Antonio De Lisa- Viaggio in Grecia

impero-ottomano

Antonio De Lisa- Grecia ottomana

Ioànnina (Giannina) e l’Epiro

Sbarco dal traghetto che mi ha portato da Bari a Igoumenitsa ancora prima dell’alba. Non è lontano il confine con l’Albania, ma la mia meta si trova prima verso l’interno e poi verso sud. Mi avventuro con la moto sulla strada verso Giannina senza neanche sapere cosa troverò. Invece, mi trovo a percorrere una delle poche vere autostrade della Grecia, l’autostrada A2 (conosciuta anche come Egnatia Odos percorso moderno dell’antica Via Egnatia).

Giannina conserva ancora alcune strutture artistiche e architettoniche risalenti al periodo della dominazione ottomana (una moschea, i resti di una scuola coranica, un bazar), mentre su una piccola isola del lago sorgono alcuni monasteri ortodossi.

Per trovare l’albergo ci metto tutta la mattina, è un ex monastero bizantino. Finalmente riesco a mettere qualcosa sotto i denti e naturalmente parto dalla Feta, il cui centro produttivo è proprio qui.

Dai giri in moto nei dintorni di Giannina mi accorgo di trovarmi non solo in una antica zona di influenza ottomana, ma anche nel pieno della Grecia balcanica. Il confine albanese non è lontano, ma è soprattutto il clima di sapori e di atmosfere particolari che si respira nei locali, tra la gente. Per esempio, la Grecia settentrionale è ricchissima di musica con ritmi in tempi tra i più vari: in cinque, sette, nove, quindici. Fra le danze basate su un ritmo di cinque troviamo ad esempio la baintouska e lo zagorisios; in sette il kalamatianos e il mantilatos; in nove il karsilamas; in quindici la pousnitsa.

Un esempio di kobania epirota

La Grecia ottomana

Per Grecia ottomana, s’intende l’occupazione da parte dell’Impero Ottomano della Grecia dal 1453 (anno della caduta di Costantinopoli) fino al 1821 (anno di inizio della guerra d’indipendenza greca), in realtà, si arrivò all’indipendenza ufficialmente solo nel 1829 per intervento delle potenze europee che sconfissero le forze del sultano nella celebre battaglia di Navarino.

Le conquiste dei turchi ottomani ebbero inizio molto prima della conquista di Costantinopoli. Tra il 1301 e il 1337, data della presa di Nicomedia,  l’intera Asia minore cadde sotto il loro potere. Approfittando dello stato di crisi dell’impero bizantino e delle guerre civili sotto l’imperatore Cantacuzeno, i turchi prendono Gallipoli nel 1334 e conquistano per gradi i Balcani. La Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, l’Epiro cadono successivamente nelle loro mani. Nel 1362 essi si impossessano di Adrianopoli che diviene la prima capitale dell’impero ottomano; nel 1430, di Giannina e di Salonicco. Gli Stati serbo e bulgaro subiscono la stessa sorte. Due crociate occidentali organizzate dal papa non ebbero risultato. Gli eserciti dei crociati furono annientati nelle battaglie di Nicopoli (1396) e di Varna (1444).

Costantinopoli capitolò nel 1453 dopo una resistenza di oltre due mesi. Genova e Venezia, le potenze più interessate, preferirono farsi accordare dei privilegi commerciali nell’impero ottomano piuttosto che mettersi in guerra contro di esso. I due grandi sultani del secolo XVI, Solimano il Magnifico (1520-1566) e Selim II (1566-1574), riuscirono a cacciare i Cavalieri dell’ospedale di San Giovanni, i veneziani e i genovesi da tutto il Mediterraneo orientale: Rodi (nel 1522), Chio (nel 1566), Cipro (1570-1), il ducato di Nasso con le Cicladi (1579) diventarono possedimenti turchi. Solo Creta restava ancora ai veneziani.

