteso, è quieto il piano tenebroso.
La batteria si copre di tatuaggi,
sente pulsare spiriti guerrieri.
Anche se la musica è solo in testa,
letargica e privata,
è qui che il sole ha aperto le danze
come danze d’amore.

II- Secondo Movimento
LA  RETE DELLE RELAZIONI

I miei rapporti con le persone sono come
comparative senza comparazione.
Vorrebbero stabilire una relazione
con la principale.
Ma questa più spesso latita
e quella allora per dispetto
mi diventa secondaria.

WebCam

Quando si attiva la webcam
è come parlare in uno specchio.
L’ho utilizzata ieri con un
mio vecchio, lontano amico
americano
-simbiosi inquietante
(oltre che comoda
e allettante)-
parli con un interlocutore
al di là dell’oceano,
ma è come se stessi
recitando un monologo
di Shakespeare davanti
allo specchio del bagno
mentre ti fai la barba.

E’come entrare nell’abisso
in pantofole,
è come scrutare l’aldilà
col videofono.

Visione diadica

Secondo una visione
diadica del segno
il mio significante
pronuncia parole
di cui dovrei essere
il significato.
Ma non corrisponde.

Una notte senza inganni

Si parla così, senza pensare.
Anche se con accento cadenzato,
stanca la mente e sconvolge i pensieri
l’allegria dolorosa,
educata, di circostanza,
incuneata
nel niente del giorno.
L’ottimismo dei “vincenti”
è contagioso, rassicurante, radioso;
ben dispone, abbassa l’allarme:
è un anestetico alla diffidenza
e, anche se non si ha niente da dire,
tiene lontani gli affanni
dell’ermeneutica dei rapporti umani.
E’ come un quieto rituale
questo scambiare le buone maniere
per buon umore.
Ma, anche se coglie nel segno,
il messaggio risulta sbiadito.
C’è qualcosa che manca.
Come a scontare una divina
colpa del giorno,
a garantirsi una notte senza inganni.

Parlare, o essere parlato

Volevo parlarti d’altro
ma mi incuriosiscono i tizi
che stanno vicino a me
nelle varie postazioni
di questo Internet Point:
una thailandese,
una filippina con figlia,
un pakistano,
uno non meglio identificato,
due rumeni, tre africani.
Parlano tutti via Internet
con le loro patrie lontane
(risparmiano sul telefono).
Mi piacerebbe raccontarti
quello che si dicono in questo posto.
Ma sarà per un’altra volta.
Ero entrato qui per parlare col mondo,
ma ora sono qui “parlato” dal mondo.

La notte t’inghiotte

Quello
che più
mi stupisce
è la fantasia
“sessuale”
della gente.
Colpisci
l’attenzione
di qualcuno?
Non ti mollerà più.
Diventerai
l’ossessione
di quel “qualcuno.
come di Nosferatu.
A me è capitato
l’altra notte…
anche

III- Terzo Movimento

ALTROVE

Da lontano si pensa meglio,
specie camminando,
con Sophie accanto
che è muta, sotto la pioggia,
come un oltraggio.

Sera incantata

Ti devo portare nella
necropoli d’incubo di R’lyeh
-Sophie era d’accordo
quella sera incantata-
è lì che giacciono
il grande Cthulhu e le sue orde.
Eravamo stati rapiti da Dublino,
la tristezza, la malinconia,
la compostezza della gente
(tranne che nei pub, ma va bene).
La sera del nostro arrivo,
dopo tre bicchieri al Temple Bar,
sarà stata la stanchezza
(o forse il fatto che non erano proprio tre)
vedemmo la necropoli d’incubo di R’lyeh.
Faceva un freddo cane,
ma non lo sentivamo.

“A Terrible Beauty”

“A Terrible Beauty”
la mostra di Francis Bacon
alla “Dublin City Gallery” di Dublino.
A Terrible Beauty
è quella di Sophie.
Vertiginosa come una droga.

Bacio mortale

Nel “Dublin Writers Museum”
c’e’ una prima edizione
del “Dracula” di Bram Stoker,
che ovviamente era di Dublino.
In nessun altro posto poteva nascere
l’autore di un libro come quello.
Ma chi, tra noi due,
darà il bacio mortale?

Nella notte di Dublino

A Dublino la prima notte
ha segnato il cammino,
le altre le sono state sorelle
dispettose e inquietanti.
Ma quella prima notte
-e quando la rievochiamo
io e Sophie sogniamo
da svegli, ipnotizzati-
quella prima notte è stata l’alba
di un mondo, ma nato che era già finito,
ornato da ridenti cristalli di ghiaccio
ma già ombrato da quella vena
di rimpianto che avrebbe poi
conquistato la scena.
Dublino complice e spettrale,
diafana come una vestale.

La chiave d’argento

Ci siamo fermati in un pub
e a un certo punto Sophie
dice qualcosa, ma strascicando
le parole, confuse in una specie
di cappuccino.
“A trent’anni Randolph Carter
perse la chiave della porta dei sogni…”
Non riesco a seguirla,
ma riprende:
“a cinquant’anni disperava ormai
di trovare quiete e appagamento
in un mondo che era divenuto
troppo affaccendato
per apprezzare la bellezza
e troppo smaliziato per sognare”.
Faccio finta si aver seguito,
ma in realtà non è così,
mi sporgo per leggere il titolo
del libro da cui sta citando,
poi capisco, è H.P.Lovecraft,
“La chiave d’argento”.

Nightfall

Trasmettono Sister Nightfall dei Sirenia.
Nightfall è il calar delle tenebre.
I poeti quando ancora esisteva
la poesia nel mondo
la chiamavano “occaso”, il tramontare.
Come il sole a occidente.
E’ l’habitat naturale di Sophie,
e un poco anche il mio,
come luogo del tramonto può andare.
Benvenuta Sister Nightfall.

Un posto e la fine di tutte le cose

Anche se è ancora praticamente
buio alle 9.30 del mattino
(siamo un’ora indietro)
un po’ ci dispiace lasciare
questo posto, Dublino.
Certo, Edimburgo e soprattutto
Big City (Londra)
saranno più frizzanti,
ma è qui che si pensa bene.
Da qui si potrebbe assistere
alla fine di tutte le cose.

Lungo il Royal Mile

Sophie detesta la folla
e non è facile con lei
attraversare il Royal Mile
di Edimburgo.
Oltre al solito pallore
esibisce una freddezza
provocante e altera.

Nemmeno quando le parlo
dei tre grandi scrittori
scozzesi Robert Burns,
Walter Scott e soprattutto
di Robert Louis Stevenson
riesco a scuoterla
dal suo malumore.

Ma giù per i gradini di Lady Stair’s Close,
di fronte al Writers’ Museum
sento che un po’ si scioglie
e mi fa qualche domanda
ma con occhiate di traverso
come una ragazzina bizzosa,
subito contraddicendomi
sul vero significato del Mr. Hyde.

Di solito, quando parlo mi si attenuano
le sensazioni, ma questa volta
è diverso. Sento il suo profumo
misto a un certo odore di freddo,
che mi arriva da un altro universo.

Vento sul Walkway

Il vento si insinuava
leggero lungo
il Water of Leith Walkway
ma alterava  gli spiriti vitali
e scuoteva a tratti
le parole dei giovani amanti
insinuandosi nelle felpe
e amoreggiando con la sera
incipiente.

Ma quel gelido fruscio
sembrava placare
l’ansia incombente
di Sophie, lontana dalla folla.

E questo mi bastava.

In questa celtica follia
nuotava piano
il mio spirito latino,
smarrito ma affascinato,
fors’anche disposto
sommessamente al dialogo
con spettri gotici
dalle parole gentili
ma affilate come lame.

Ma non fu facile
riportare Sophie sulla terra,
e quando lei vi fu,
fui io a volare.