Durante le guerre turco-venete, dal 1645 al 1715, i turchi completarono la conquista dei territori greci. Col trattato di Karlovitz (1699), che poneva fine alla prima di queste lunghe guerre, i turchi occupavano definitivamente Creta, che avevano cominciato a conquistare dal 1645, ma dovettero cedere ai veneziani il Peloponneso e l’isola di Egina, occupata da questi ultimi durante le operazioni del 1685-7. Questa occupazione del Peloponneso durò fino al 1715, quando i turchi riconquistarono definitivamente quella regione. Ai veneziani rimasero unicamente le isole Ionie.

Ali Pascià di Giannina, il “Bonaparte musulmano”

Ali Pascià di Giannina (1750?-1822), governatore della Grecia settentrionale, fu un personaggio di spicco nella storia ottomana, greca ed europea. Inglesi e francesi, nel corso dei loro contatti diplomatici con Ali, si trovarono di fronte un personaggio del tutto diverso da quello che emerge dalla letteratura “orientalista” che a lui si ispirò. Soprannominato da Byron “il Bonaparte musulmano”, Ali godeva nell’Adriatico orientale di una posizione di forza. Nel suo tentativo di secessione dallo stato ottomano, sfruttò i rapporti diplomatici tra Gran Bretagna, Russia, Francia e Venezia. Eppure, proprio mentre raggiungeva il culmine del suo potere, l’Europa lo rappresentava come irrazionale, crudele e inaffidabile.

L’eredità turca

La dominazione ottomana fu particolarmente dura per i greci: la lingua e la letteratura ellenica vennero spesso proibite e in molte zone fu imposta l’odiosa tassa di sangue, ogni riferimento all’Impero bizantino venne cancellato o messo a tacere con ogni mezzo.

I turchi tentarono inoltre di disperdere il popolo greco, favorendo l’immigrazione di popoli turchi e musulmani in Tracia (dove ben presto i greci divennero una minoranza), anche Atene e l’Attica in generale subirono l’immigrazione di parecchi albanesi musulmani. Però la lingua e la cultura greca riuscirono a sopravvivere, grazie soprattutto all’opera del clero ortodosso, che continuò ad insegnare la cultura e le tradizioni greche in vere e proprie scuole nascoste, tramandandole di generazione in generazione.

Nonostante ciò, Greci e Turchi condividono molte cose in comune: il caffè turco,  cotto direttamente in un pentolino; il Kompoloi\Tespih,  una specie di rosario usato da entrambi come passatempo; il Gyros viene fatto alla stessa maniera del Kebab ma con carni diverse: carne di montone, di maiale o di pollo, arrostita allo spiedo e servita con la pita, (un pane poco lievitato).

I principali scontri della guerra d’indipendenza greca ebbero luogo nel Peloponneso e nei dintorni di Atene, ma vi furono alcuni combattimenti anche in Epiro. Ecco perché ho cominciato il mio giro da qui.

Grecia uno

Meteore

Mi avvicino a un gruppo in camper che sta parlando di qualcosa che attira la mia attenzione, si tratta della “lotta nell’olio”, una tradizione antichissima turco-persiana.

In una zona a nord della Grecia, la Tracia orientale, c’è una zona abitata dai Pomacchi, una minoranza musulmana.  I pomacchi sono unacomunità chiusa, che vive nei villaggi periferici delle prefetture di Xanthi, Komotini e Evros, villaggi che chiamano con nomi che non figurano su nessuna carta ufficiale greca. Parlano un dialetto che definiscono “nash” (il “nostro”), e che fa parte della famiglia linguistica che comprende anche i dialetti bulgari dei Rodopi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Pomacchi di Tracia

Ogni anno, in agosto si tengono due festival con tornei di lotta nell’olio, lo sport nazionale turco chiamato Yağlı Güreş. Il primo incontro si tiene nella località Hilia (o Hilgia), un altipiano a una ventina di chilometri da Roussa, all’inizio del mese e il secondo a fine mese, nella località Alan Tepe, a 5 chilometri da Kato Virsini.

Questi turisti in camper si stanno dirigendo da quelle parti per assistere ai combattimenti.

Masalongion (Missolungi)

Missolungi è separata dal mare, a circa 7 km di distanza, solo da una laguna paludosa chiamata Limnosthalassa. Praticamente, il regno delle zanzare. Anche l’aria è stagnante e ha un odore strano. Lord Byron ci è morto, da queste parti. La febbre che aveva contratto durante il suo viaggio nel 1811 si riacutizzò proprio a causa dell’aria malsana di queste paludi. Morì il 19 aprile 1824 (7 aprile giuliano), il giorno di Pasqua. Fu allora considerato come un martire della causa filellena. Volevo fermarmi una notte, in memoria di Lord Byron, ma anche la sua casa-museo è chiusa. Decido di proseguire verso Lepanto.

L’assedio di Missolungi fu un episodio chiave della guerra di indipendenza greca degli anni 1820, più per il significato politico che per quello militare, dal momento che la capitolazione della città contribuì a far propendere l’opinione pubblica europea in favore della causa d’indipendenza del popolo greco.

Missolungi, con la sua ubicazione sulla sponda settentrionale del Golfo di Patrasso, occupa una posizione strategica che ne fa la porta di accesso al Golfo di Corinto, ma che gli permette anche di dominare il Peloponneso e la Grecia settentrionale. La sua importanza era stata messa alla prova nella battaglia di Lepanto, nel XVI secolo.

Lepanto

Lepanto è ora compreso nel comune di Nafpaktia. La cosa che mi ha colpito di più è la sua vita serale, animatissima, fatta di localini di tutti i generi, di cui approfitto volentieri dopo il viaggio da Missolungi. Ne trovo uno simpatico vicino alla statuta di Miguel de Cervantes, combattente della Guerra di Lepanto. 

Lepanto è il centro economico della  parte occidentale della regione di Akarnania-Etolia, ed ha forti connessioni economiche con Patrasso, che è dall’altra parte del ponte. Il suo lungomare è disseminato di alberghi. Trovo un po’ fastidioso il vento che spazza le spiagge; non so se è abituale o solo momentaneo. 

La battaglia di Lepanto – 7 ottobre 1571

La battaglia di Lepanto, detta anche delle Echinadi o delle Curzolari (chiamata Epaktos dagli abitanti, Lepanto dai veneziani e İnebahtı in turco), è uno storico scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell’Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell’Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato d’Urbino federate sotto le insegne pontificie. Dell’alleanza cristiana faceva parte anche la Repubblica di Lucca, che pur non avendo navi coinvolte nello scontro, concorse con denaro e materiali all’armamento della flotta genovese.

La battaglia, terza in ordine di tempo e la maggiore svoltasi a Lepanto, si concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate, guidate da Don Giovanni d’Austria, su quelle ottomane di Müezzinzade Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.

La flotta turca schierata a Lepanto, reduce dalla campagna navale che l’aveva impegnata durante l’estate, era verosimilmente forte di 170-180 galere e 20 o 30 galeotte, cui si aggiungeva un imprecisato numero di fuste e brigantini corsari. La forza combattente, comprensiva di giannizzeri (in numero tra 2.500 e 4.500), sipahi e marinai, ammontava a circa 20-25.000 uomini. Di questi, sicuramente armata d’archibugio era la fanteria scelta dei giannizzeri, mentre la gran parte degli altri combattenti era armata di arco e frecce. La flotta ottomana, inoltre, era munita di minore artiglieria rispetto a quella cristiana: circa 180 pezzi di grosso e medio calibro e meno della metà degli oltre 2.700 pezzi di piccolo calibro imbarcati dal nemico.

I turchi schieravano l’ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco, all’ala destra, mentre il comandante supremo Müezzinzade Alì Pascià (detto il Sultano) al centro conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d’oro il nome di Allah. Infine l’ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč Alì, un apostata di origini calabresi convertito all’Islam (detto Ucciallì oppure Occhialì), presiedeva all’ala sinistra; le navi schierate nelle retrovie erano comandate da Murad Dragut (figlio dell’omonimo Dragut Viceré di Algeri e Signore di Tripoli che era stato uno dei più tristemente noti pirati barbareschi).