Whitehorse Close

Lambisco appena con un’occhiata
i frontoni con ornamenti a gradini
di Whitehorse Close, con i lucernari
e i piani superiori sporgenti
e le scale esterne
quando Sophie sembra voler
dire qualcosa. E’ di un pallore mortale,
come quello di una sacerdotessa
di una religione ancestrale.

Scosta dall’orecchio l’auricolare
dell’I Pod. E’ uno strano colore
quello che brilla sulle sue labbra,
ma di una bellezza miracolosa.
Non mi aspetto molto, ma a me basta
guardarla. Non dice una parola,
né io forse voglio sentirla.

Si limita a lambire col suo mignolo il mio,
un gesto più dolce del miele, più aspro
e amaro dell’assenzio.
Una preghiera totemica a un lontano dio.

Non è scalfibile il suo male,
accarezzato, cullato dalla mia mite tristezza.

Siamo come due derive
che fendono il gelo che arriva
dal Mare del Nord nell’ora sonora
del silenzio e del tramonto. Vi affondiamo
incuranti dell’ora; ma io non vorrei
essere in nessun altro posto,
con nessun’altra persona.
In nessun’altra memoria.
Con nessun altra fermare il tempo.
Dire addio alla storia.

IV- Quarto Movimento

CRONACHE DI TEMPESTA

Passano le generazioni
ma le Scale di Lettere e Filosofia
della Sapienza sono sempre quelle.
Occupate oggi da degni eredi.
Gente che almeno ci ha provato
gusto nello studio,
che ha intravisto la felicità della mente,
che ha fatto una scelta d’amore.
Scale che portano al cielo?

Apocalittici e intriganti

Si dissolvono nell’ora della lotta
le felici ambiguità della poesia,
sempre incerta tra il senso e il non-senso
della vita; le svolte della cronaca
aboliscono i chiaroscuri, innalzano
barriere altisonanti, dirimenti, dissolventi
come a spingerti nel luogo designato,
magari (ciascuno) dal suo passato. E allora non vedi
più il futuro e il passato si confonde col presente.
Anche se quel passato è amato e detestato,
amato per la sua freschezza, detestato
per la militaresca costrizione delle parole d’ordine.
Ma si può costruire il futuro senza una speranza?
Un’idea nuova, una nuova prospettiva, un’invenzione?
C’è da chiedersi e senza ermetismi austeri,
circondati però da un lato da fanatici del mercato,
che pensano che quella sia l’unica strada
per la propria affermazione personale
e dall’altra da propositi di rifiuto apocalittico.
Stai in mezzo a spendere parole, a trovare parole, tra
apocalittici e intriganti, entrambi frutti
malati dell’illusione capitalistica
e delle sue maschere perbeniste e piccolo-borghesi.
E allora, hai la sensazione che non si sta andando
da nessuna parte. (Anche se io qui sto, e non mi muovo).
Ci penserà la crisi economica a farci assaporare
le macerie.

Piove

Piove e piove e piove
ma non sulla FIAT e su Marchionne
né su Silvio e le sue donne
piove  solo sui lavoratori
sugli studenti e sui sognatori
piove sugli innamorati delusi
piove sempre e solo sugli esclusi.

Un “groppo alla gola”

Un poeta ha scritto
cose bellissime
sulla manifestazione,
col “groppo in gola”.
Si, perché corteo
significa unità.
La stanchezza e la gioia
hanno preso il posto
della tristezza.
Ciascuno ha lasciato
a casa le sue storie
di vita e d’amore,
dimenticando per un attimo
la sua precarietà.
Qui stanno
toccando il lavoro.
Immagini e simboli
non sono da “realismo socialista”.
Politica e sentimenti,
sensazioni e angosce,
virtù e debolezze
sono nella lista.

E’ successo qualcosa

Lo sento. E’ successo qualcosa.
Me lo raccontano a brani e brandelli
gli universitari che tornano a casa
per le vacanze. Quelli del 14 dicembre,
quelli che erano in strada sotto i manganelli.
Sono come tante stelline
che piovono nella miserabile provincia
degli opportunismi, delle paure e delle viltà,
staccatisi dal cielo compatto dei cortei impetuosi
del rifiuto e della protesta. Forse un po’ spaesati,
adesso che non si riconoscono più
nell’eterna goliardia dei vitelloni di provincia
e delle smorfiette da signorine per bene.
Hanno un altro passo, un’altra dignità.
E raccontano, raccontano.
Non ho mai bevuto tanto a quella fontana.
Qualche volta mi perdo in questi racconti.
O sono io che divago per nostalgia
ascoltandoli raccontare,
alternando depressione ed euforia.
Depressione perché la strada è ancora lunga.
Euforia perché ormai davamo per persa
la guerra e quasi inutile ogni battaglia.
Raccontano, gli universitari e non solo
quelli “romani”, non solo quelli di grande Sapienza,
ma da tutt’Italia è un vocìo, che vive la momentanea
sconfitta come un annuncio di vittoria.
“Siamo in tanti, siamo in tanti”.
E allora mi guardo intorno e mi chiedo
quanti siamo noi che stiliamo
mozioni di protesta nel Collegio dei docenti
e vedo che siamo miserabilmente in pochi.
Loro sono tanti e noi pochi.
Noi che li guardiamo da lontano,
noi che allunghiamo la mano,
ma nel buio, brancolando a caso nelle tenebre.
Noi siamo già morti e non lo sappiamo.
Ma in fondo non è un gran danno
se altrove spuntano nuove piante
e nuovi germogli. Chissà, finirà per sempre
il realismo opportunista italiano,
(ma anche molto meridionale, se è per questo)
che fa parlare i figli come i loro genitori:
“Non ti immischiare. Sono tutti uguali.
Pensa ai tuoi interessi. Fatti i fatti tuoi” ?
Vedremo.
Intanto, però, questi ragazzi raccontano.
E non è stato mai così bello sentirli raccontare,
hanno qualcosa da amare.
Una posizione da prendere nel mondo.
Un mondo da rivoltare.

Dormiveglia

La giornata scorre tranquilla
sotto il plaid della stanchezza,
quello del divano davanti al televisore.
Sono giornate festive sepolcrali angelicate
dalle tossine annacquate nel dormiveglia.
Ma ogni tanto qualche tg scuote le ossa e non si capisce
il si di fassino sia a cosa, a qualcuno,
a qualche causa. Non è un no?
E’ un si o un no? Si all’accordo di Pomigliano,
in risposta a vendola che aveva detto un no.
E’ la famosa piattaforma di marchionne.
Prendere o lasciare. O accettate questo
o vi pianto tutti in asso e trasferisco
la fabbrica altrove. Dirimente.
Dirimente cosa? Dirimente deprimente
anchilosante, la polemica. Salvare il lavoro
o i lavoratori? Laddove si vede che il Capitale
ha vinto la partita prima di cominciarla.
Difficile attraversare il fiume col coltello alla gola.
E ancora una volta. Con i “democratici” in ginocchio a belare.
A tavolino. Senza controfferta.
Nell’italia assonnata. Un’altra bastonata.
Dopo quella della gelmini e di brunetta,
dopo il salvataggio e prima del legittimo impedimento.
Un campo di battaglia. Ma l’Italia è sotto il plaid.
Avverte appena un po’ di nausea. Giusto per gradire.
L’”opposizione” è così stanca e depressa che non si riesce
più ad alzare. Menatevi giù in strada, pestatevi, abbronzatevi.
Si sta meglio sotto la coperta.

Il centro della mente

Un po’ li invidio gli indifferenti,
non necessariamente rozzi,
talvolta anche molto colti e sinceri:
ma indifferenti.
La storia scorre sotto le dita,
tutt’al più un’occhiata distratta
al telegiornale della sera.
Con questo non voglio insinuare
che io sia, per esempio, differente.
Solo che Tripoli in fiamme
e Bengasi asserragliata
si situano con spontanea
ferocia al centro della mente.