Come già per la Battaglia di Poitiers e la futura Battaglia di Vienna, la battaglia di Lepanto ebbe un profondo significato religioso. Prima della partenza, il Pontefice Pio V, benedetto lo stendardo raffigurante su fondo rosso il Crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo e sormontato dal motto costantiniano In hoc signo vinces, lo consegna al DucaMarcantonio Colonna di Paliano: tale simbolo, insieme con l’Immagine della Madonna e la scritta S. Maria succurre miseris, issato sulla nave ammiraglia Real, sotto il comando del Principe Don Giovanni d’Austria, sarà l’unico a sventolare in tutto lo schieramento cristiano all’inizio della battaglia quando, alle grida di guerra e ai primi cannoneggiamenti turchi, i combattenti cristiani si uniranno in una preghiera di intercessione a Gesù Cristo e alla Vergine Maria.

L’annuncio della vittoria giungerà a Roma ventitré giorni dopo, portata da messaggeri del Principe Colonna. La vittoria fu attribuita all’intercessione della Vergine Maria, tanto che Papa Pio V nel 1572 istituì la festa di Santa Maria della Vittoria, successivamente trasformata nella festa del SS. Rosario, per celebrare l’anniversario della storica vittoria ottenuta, si disse, per intercessione dell’augusta Madre del Salvatore, Maria.

Il Pireo

Comincio il viaggio ad Atene dal Pireo. Il Pireo è il porto principale della Grecia. Oggi è usato soltanto per il trasporto passeggeri. Il porto commerciale dei cargo è stato spostato verso Keratsini e Ikonion, fino ad Aspropyrgos e, per le navi cisterna, ad Elefsina. Di qui i traghetti trasferiscono i passeggeri e merci a tutte le isole dell’Egeo. Il Pireo ha ispirato molti artisti greci famosi, come Nikos Psathas (Ta pedia tis piatsas), registi cinematografici come Jules Dassen (“Mai di domenica”).

Il Pireo è la città della Grecia per cui sono state scritte la maggior parte delle canzoni. Musicisti greci famosi come Zambetas, Xarhakos, Mikis Theodorakis, Manos Hadjidakis e molti altri hanno composto canzoni famose, come ” Ta pedia tou pirea”, ” Drapetsona”, ” Kato sto pirea”, “Lemonadika” e molte altre canzoni del repertorio popolare, eseguite da artisti come Gregoris Bithikotsis, Vicky Mosholiou ed altri.

Il Pireo, come altri centri greci, ha visto nascere diversi fenomeni musicali legati al rebetico, la musica popolare urbana sviluppatasi successivamente alla catastrofe di Smirne del 1922 e all’arivo in Grecia di centinaia di migliaia di profughi greci che vivevano in Asia Minore. A partire dal 1934 si afferma un nuovo stile detto “pireotiko” ad opera di Markos Vamvakaris, che inizia la sua attività di musicista costituendo il gruppo “Tetrada tou Pireos”, Quartetto del Pireo, insieme a Giorgos Batis, Anestis Delias e Stratos Pagioumtzis, definendo la formazione classica di rebetika costituita da bouzouki, baglamas e chitarra.

Lo Tsifteteli  è una tipica danza sensuale fatta dalle giovani donne attorno al proprio uomo che, oltre al nome condivide la stessa impostazione coreutica. Lo “tsifteteli” è una danza di origine anatolica il cui nome in turco (çiftetelli) significa doppia corda. Il tsifteteli è una danza tipicamente femminile molto sensuale, simile alla danza del ventre. Il ritmo è in 4/4.

Atene

Il 26 settembre 1687  le truppe veneziane, al comando di Francesco Morosini, facevano saltare in aria il Partenone. Il tempio greco, giunto quasi intatto dai tempi di Pericle, brucia per due giorni e l’esplosione ammazza due o trecento persone (vittime ignorate di una tragedia dimenticata). Da quel momento il Partenone diventa una rovina e gli ateniesi utilizzeranno i blocchi di calcare per cucinarli e ricavarne calce. I blocchi non lisci, ovvero quelli con i bassorilievi, erano più apprezzati perché assorbivano meglio il calore. Questo spiega perché Lord Elgin si considerasse un salvatore delle mètopi di Fidia: se non le avesse portate a Londra, avrebbero rischiato di finire in pentola. E questo lascia anche capire che senza Francesco Morosini, non sarebbe esistito nemmeno Lord Elgin.

Il conflitto si apre nel 1684 (l’anno dopo l’assedio di Vienna) e si chiude nel 1699 con la conquista del Peloponneso, l’ultima impresa coloniale veneziana. Le guerre anti turche di quegli anni assumono le caratteristiche di conflitti di civiltà, con coalizioni cristiane che si battono contro i musulmani ottomani. Quando a Morosini viene ordinato di conquistare Atene, solo la metà dei suoi uomini sono veneziani (schiavoni dalmati compresi), gli altri sono tedeschi, milanesi, toscani e maltesi. Al momento dell’assedio i turchi si rinserrano sull’Acropoli, già trasformata in fortezza e immagazzinano la polvere da sparo nell’edificio più solido: il Partenone. I veneziani per debellare la resistenza turca devono far saltare in aria la polveriera e la bombardano per due giorni, finché non la fanno esplodere (a sparare il colpo fatale pare sia stato un artigliere tedesco di Lüneburg). L’esplosione è immane, un testimone oculare riferisce che l’Acropoli sembrava “un Mongibello” (nome con cui al tempo era indicato l’Etna).

La Grecia moderna- La catastrofe dell’Asia minore

Nel XX sec. la Grecia si completa con la conquista, di Macedonia, Tracia e tutte le isole del Mar Egeo. Nel 1922 c’è stata la cosiddetta catastrofe dell’Asia Minore; la Grecia perde Smirne e la Tracia orientale… un milione e mezzo di greci che vivevano in Turchia sono così costretti a lasciare le proprie abitazioni ed andarsene via.

Il 28 ottobre del 1940 la Grecia viene attaccata dall’esercito italiano che però viene subito ricacciato in Albania, in seguito viene poi attaccata dai tedeschi e nel 1941 i greci sono costretti ad arrendersi. Numerosi ebrei, in particolare quelli di Salonicco, vengono deportati nei campi di concentramento.

L’occupazione tedesca finisce nel 1944. Dal 1946 al 1949 c’è la guerra civile tra le forze di sinistra e quelle governative sostenute dai britannici.

Il 21 aprile del 1967 un colpo di stato da parti di alcuni colonnelli fa cadere la democrazia; nel 1974 dopo tante rivoluzioni del popolo greco ritorna la democrazia rendendo stabile il clima politico.

Nel 1980 la Grecia entra a far parte nella comunità Europea e nel 1996 muore il presidente socialista Andreas Papandreou.

I turchi riconquistano la Grecia con le soap opera

Lo strumento dell’inatteso avvicinamento tra i due Paesi sono i canali privati che ogni sera martellano i salotti di Atene con titoli come “Muhtesem Yuzyil”, sulla vita di Solimano il magnifico, “Ezel” (una specie di spy-story), i romanticheggianti “Sila” e “Ask-I Memnu”, i drammatici “Ask ve Ceza” e “Kismet”.

Il fenomeno è cominciato in maniera blanda proprio nel 2008, durante il mio viaggio in Grecia; ne ho trovato riscontro in diversi articoli giornalistici, in particolare su La Stampa.