Inflazione

Il barile di petrolio
sfiora i cento dollari.
E’ come una contabilità
esistenziale.
La storia si scuote
e noi ci tocchiamo il portafoglio
come ragionieri indaffarati
a calcolare benefici e perdite.
Spediremo un aereo a reazione, certo,
o anche un paio di caccia,
ma è per far vedere
che abbiamo spirito umanitario.
C’è pure chi ci ha guadagnato oggi:
ha capito che il denaro è pura astrazione.
Il peggio è per chi ha ancora
qualche valore.
L’inflazione se l’è mangiato.

IV.2

AULE

Alate leggi della fisica

Se dovesse dipendere dai circuiti elettrici
che disegnano gli studenti rispondendo alle domande di Fisica,
interi condomini andrebbero a fuoco,
palazzi altissimi collasserebbero su se stessi,
fabbriche si ridurrebbero in fumo,
caselli autostradali comincerebbero a vorticare in cielo
come astronavi spaziali.
Il bello della fisica è che se sbagli ti bruci.
I disegnini con resistenze e condensatori hanno l’alata gratuità
di un quadro di De Chirico, il surreale non-sense
di una raffigurazione surrealista,
la plastica geometricità di una scultura di Henry Moore.
Circuiti elettrici, magnetismo, leggi di Ohm.
Una fucina di invenzioni da riscrittura
fantastica delle leggi di Maxwell.
Senza parlare della relatività speciale e generale.
I sistemi di riferimento ballano nel cosmo come ballerini di tango.
Tutto sulla carta.
Tutto fantastico.

Lezione

Ho lezione.
Gli studenti sono già seduti
e quando entro si girano
tutti dallo stesso lato.
Tranne una ragazza,
seduta davanti.
La lezione è brillantissima (spero).
La filosofia teoretica
nelle mani del maestro
questa mattina è diventata
lieve come l’aria.
E dire che si tratta di una lezione
sull’”Enciclopedia delle scienze filosofiche
in compendio” di Hegel.
Mica roba da niente.
In particolare sulla Logica.
Ma tutto scorre.
I ragazzi sono allegri,
sia pure in condizioni
ambientali disagiate
e un tantino lugubri.
Sono in vena di battute.
Tutti ridono.
Tranne una ragazza seduta davanti.
La lezione finisce e tutti sciamano.
Tutti.
Tranne una ragazza seduta davanti.
E’ la somiglianza che mi sconvolge.

Duro tirocinio

Giungiamo senza alcuna competenza
di sistemi verbali
in una realtà così sfaccettata
e dobbiamo passare
è ovvio

attraverso un duro tirocinio

ma ora mastico, tirocinante,
come un compito di assistenza sociale
per giovani poeti

anche i miei tentativi
(dei quali uno studioso
ha messo in luce alcune caratteristiche)
tirocinano

ma ora mastico
forme di insegnamento
di ogni genere,
anche sapienziali, volendo-

-per ricordare solo quelle relative
ai sistemi verbali-

e si pongono, ormai,
dal momento che attingono le stesse parole,
dallo stesso repertorio,
nel novero delle difficoltà
esistenziali.

IV.3

DISSOLVENZE

Sospensione

Mi godo la sospensione
di un’ora senza minuti
nel non-tempo
di un mondo parallelo.

Un’apnea dei pensieri
dove non fa freddo né caldo,
dove non si è tristi
né allegri.

E latita la dannazione
dei desideri.

I colori hanno un’apparenza
svagata e insincera
nella zona di confine
tra il giorno e la sera

E i suoni tendono al grave
ma senza intenzione,
per forza naturale.

E’ la lenta scansione
dello zero-time.

La quiete dell’equilibrio,
il circuito chiuso dell’oblio,
il campo delimitato dell’addio.

La significazione

La significazione scorta
nell’orizzonte secondo,
soggiacente,
non è meno coerente di
quella che si definisce
nell’orizzonte primo,
immediatamente
percepibile.
Sono in penuria.

Progressione mentale diurna

La mia progressione mentale diurna,
basata su un unico concetto,
è così assicurata.
Sono indotto a contemplare
successivamente,
prima di penetrare a fondo,
l’insieme ternario,
doppiamente prospettico,
costituito dalle mie tre anime.
Quindi contemplerò un insieme binario,
costituito per sottrazione di un elemento.
L’altro non conta.

Ghiaccio

Nel deserto di ghiaccio
scricchiolano lusinghe
e gemiti; cristalline
escrescenze lunari
si affilano nelle carni,
appuntite e sonore, ma calme.
L’impassibile notte
cela lo sguardo, ferma
i gelidi passi
nello stupore incantato
che muta con lo sguardo.
Il cielo non dà segnali.

Insomnia

Solo gli oggetti sono nitidi e vividi
ai riflessi di luci trasognate
nella dolce tragedia di nottate
abbandonate dal sonno. L’inizio
è duro, quando sembra che tu solo
stia a vegliare in un mondo appagato
che se di uno sguardo ti ha degnato
lo ha fatto per cortese abitudine
prima di volgersi da un altro lato.
Senti il duro peso dell’ingiustizia
come un’offesa inferta ai tuoi desideri.
Ma è quando anch’essi ti abbandonano
che lentamente la notte si svela,
notte che non è il rovescio del giorno
ma la netta antitesi, la negazione.
Spazio lascivamente improduttivo
in cui danzano fantasmi dimenticati,
lontane erranze, brandelli di addii.

Un calcio ai problemi

Non era un poema
ma è stato bello
quasi tutto e per intero:
l’alberghetto improbabile,
dove si mangiava male
e non scherzo, parlo sul serio,
la spiaggia d’inverno,
un calcio ai problemi.

Il mare d’inverno

Nella luce che scheggiava il manto
di neri detriti mi sono avvolto
con pacata lussuria,
con splenetica ingordigia.

Sembravo un cane zoppo e ansimante;
ma solo da vicino, da lontano
potevo anche apparire un dio ignaro
che accarezza la riva.

Così appare la spiaggia a chi d’inverno
muove lento i pensieri,
spoglio di desiderio.

Ma a me è bastato il rumore
della forte risacca
per rievocarne il lontano splendore.

Il ritmo lento dell’attesa

Ti dicono una parola
e diventa un boato, i sussurri
più tenui impazziscono di decibel.
Il ritmo lento dell’attesa
scandisce pulsazioni sincopate,
lì, nella parte sinistra della testa.
E’ l’ostinata nevralgia
che pullula di eventi insospettati.
Intanto il nome: nevralgia evoca
un tappeto di nervi in fiamme,
un mare di fiammelle
che guizzano caotiche ma a tempo.
Così il poeta immagina la scena,
illudendosi di esorcizzarne
l’oscura, elettrica fiammazione.
I medici parlano di freddo,
ma questa è opera di magia,
magia di rito vespertino:
tutti i giorni alla stessa ora,
come un orologiaio indispettito.
Il ritmo lento dell’attesa
scandisce pulsazioni sincopate,
lì, nella parte sinistra della testa.
Troppo rumoroso per te il mondo,
per quella parte di mondo,
troppo su di giri il tuo tempo,
per quella parte di tempo non tuo.

Complicità

“Leggimi una poesia”
“No, poi dici che sbaglio gli accenti”
“Ti prometto che non dirò niente,
mi farò avvolgere dai suoni”
“Ti piacciono i miei suoni’”
“Si, i tuoi suoni
somigliano ai tuoi occhi”
“E come sono i miei occhi?”
“Fragorosi”
“Fragorosi?”
“Si, sorridono alla vita”
“Allora, te la leggo, a mia scelta?”
“Si, mettici lo stesso incantato ottimismo – lenitivo”
“La scelgo io?”
“Si, io taccio”

Copyright
Antonio De Lisa 2010-11
Tutti i diritti riservati

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