Pare che un greco su due sia sensibile ai feulleiton diffusi dai vicini e incentrati sulla storia regionale o sulla famiglia (il modello familiare turco ricorda molto quello greco) al punto da seguire la trama attraverso i sottotitoli in greco senza però astenersi dall’imparare qualche parola in turco (”merhaba” ossia ciao, “nasilsin?” ossia “come stai?”, “tamam” ossia va bene). Non solo: gli estimatori greci dell’attore turco Burak Hakki (celebre Dudaktan Kalbe nell’omonima soap, che in greco si intitola “Melodia del cuore”) hanno creato un fan club di 4500 membri (100 di loro sono stati sorteggiati per una mini crociera nel Bosforo con Hakki) e le riviste iniziano a regalare cd-rom con corsi base di lingua turca.

Secondo il quotidiano turco Hurriyet, il metropolita di Salonicco Anthimos si sarebbe recentemente scagliato contro la telenovelas “Muhtesem Yuzyil” intimando ai fedeli greci di non guardarla perché “guardando le telenovele turche, gli facciamo capire che ci siamo arresi”. A vincere, per ora, è il soft power, come conferma la popolarità di gruppi musicali tipo Mode Plagal, una band greca che collabora con la turca Orchestra Bosphurus. Una delle telenovelas più seguite degli utlimi mesi è “Yabanci Damat” (che in turco vuole dire “Lo sposo straniero”) e mette in scena la storia d’amore fra un greco e una turca senza risparmiarsi tutti i luoghi comuni sulle relazioni fra i due popoli. Sarà confidando sul successo di “Yabanci Damat” che Ankara si prepara a lanciare “Muhtesem Yolculuk” (”Il viaggio meraviglioso”), l’esplorazione delle due coste dell’Egeo compiuta da un regista turco e una cuoca greca di Istanbul, e, ardore degli ardori, “Son Yaz Balkanlar” (”Ultima estate balcanica 1912”), un lungo racconto a puntate delle lotte di Grecia, Bulgaria, Serbia e Montenegro contro l’Impero Ottomano.

Antonio De Lisa

© Copyright 2014-21 – Rights Reserved



Categorie:C40.06- Viaggio nel mondo classico, C40.07- Percorsi di archeologia e storia dell'arte

1 replies

Trackbacks

  1. Percorsi di Archeologia e Storia dell’arte- Indice / Index – ANTONIO DE LISA OFFICIAL SITE

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

IASS-AIS

International Association for Semiotic Studies - Association Internationale de Sémiotique

NUOVA STORIA CULTURALE E VISUALE - NEW CULTURAL AND VISUAL HISTORY

STORIA DELLE IDEE E DELLA CULTURA - HISTORY OF IDEAS AND CULTURE

LINGUE STORIA CIVILTA' / LANGUAGES HISTORY CIVILIZATION

LINGUISTICA STORICA E COMPARATA / HISTORICAL AND COMPARATIVE LINGUISTICS

TEATRO E RICERCA - THEATRE AND RESEARCH

Sito di Semiotica del teatro a cura di Lost Orpheus Teatro - Site of Semiotics of the theatre edited by Lost Orpheus Theatre

TIAMAT

ARTE ARCHEOLOGIA ANTROPOLOGIA // ART ARCHAEOLOGY ANTHROPOLOGY

ORIENTALIA

Arte e società - Art and society

SEMIOTIC PAPERS - LETTERE SEMIOTICHE

La ricerca in semiotica e Filosofia del linguaggio - Research in Semiotics and Philosophy of Language

LOST ORPHEUS ENSEMBLE

Da Sonus a Lost Orpheus: Storia, Musiche, Concerti - History, Music, Concerts

Il Nautilus

Viaggio nella blogosfera della V As del Galilei di Potenza

SONUS ONLINE MUSIC JOURNAL

Materiali per la musica moderna e contemporanea - Contemporary Music Materials

WordPress.com News

The latest news on WordPress.com and the WordPress community.

ANTONIO DE LISA OFFICIAL SITE

Arte Teatro Musica Poesia - Art Theatre Music Poetry - Art Théâtre Musique Poésie

IN POESIA - IN POETRY - EN POESIE

LA LETTERATURA COME ORGANISMO - LITERATURE AS AN ORGANISM